Passione Gourmet Enrico Mazzaroni Archivi - Passione Gourmet

Il Tiglio

Nel regno della Sibilla

Ctonia: ecco com’è la cucina di Enrico Mazzaroni. Non nel senso che lavori prodotti del sottosuolo, tuberi e radici, ma nel senso che scava nell’essenza, in ciò che è oltre l’aspetto apparente: svelando misteri nascosti, forze ignote, espressioni sconosciute.

Siamo nella minuscola frazione di Isola San Biagio, nel comune di Montemonaco (Ap), nella landa ove le Marche si incuneano fra Abruzzo, Lazio e Umbria. Qui torreggiano i Monti Sibillini, con le loro cime cariche di fascino arcano e di sovrannaturali segreti. Questa era il regno della Sibilla Appenninica e proprio qui, per secoli, sin dai tempi dei romani (lo testimonia Svetonio, nelle Vite dei dodici Cesari, scrivendo di una “veglia” fatta “sulla sommità dell’Appennino” dall’imperatore Vitellio) si sono avventurati viaggiatori, negromanti, maghi ed esoteristi in visita all’occulto antro della profetessa. Alcuni di essi – il più noto è il cavaliere borgognone Antoine de la Sale (1420 circa) – ci hanno pure lasciato i suggestivi resoconti delle loro ascensioni, ricchi di particolari: il roccioso paesaggio, i forti venti sommitali, le rade erbe e gli spauriti animali. E poi l’ingresso dell’antro posto appena sotto la vetta, le scritte misteriose incise sulle pietre, i sinistri spazi sotterranei… Si narrava che la Sibilla, oltre ad avere il dono del vaticinio, avesse anche la signoria sulle forze della natura e sullo spirito di coloro che riuscivano a penetrare nei suoi cunicoli, irretendoli e mai più facendoli tornare indietro.

Ebbene, Mazzaroni è come la Sibilla. Anche lui, nato qui, conosce a menadito la flora e la fauna di queste terre. Anche lui è in grado di governare l’una e l’altra, mostrandone le qualità nascoste e i pregi sconosciuti. E coloro che si addentrano nel regno di MazzaroniIl Tiglio – alla stregua di coloro che ascendono al regno della Sibilla, devono essere pronti a lasciarsi “sopraffare”, perché qui ben poco è riconducibile a consuetudine: gli ingredienti – la stragrande maggioranza dei quali davvero a km zero (l’orto, ben visibile, è poco lontano) – sono abbinati secondo una sintassi non ordinaria, i profumi e i gusti sono insueti, la successione dei piatti è sovvertita. Mazzaroni si diverte – infatti – a orchestrare una partitura “dodecafonica” fatte di dissonanze, di ritorni e di contrappunti che spiazza a ogni portata, mostrando all’ospite la potenzialità e l’artificio della materia prima. E come la Sibilla, anche Mazzaroni, nel tracciare il proprio percorso, si confronta con il passato e il presente della cucina delle Marche. La tradizione “mare-monti” che segna molti piatti della “regione plurale” viene da Mazzaroni declinata con innovativa personalità, secondo un dettato che pare privilegiare l’espressività diretta alla costruzione articolata.

La cucina della Sibilla

È una cucina, quella di Mazzaroni, ove a prevalere è l’istintualità alla tecnica, la finezza dell’intuizione alla logica della deduzione, la genialità del singolo gesto alla ingegnosità della duplicazione. Montagna e mare si incrociano di continuo (il Cervello di agnello incontra la Tartare di gambero rosso di Mazara, il Fegato di vitello sposa l’Ostrica, il Coniglio si ammoglia alle Vongole…). La passione per le interiora, i molluschi e i crostacei appare evidente. Mentre l’amore per le acidità e le iodiosità, in passato talloni d’Achille della cucina di Mazzaroni (ai tempi dell’esilio sulla costa, quando, subito dopo il terremoto che sconvolse il centro Italia nell’agosto del 2016, Il Tiglio fu costretto a trasferirsi per tre anni a Porto Recanati) è ora gestito con sicurezza.

Secondo lectio marchesiana (perché comunque, per Mazzaroni, uno dei modelli incontestabili rimane il “divin” Gualtiero) i piatti giungono in tavolo con una successione dettata non dalle abitudini consolidate (pesce-carne e antipasto-primo-secondo-dolce) ma dall’espressione ritmica delle pietanze stesse. Così, per esempio, le tendenze dolci della pasta ritornano più volte durante il percorso degustazione, addirittura chiudendolo (Tagliatelle di caffè d’orzo e paprica affumicata; e qui non può non venire in mente l’insalata di spaghetti “alla carrettiera” di Silvio Salmoiraghi), mentre le verdure e il pesce giocano un ruolo nei dolci (l’Asparago nella sbriciolata di farina di polenta e limone, e il Caviale d’aringa nello spiazzante yuzu, salicornia, dulce de leche, croccante al caramello e miso).

Se mai, leggendo queste righe, l’impressione può essere quella di una sorta di anarchia gustativa, nei fatti è però invece il contrario. Accettate le regole della Sibilla, e liberatisi di un po’ di preconcetti su interiora e abbinamento carne-pesce, ci si inoltra in un mondo ove il gusto è sì messo alla prova, ma solo per scoprire poi di rimanere fortemente appagato da una sorta di inaspettata rotondità complessiva. In fondo c’è più classicismo di quanto si possa immaginare di primo acchito nella cucina del Tiglio: le cotture sono meditate; il maneggio dell’olio e del burro sapiente, l’uso di aromatiche e di spezie erudito. Il tutto è riconducibile a quella dote – di cui non tutti i cuochi (purtroppo) sono provvisti – che si chiama “palato”. Ebbene, il palato non manca a Mazzaroni, tanto nelle pietanze più consuete, come gli imperdibili Bottoni con liquido ai carciofi, stracotto di vitello e beurre blanc o il sontuoso Cervo col suo ragù, verdure spontanee, fondo di cervo, salsa al miso e ginepro, quanto in quelle più inusitate, come le particolari Conchiglie con ragù fagiano, crema di totano e uova di pesce volante.

Oltre alla cucina c’è poi l’ambiente ricco di fascino: la bella sala, al contempo calda ma moderna, nella quale il legno sposa la pietra, e il verdeggiante spazio esterno. C’è il servizio, diretto con informale signorilità da Gianluigi Silvestri, da sempre al fianco di Mazzaroni. C’è una discreta carta dei vini, dalla quale si può trarre più di qualche buona bottiglia. Ci sono poi gli appartamenti e le camere, appena oltre il giardino e la piscina, ove si può prolungare la sosta, fermandosi per la notte. Magari per accorgersi, la mattina dopo, di non voler lasciar più questo ‘nuovo’ regno della Sibilla…

La Galleria Fotografica:

Il Tiglio è rinato dalle sue ceneri

Si autodefinisce “cuoco di montagna” e ne ha ben donde, Enrico Mazzaroni. Abbarbicato su pendii scoscesi alle falde del Monte Sibilla, dopo una parentesi di un paio di anni in quel di Porto Recanati, dall’estate 2019 il ristorante ha ripreso a respirare a pieni polmoni aria di casa. Un ritorno a Isola di San Biagio (piccola frazione dell’altrettanto piccolo borgo di Montemonaco) tanto atteso, tanto agognato e forse arrivato nel momento migliore, quando il dolore causato dagli eventi sismici del 2016, lungi dall’essere dimenticato, è stato metabolizzato e stigmatizzato iniettando nelle vene dello chef nuova linfa creativa.

Una transumanza (così è, tra l’altro, chiamato il menù degustazione) dal mare ai monti che porta con sé la consapevolezza che ogni esperienza, anche se nata da eventi sciagurati, può essere foriera di novità e miglioramenti prima di allora neanche lontanamente immaginati.

Il “cuoco di montagna” sempre più “di mare”

Ecco, quindi, che la cucina del nostro “cuoco di montagna“, comunque baricentrata sulla cacciagione, viene arricchita da un uso più frequente rispetto al passato di prodotti ittici; commistioni terra-mare che, rispetto al biennio rivierasco, sono parse più bilanciate e caratterizzate da un’encomiabile distinguibilità dei sapori di tutte le componenti del piatto, ciò che è senza dubbio alcuno evidente riflesso di una ritrovata tranquillità e serenità tra le radure che lo hanno fatto crescere come uomo e come professionista, commistioni particolarmente apprezzate nelle seppie, foie gras e castagne e nel latte fermentato, rognone marinato nella brace, canestrelli e crema del loro corallo.

Nel menù degustazione, che si presenta variegato e mai monocorde, non mancano omaggi a ingredienti tanto cari allo chef, nella specie le cervella di agnello e l’ostrica. Il primo ingrediente, già utilizzato negli anni scorsi in un tanto azzardato quanto apprezzato dessert, viene accostato al tonno per creare un’inusuale sushi marchigiano; il mollusco bivalvo, invece, viene inserito all’interno di un saccottino di pasta friabile che dona al boccone quella croccantezza che, in uno con la freschezza dell’ostrica, sprigiona con veemenza l’energia iodata del mare.

Due chicche del percorso degustativo meritano una menzione particolare ossia burro nocciola, foie gras, limone e caviale e fondo di tordo e cioccolato amaro, cialda fatta con interiora del tordo e frutti rossi, nati come intermezzi defatiganti tra le varie fasi del menù ma caratterizzati da quella nettezza e incisività di gusto che rappresentano la cifra stilistica dello chef.

Infine, non si può parlare compiutamente de Il Tiglio se non si spendono parole di elogio anche per Gianluigi Silvestri, partner in crime in sala di Enrico. Coadiuvato da un giovane e altamente professionale Nicola Coccia, si muove con il savoir-faire tipico di chi conosce perfettamente tutti i segreti del suo lavoro, capace di adattare il proprio atteggiamento agli umori di ciascun tavolo. Perfetto anfitrione.

Il Tiglio si piega ma non si spezza e, anche questa volta come l’Araba Fenice, è rinato dalle sue macerie in un modo tanto convincente che gli appassionati gourmet non potranno che rallegrarsene.

La galleria fotografica:

…o delle cozze

Diffuse anche col nome di muscoli, peoci, pedoli e móscioli, le cozze hanno subìto un sensibile indebolimento negli ultimi anni in termini di mercato. Prima causa, la concorrenza da paesi UE (Danimarca e Germania) ed extra UE, come la Cina, che ne è la prima produttrice al mondo; secondo motivo, il calo dei consumi, imputabile alla sempre maggiore differenziazione e varietà dei costumi alimentari incoraggiato, com’è noto, dalla globalizzazione. Come si risponde, dunque, alla spinta unificante e integrante della globalizzazione? Iperlocalizzando. Una  tendenza incalzata anche dai nostri chef, che premiano iniziative “di nicchia” come quella della famiglia Bigi, ad Olbia, o quella di Lorenzo Busetto, classe 1984, acquacoltore da oltre due decenni e fondatore di Mitilla, allevamento che garantisce altissimi e costanti standard qualitativi nello straordinario paesaggio di Pellestrina. Vediamo, ora, come la cozza si declina in cucina.

Alessandro Rapisarda, Casa Rapisarda, Numana (AN)

A proposito di iper-localismi, eccovi servito il mosciolo selvatico di Portonovo, ingrediente feticcio di Rapisarda. Siamo a poche decine di metri dalle spiagge della turistica Numana, nel pieno centro del borgo storico. Qui, l’acqua dei molluschi – che non vengono puliti – viene sottoposta a successive operazioni di spurgatura che danno luogo a un liquido limpido ma, allo stesso tempo, più sporco e gustoso nel sapore. Risultato? Un ottimo guazzetto di cozze!

Matias Perdomo, Contraste, Milano

Un’opera collettiva, quella che Matias Perdomo, Simon Press Thomas Piras perpetuano al Contraste,  dove i tre danno vita a una performance gustativa unica e corale, ricca di bassi e acuti, capace di dosare morbidezze e sferzate improvvise realizzate con consapevolezza e senso del gusto. Una cucina originale, divertente e divertita, come in questa cozze cacio e pepe.

Giulio Terrinoni, Per Me, Roma

Una cucina di mare, dalla materia prima attentamente selezionata, trattata con rispetto, presentata in piatti dai sapori netti, puliti e punteggiati di estrosi elementi: questa è la firma di Giulio Terrinoni, un tributo all’arte dell’essenzialità, come si evince da questo golosissimo, originale boccone che alla cozza combina ’nduja e toma di bianca alpina.

Donato Ascani, Glam, Venezia

I mercati quotidiani di Venezia sono parte integrante della proposta di Donato Ascani, in questo menu che si richiama tanto a Paolo Lopriore quanto al bancone del Kiyota Sushi, di Tokyo. Quanto al piatto in questione, esso è entrato di diritto tra i migliori assaggi dell’anno (2019 n.d.a), cliccare sul link per credere.

Alberto Gipponi, Dina, Gussago

Un dialogo interrotto e ripreso alla fine del menù quello di Alberto Gipponi e la cozza. Un elemento importante, perché capace di combinarsi, nella sua grammatica gustativa, con efficacia semantica fino a comporre un ritratto di straordinaria italianità a dispetto dell’orientalissimo dei due condimenti utilizzati: il miso di caffè e lo shiokoji di Michele Valotti de La Madia di Brione.

Antonino Cannavacciuolo e Vincenzo Manicone, Caffè e Bistrot, Novara

Vincenzo Manicone, ragazzo cresciuto e maturato alla corte di Cannavaccioulo, è portatore sano di quell’innato senso del gusto che gli fa elaborare creazioni eleganti e proporzionate. Un grande talento di saucier, il suo, capace di piatti di grande classicismo dove, al netto di una indubbia complessità, non c’è mai un tocco fuori posto, mai un eccesso, come accade in questa sorta di architettura votiva.

Alessandro Negrini e Fabio Pisani, Il Luogo di Aimo e Nadia, Milano

Un viaggio che va alla ricerca di  materie prime eccellenti, quello di Alessandro Negrini e Fabio Pisani, nel Luogo per antonomasia. Uno e mille luoghi, invero, perché l’Italia è percorsa in lungo e in largo nel menù, rappresentata una volta dai gamberi viola di Sanremo, dai peperoni di Senise, dal tonno rosso di Sicilia, dalla fassona piemontese, dall’anguilla del Delta del Po, dalle patate di Polignano, dal pomodoro del Pollino, dal maialetto orvietano e dallo zafferano di San Gavino, fino a questa carnosissima cozza dell’Adriatico, a comporre un piatto di grande eloquenza.

Nicola Portinari, La Peca, Lonigo (VI)

Un altro tributo all’Italia quello di Nicola Portinari, per cui la nostra nazione è sia musa che deus (dea) ex machina, ovvero una divinità  onnisciente capace di infiniti giri intorno al mondo, divagazioni e depistaggi, ma che parla sempre di se stessa, e per se stessa, interpolando i confini della verdura e della carne, della frutta e del pesce. Qui la cozza, di straordinaria consistenza croccante, è sdrammatizzata e anzi elevata sin quasi alla sublimazione dal concentrato di cetriolo.

Silvio Salmoiraghi, Acquerello, Fagnano Olona (VA)

Attualizzazione e valorizzazione dei grandi classici della cucina italiana: questa la dichiarazione che si legge all’interno del menù di Silvio Salmoiraghi dove campeggiano in nuce tutti i precetti della Nuova Cucina Italiana, scandita in chiave kaiseki. Un viaggio strepitoso è rappresentato proprio dalla capasanta di Venezia cotta al vapore con acqua alla menta e ricoperta di polvere di felce, accompagnata da yogurt valdostano, cavolo nero, bergamotto e  cozza pelosa pugliese in salsa di acqua dolce.

Valentino Cassanelli, Lux Lucis, Forte dei Marmi

Prendendo proprio spunto dal viaggio che lo ha portato da Modena a Forte dei Marmi, Valentino Cassanelli ha creato il suo menù più completo, “On the road. Via Vandelli”: una strada già percorsa dal Duca Francesco III d’Este per arrivare, da Modena, al mare. Per lo chef, un viaggio nel tempo e nello spazio alla ricerca dei sapori delle due terre, Emilia e Toscana, rappresentato da piatti – o più spesso solo assaggi – così evocativi che non necessitano nemmeno della descrizione.

Chang Liu, Serica, Milano

Mauro ed Elisa Yap sono figli d’arte: seconda generazione di una famiglia di ristoratori cinesi che ha dato lustro a molti locali milanesi, decidono di aprire un locale tutto loro che affidano alle cure di Chang Liu, cuoco con tante esperienze alle spalle, qui artefice di una cucina sorprendentemente capace di rileggere i grandi classici italiani studiandone le potenzialità in termini di contaminazione, come già fece Yoji  Tokuyoshi alla corte di Massimo Bottura.

Primi piatti

Rocco Santon e Nicola Cavallin, Noir, Ponzano Veneto (TV)

Nasce ad agosto 2019 grazie alla passione di due giovani chef, Rocco Santon e Nicola Cavallin, e dalle rispettive esperienze che, combinatesi assieme, daranno vita a una realtà nuova e diversa. Ne sortisce un’impostazione non banale né accondiscendente di cui sono vessillo proprio i fusilli, ceci, cozze e bieta amara: un ottovolante tra l’acidità delle cozze alla scapece, la rotondità della purea di ceci a donare struttura e l’amaricante degli elementi vegetali e floreali a garantire lunghezza. Un piatto davvero ben eseguito.

Alessandro Negrini e Fabio Pisani, Il Luogo di Aimo e Nadia, Milano

Siamo di nuovo nel Luogo per antonomasia della Nuova Cucina Italiana: qui in un primo piatto  dalla golosità prorompente che nobilita la tradizione popolana della pasta, cozze e patate per farne un risotto alto-borghese, fin nella componente estetica: superba.

Donato Ascani, Glam, Venezia

Di nuovo Ascani (visita del 2020), in un piatto che punta sull’aromaticità del sesamo e del cipollotto marinato forieri di sensazioni amare e acide, anche spigolose, che si combinano con la carnosità del gambero e della cozza, con grande maestria.

Simone Marchelli, Meta, Celle Ligure (SV)

Chef e patron di MetaSimone Marchelli è artefice di una cucina che affonda profondamente le proprie radici nel territorio – Liguria ma anche Piemonte – combinandone anche gli stilemi più rigidi, come accade nei plin con ripieno di tartrà di Parmigiano Reggiano 24 mesi in zuppetta di cozze: un piatto sicuramente assai sapido, reso aromatico dall’aglio dolce.

Creature del Nord

René Redzepi, Noma, Copenaghen

22 portate che esplora le profondità marine del Baltico e dell’Atlantico, portando nel piatto creature abissali che solo dal nome richiamano le gesta del Capitano Nemo. Dalla vongola centenaria servita con panna acida e olio di pino al nobile alla cozza del Baltico servita con caviale e brodo di alghe: una combinazione vincente tra uomo, territorio e clima.

Nicolai Nørregaard, Kadeau, Copenaghen

Un solo menù degustazione dove ogni portata è un’occasione per sviluppare uno studio attorno a un ingrediente.  È quello che accade coi germogli di abete, che donano una felice nota balsamica alla cozza delle Far Øer affumicata, o il succo di ribes bianco e i fuori di sambuco alla più primaverile e virginale cozza artica cruda.

Interpretazioni iberiche…

Joan Bayén, “Juanito”, Pinotxo Bar, Boqueria, Barcellona

Un locale che fa cucina di mercato, nel mercato, aperto settantasei anni fa Joan Bayén, detto Juanito, iconico oste sorridente del Pinotxo Bar della Boqueria di Barcellona. Non c’è un menu. Si lascia fare a loro e ci si imbatte in semplici ma indimenticabili tapas: come la cozze ripiena di verdure in agrodolce.

…e d’Oltralpe

Sven Chartier, Saturne, Parigi

All’interno delle due sale in cui si sviluppa il ristorante, lo chef, affiancato in sala da Ewen Le Moigne, manda in scena una rappresentazione il cui credo è il rispetto per la natura in ogni sua forma. Sven Chartier dimostra di possedere una maturità sorprendente, che applica a ogni piatto, dando vita a una cucina vivace, inappuntabile dal punto di vista tecnico, vivace nei cromatismi e soprattutto nelle studiatissime temperature di servizio.

Carni e cozze

Nikita Sergeev, L’Arcade, Porto San Giorgio (MC)

Lo chef moscovita ha smussato gli angoli e trovato un suo centro di gravità gustativa “permanente” che non teme, se è il caso, commistioni audaci, e ormai distintive, come quelle tra terra e mare.  Accade nel cervo e la sua salsa – una salsa da manuale, in stile bouillabaisse catapultata lungo la costa marchigiana  – che allunga in maniera esponenziale il gusto.

Alex e Vittorio Manzoni, Osteria degli Assonica, Sorisole (BG)

Una degustazione “vit.ale”, così come il nome del menù, dove si familiarizza con le due anime della cucina dell’Osteria. Frequenti i giochi di acidità in piatti dai contrasti decisi, ma ben pensati, come nel caso dell’agnello dove la dolcezza della carne viene ottimamente valorizzata dalla nota iodata delle cozze: un abbinamento insolito ma molto ben eseguito.

Enrico Mazzaroni, Il Tiglio in Vita, Porto Recanati (MC)

Nel corso dell’ampio menu degustazione Mazzaroni alterna due pulsioni: quella di sedurre l’ospite con un’avvolgente golosità e quella (come in questo caso) in cui la mano si fa più tranchant, e dunque piacevolmente spigolosa. In questa combinazione di terra e mare, a persuadere è la consistenza e, in particolare, la carnosità della cozza per interpolazione della carne.

Alberto Faccani, Magnolia, Cesenatico 

Una cucina composta e borghese, nel senso migliore del termine, e neoclassica, ovvero elegante, perché centrata mediante intelligenti contrasti, studiati col bilancino, questa di Alberto Faccani. Una cucina che non teme di abbinare in un sol boccone carne e pesce, come accade in questa paradigmatica piadina, tanto sostanziosa quanto vorrebbe, appunto, il palato romagnolo.

Mariano Guardianelli e Camilla Corbelli, Abocar, Rimini

Sapori nitidi e persistenti, ben contrastati da ingredienti molto ben combinati e, di conseguenza, ben valorizzanti. Come in questo caso, dove il secondo e ultimo servizio della faraona la fa convivere con la dolcezza delle carote, con la maionese, la salicornia e, ultima ma non ultima, con un’impeccabile cozza in scapece.

Dulcis in fundo

Alberto Gipponi, Dina, Gussago

Un colpo ben assestato alla morale comune: questo rappresenta questo piccolo, grande piatto, che racchiude in toto il pensiero, e il palato, di Alberto Gipponi.

La storia: da una montagna all’altra

Il racconto di alcune cene non si può ridurre a un elenco di piatti, accompagnato dalla spiegazione delle tecniche utilizzate e dalla localizzazione al chilometro di provenienza delle materie prime, orpello purtroppo inevitabile in tempi di “geogastronomia” imperante. Questo è il racconto di una di quelle cene, a Il Tiglio in Vita a Porto Recanati. Ciò, si badi bene, non perché la nostra esperienza gastronomica non sia stata di caratura, ludica, e con alcuni colpi da fuoriclasse assestati dallo chef Enrico Mazzaroni, ma perché per narrare quel che i piatti ci hanno trasmesso, e per capirli fino in fondo, occorre partire dalla storia che precede questa tavola.

Il Tiglio era un fortunato ristorante tra gli Appennini marchigiani (Sibillini), prima che un violento terremoto lo travolgesse insieme ai sogni di Enrico Mazzaroni. Per fortuna, da quasi un anno il Tiglio è sorto a nuova vita in prossimità del Monte Conero (la montagna riappare, dunque, nella storia dello chef). Con gli occhi lucidi Mazzaroni – due lauree e un animo fanciullesco – ci descrive la rinascita del Tiglio, una di quelle storie che da sole valgono il viaggio a Porto Recanati. Ciò, come premessa a un percorso gustativo, lo ribadiamo, di spessore.

I piatti, tenacia e passione

Con il benvenuto dalla cucina si torna bambini in spiaggia! Tra i numerosi bocconi serviti sulla sabbia (pane grattugiato) versata dal secchiello e rastrellata con la paletta, deliziosi e croccanti sono i “sassolini” al tartufo bianco, ripieni di formaggio liquido. Nel corso dell’ampio menu degustazione, in alcuni momenti Mazzaroni tende a sedurre l’ospite con un’avvolgente golosità: ecco allora gli Spaghetti con il burro alla nocciola e la milza, molto gustosa grazie anche al ricorso alla cipolla, o il ghiotto Piccione al foie gras. In altri casi è la delicatezza a farla da padrone, si veda l’elegante e iodata Ostrica e patata di Montemonaco e salsa tzatziki, con il mollusco stiepidito perfettamente dal tepore del tubero o l’acido sapido della Acciuga al frutto della passione, con pane al muschio e alici. In altri la mano si fa più tranchant (perentoria, decisa), audace, e piacevolmente spigolosa: è il caso della Cozza con carne cruda al wasabi, della gommosa e gustosa Spuntatura di vitello, dell’insolito Pinotto (pinoli anziché riso) con crema al carciofo e testa di gamberi, da spremersi al momento, del refrigerante e ferroso Mojito con mela e teste di gambero, del coraggioso Budino di cervello d’agnello, ciliegie, cocco, (piacevolmente spiazzante la percezione di crème brûlée) e, ultimo ma non da meno, degli sferzanti Spaghetti alla genziana (serviti come “amaro” dopo il caffè).

La sala è condotta con garbo e ironia da Gianluigi Silvestri e abbiamo trovato originali alcune proposte al calice in accompagnamento al menu.

Una cucina a due mani quella odierna. Una più piaciona, con qualche concessione all’audience, e un’altra, invece, più ardita che forse rappresenta al meglio lo chef. Nel complesso le radici del Tiglio di Mazzaroni hanno ben attecchito in riva al mare, e ciò al netto di alcune preparazioni forse un po’ ridondanti, da snellire. Attendiamo che la cucina del Tiglio prenda una strada meno confusa e più decisa in una direzione stilistica chiara, con impronta personale.

La galleria fotografica:

Ci vuole una bella dose di coraggio o, forse, una ancor maggiore fiducia nelle proprie capacità per abbandonare la vita di città, fatta di comodità e certezze, per ritornare al paese natio, lontano da tutto e da tutti, prendere in mano le redini dell’azienda agrituristica di famiglia e, soprattutto, lanciarsi in una nuova grande avventura in cucina.
Infatti, il vero azzardo di Enrico Mazzaroni, tre lauree all’attivo ed un passato come ricercatore universitario, è stato quello di tentare di proporre nella sua Isola San Biagio, frazione dell’altrettanto minuscolo Montemonaco, paesino a mille metri di altezza ai piedi del monte Sibilla, una cucina tutta sua, lontana anni luce dagli stereotipi della zona.
La sua è una cucina moderna, attenta ai prodotti del territorio (quasi tutta la materia prima proviene dall’azienda di famiglia), giocosa, ricca di citazioni e di contaminazioni.
Cucina appresa studiando, girovagando e imparando le tecniche più moderne sia in Italia che all’estero.
A tratti nella sua cucina si scorgono influenze sia Spagnole che Nord Europee, ma anche piatti che portano testa e palato a Maestri come Paolo Lopriore o Piergiorgio Parini.
Ad ogni visita la mano dello chef ci sembra più sicura, i piatti sono ben pensati ed altrettanto ben realizzati, segno di una maturità espressiva ormai quasi pienamente raggiunta.
Molto ben organizzato anche il servizio di sala, guidato con mano sicura dall’istrionico Gianluigi Silvestri, sempre attento e professionale, capace come pochi di spiegare i piatti, la filosofia di cucina e le tecniche utilizzate per realizzarli, unendo a tutto ciò un sorriso contagioso ed un’ironia fuori dal comune che mettono il cliente a proprio agio.
Interessante e niente affatto banale la carta dei vini che permette di bere bene al giusto prezzo, anche se, in questa nostra ultima visita, abbiamo riscontrato moltissimi asterischi che hanno parzialmente inficiato la possibilità di scelta.
Se a tutto ciò abbiniamo una politica dei prezzi a dir poco illuminata è facile intuire perché, nonostante raggiungere il locale non sia per nulla agevole, la sala risulti spesso piena.
In conclusione il Tiglio è indubbiamente un indirizzo molto interessante per chi, transitando per le Marche, abbia voglia di fare una deviazione dai sentieri normalmente battuti per provare la cucina di questo piccolo-grande cuoco che ha creato, in mezzo a mille difficoltà e contro ogni logica, un’accogliente angolo gourmet.

“Tartufo” di formaggio, polvere di funghi, burro di cacao e tartufo.
tartufo di formaggio, Il Tiglio, Chef Enrico Lazzaroni, Montemonaco
Finte bacche ripiene di pane, burro e alici glassate ai frutti di bosco.
finte bacche ripiene, Il Tiglio, Chef Enrico Lazzaroni, Montemonaco
Palline fritte, ripiene di tuorlo d’uovo morbido.
palline fritte,  Il Tiglio, Chef Enrico Lazzaroni, Montemonaco
Cialde di olive nere con maionese alla cipolla.
Cialde di olive nere,  Il Tiglio, Chef Enrico Lazzaroni, Montemonaco
Il pane servito caldo.
 Il Tiglio, Chef Enrico Lazzaroni, Montemonaco
Il Mare: ostriche tritate, mascarpone, granita ottenuta dall’acqua delle ostriche, sfere di salmone.
mare, Il Tiglio, Chef Enrico Lazzaroni, Montemonaco
Baccalà conto a bassa temperatura e successivamente cotto all’unilaterale servito con intensissima riduzione di alloro e lime.
baccalà,  Il Tiglio, Chef Enrico Lazzaroni, Montemonaco
Omaggio a Lucio Fontana: gamberi di fiume centrifugati, polvere di carcadè ad apportare acidità e tannino; da leccare direttamente dal piatto.
lucio fontana,  Il Tiglio, Chef Enrico Lazzaroni, Montemonaco
La patata sotto la cenere: tubero locale cotto sotto la cenere, farina di mandorle a simulare la cenere, porcini e caprino.
patata sotto la cenere,  Il Tiglio, Chef Enrico Lazzaroni, Montemonaco
Fungo porcino intero appena scottato con cenere di trombette dei morti.
fungo porcino,  Il Tiglio, Chef Enrico Lazzaroni, Montemonaco

Fegato di vitello cotto insieme al vin cotto e poi ridotto in crema, prezzemolo fritto e annerito, concentrato di cipolla e di alloro.
fegato di vitello, Il Tiglio, Chef Enrico Lazzaroni, Montemonaco
Durello di pollo cotto a bassa temperatura, grigliato e accompagnato da salsa di pomodoro.
duello di pollo,  Il Tiglio, Chef Enrico Lazzaroni, Montemonaco
Foie gras congelato e poi grattugiato servito su purea di piselli e misticanza.
foie gras,  Il Tiglio, Chef Enrico Lazzaroni, Montemonaco
Fusilloni serviti con salsa amarissima di noce fresca.
fusilloni serviti con salsa purissima,  Il Tiglio, Chef Enrico Lazzaroni, Montemonaco
Il cannellone: carne cruda, ragù, cialda croccante e besciamella.
cannellone,  Il Tiglio, Chef Enrico Lazzaroni, Montemonaco
Il piccione.
piccione,  Il Tiglio, Chef Enrico Lazzaroni, Montemonaco
Gelato al latte di capra.
gelato al latte di capra,  Il Tiglio, Chef Enrico Lazzaroni, Montemonaco
La famosissima torta di cioccolato a strati.
torta al cioccolato,  Il Tiglio, Chef Enrico Lazzaroni, Montemonaco