Passione Gourmet Cortina Archivi - Passione Gourmet

Baita Piè Tofana

Cortina è tutto!

Perla delle Dolomiti, anfiteatro naturale d’eccellenza, luogo di sport da record, ma anche icona glamour per bon vivant: “Cortina è tutto!”. Sovente questa espressione sintetizza tale località, regina immortale d’alta quota dove baite e vette competono nella grande discesa libera tra lusso e stupore alpino. Se per un certo tempo il paradigma Cortina, sembrava indirizzato verso un nostalgico decadimento a vantaggio di vicine valli, oggi l’epicentro di Faloria, Tofane e Monte Cristallo ha riconquistato la sua egemonica posizione tra Campionati del Mondo di Sci, imminenti eventi olimpici e anche una vibrante riscossa saporita, che constatiamo con grande godimento. Apripista della new wave (va precisato, nella vicina San Vito di Cadore) furono Oliver Piras e Alessandra Del Favero, poi il duo Ludovica Rubbini e Riccardo Gaspari e, infine, l’Alajmo family che con consueta lungimiranza imprenditoriale ha scelto Cortina come suo avamposto montano nell’antologico El Toulà. Nomi importanti, ma anche giovani che con la loro intraprendenza e tenacia raccontano l’olimpiade gastronomica dove, appunto, bravura e competenza degli atleti del gusto si articolano tra le diverse specialità. In tale parterre, la nostra visita si orienta, su quella più in alto (con 1665 s.l.m), con la Baita Piè Tofana di Federico Rovacchi. Più in alto ma anche più giovane, a gareggiare con materie prime che escono dalla conca ampezzana e, di riflesso, nella loro manipolazione, onorano la tradizione circostante che le ospita.

Energia pura

Quella provata è una sequenza che esprime appagamento del cliente e livello tecnico e creativo di ciascun piatto. Materia interpretata correttamente, pregevole nella fattura quanto nella sua comprensione. Dettaglio importante per una clientela come quella di Cortina, alto spendente ma talvolta poco propensa alla sperimentazione gourmand. Tre i piatti di particolare menzione, piacevolmente inseriti in un servizio di sala giovane e dinamico. Il Coniglio grigio di Carmagnola in fricassea, verza, funghi e salsa di foie gras. Il coniglio, preservata l’umettatura delle carni grazie ad una cottura espressa e alla ricchezza sontuosa della salsa al foie gras, si allinea al corposo fondo che dona il tipico carattere da lunghe cotture. La verza, poi, crea alternanza di masticazione tra proteina e vegetale, con una incalzante cadenza d’inganno ad ogni boccone. Il Plin tonnato con fava di Tonka e olio alla nocciola ci è sembrato il piatto più intrigante della proposta: una madeleine proustiana… A bordo-pista. Il ripieno del classico plin, rimane quasi invariato se non fosse per l’impiego del pastin, la tipica salsiccia del bellunese, street food per eccellenza da queste parti e tra i must dell’inverno dolomitico. La forte speziatura insieme all’arrostitura catalizzano immediatamente la mente, in contraccolpi aromatici sedati dall’amaricante dolcezza della fava di Tonka impiegata. In ultima battuta il Maiale grigio del Casentino servito in triplice servizio: il carré arrostito alla brace e accompagnato da salsa romesco fatta però con l’nduja; la costina laccata bbq; il chorizo realizzato in casa e la pancia di maiale servita alla coreana con lattuga e riso soffiato. Il problema? Forse, capire da quale parte iniziarne a godere.

Le olimpiadi di Milano – Cortina sono previste per il 2026, Rovacchi e Co., insieme a tutta la meglio gioventù che da queste parti da qualche tempo opera, sono già partiti dai blocchi: energia pura, ci sarà da divertirsi!

IL PIATTO MIGLIORE: Plin tonnato, fava di Tonka e olio alla nocciola. 

La Galleria Fotografica:

La Cortina calandrosa degli Alajmo

Ci sono locali che hanno fatto un’epoca. Prendiamo Il Toulà a Cortina, aperto dal leggendario Alfredo Beltrame nel 1964 quando la regina delle Dolomiti era diventata meta ambita del jet set international, e non solo degli amanti di sci e arrampicate. Toulà, che in ladino sta per “fienile”, dopo aver concluso la sua splendida epoca, è risorto poche settimane fa come Alajmo Cortina. Gli “Alajmo Bros” non hanno bisogno di presentazioni. L’uno, Raffaele, a completare l’altro, Massimiliano, in una simbiosi creativa e operativa che ha saputo far sognare i palati devoti dalla culla di Sarmeola di Rubano sino agli scenari veneziani del Quadri (uno per tutti), Il Caffè Stern di Parigi, Marrakech, per non parlare di quella piccola chicca tutta da scoprire che è Le Cementine, in quel di Roncade, in collaborazione con il visionario Massimo Donadon, ideatore di H.Farm.

Ma torniamo con gli scarponi in altura. L’investimento non è stato casuale, posto che le Olimpiadi invernali del 2026 oramai sono dietro l’angolo: “Entreremo in punta di piedi, rispettando la storia e le atmosfere di questo luogo”, ricorda MassiMax. Con la loro impronta personale, come sottolinea Raffaele. “È la nostra nuova wunderkammer (camera delle meraviglie, n.d.r.), un luogo dove respirare il meglio che ci circonda, in un ambiente accogliente”. In sala troviamo il bravo Andrea Coppetta che coordina un team giovane ma già ben rodato. La prima sorpresa è in cucina. Il mestolo di comando è stato affidato a Mattia Barni, un comasco classe ’92, che da anni è parte del Calandre Team. A fianco di Silvio Giavedoni al Quadri, poi alle Calandre, al Sesamo di Marrakech, poi di nuovo Venezia e ora ai fornelli del ristorante con vista Tofane.

Sensibilità che valorizza profumi e sapori

La proposta al piatto si articola su tre linee. Fluidità, ovvero senza barriere di sorta per la materia prima. Mare e Orto. Caccia e… che non ha bisogno di ulteriori dettagli. Noi abbiamo saltellato qua e là, godendo dei cinque sensi in armonia conseguente.

Si parte di mira precisa con la Battuta cruda e affumicata di cervo con tartufo bianco, giusto per far entrare in coppia le papille con una “alajmitudine”, ovvero il Cappuccino di musetto, che fa il verso montanaro al cugino di pianura (e laguna), il Cappuccino di seppie al nero. “Il paradiso può attendere” con gli Gnocchi di patate al grano arso con trippette, gole di baccalà e salsa di ricotta affumicata. Qui il tocco assassino è stato tenuto anonimo sulla carta, ovvero quelle lamelle di porro fritto che vi sparano nella galassia, con un retrogusto che vi coccola a lungo. Un piatto che, da solo, vale la cortinata calandrosa. Si viaggia conseguenti con il pentagramma dei fornelli che vi riporta sulla terra con il Risotto all’amarone, lepre al tartufo bianco e radicchio di Treviso alla barbabietola e, a seguire, con la Scaloppina di scottona al Marsala con funghi, salsa di aglione e polenta croccante. Un piccolo stacco con il Sorbetto di pompelmo rosa e pino mugo con spuma frizzante di gin per concludere in gloria con i Bignè croccanti con crema allo zafferano, salsa di liquirizia e limone nero.

Pronto a scendere in pista con il gusto in discesa libera, di slalom tra fantasia e sostanza. Sia per la brigata di sala che per quanto arriva dalla cucina si sente la mano degli Alajmo Bros., ma è il saper fare squadra che fa la differenza. A Cortina dunque, ancora una volta, l’ennesima conferma. A postilla, l’attestato di stima del tristellato di lungo corso, il non ancora cinquantenne Massimiliano, per il giovane collega: “Mattia Barni sa trasmettere al cibo il suo fuoco interiore, che è il frutto di una sensibilità che valorizza profumi e sapori oramai dimenticati da un mondo spesso ingrato del passato”. Ipse dixit. Provare per credere.

Per un locale che è ancora in rodaggio di apertura, visto che ha aperto da una manciata di settimane, non c’è che dire, se non che ci limitiamo, per il momento, a uscire senza voto.

La Galleria Fotografica:

Nuova promessa nella perla delle Dolomiti

Cortina d’Ampezzo, perla incastonata in uno dei più famosi anfiteatri naturali fra leggende di pietra che si stagliano con affascinanti rosati riflessi, è il luogo dove ha preso vita il San Brite, propaggine gastronomica avanzata di El Brite de Larieto, agriturismo già di consolidata fama condotto dalla famiglia Gaspari.

Se casunziei & co sono già materia classica che lo chef Riccardo Gaspari padroneggia, l’idea di voler fornire una visione alternativa, pur mantenendo la stessa filiera di produzione di El Brite de Larieto, sembra quanto mai intrigante. Ciò che colpisce subito nei menu del San Brite è la volontà di far comprendere l’intenzione che ha portato all’ideazione del piatto, che rifiuta cliché o trend dell’anno a favore della valorizzazione delle materie prime del territorio.

Gaspari, sciatore professionista (è stato azzurro di sci) la stoffa del campione c’è l’ha tutta, merito forse  anche del coaching vissuto con le dinamiche della grande brigata dell’Osteria Francescana.

L’intenzione per comprendere la nascita di un piatto

Ad aprire il pasto, il burro montato al momento segna la valenza della materia prodotta dal papà Flavio, casaro e pastore. La sontuosa grassezza del burro cremoso -salato al punto giusto- fa da preludio alla patata di montagna cotta alla brace e servita con il suo purè, le bucce fritte e il beurre blanc. La trota di montagna servita cruda con le sue uova, coperta da una leggera emulsione di panna acida, acqua di prezzemolo e germogli di piselli è un’altra espressione con cui lo chef ci introduce nel suo percorso tra boschi e origini familiari. Addentrandosi in questa foresta gastronomica, è possibile scorgere piatti di rimando al passato botturiano come il Panino al formaggio, dove le 5 stagionature a 1200 metri di quota sono quelle del formaggio latteria.

La meraviglia naturale di Cortina si declina anche nella sua floristica molteplicità di larici, pini e conifere. Da ciò, Gaspari prende spunto per elaborare un grande piatto: lo Spaghetto cotto nel brodo di gallina e mantecato con olio al pino mugo. Stupendo per l’impiattamento, per i sentori balsamici di sottobosco e per la carica olfattiva di freschezza erbacea, presente anche nei secondi di lumache e lepre.

L’ottovolante creativo di Gaspari continua nella sua corsa con il colpo di scena che introduce al dessert: la cagliata della ricotta, pronta per essere raccolta direttamente in sala, con tanto di caldera. Una calda apoteosi casearia, lieve al palato, cremosa e che parla ancora una volta di tradizioni locali.

Ludovica Rubbini, compagna di vita e sul lavoro con Gaspari, in sala riesce a instaurare empatia con il cliente conducendolo nell’inusuale abbinamento che collima perfettamente nella cucina proposta.

Ci sentiamo di arrotondare per eccesso perché riteniamo che la promessa della famiglia Gaspari di incuriosire attraverso l’educazione alla conoscenza del luogo, verrà confermata nel futuro prossimo, e anzi affinata.

Davvero… doloMITICO.

La galleria fotografica:

Abbiamo fatto una seconda cena all’Aga, a due giorni di distanza dalla prima.
Due cene nello stesso posto, in un intervallo ristretto di tempo, sono un regalo che qualunque appassionato dovrebbe farsi ogni tanto (ovviamente in un posto che meriti tale impegno).
Permette di cogliere numerosi dettagli magari passati inosservati al primo sguardo.
Un po’ come rivedere un film che ci è tanto piaciuto per la seconda volta: sembra quasi un film diverso, più pieno, più completo.
Così è stato qui.

Una grande conferma di maturità: tutti piatti diversi, non un tentennamento, non una incertezza.
Anzi, forse dopo aver preso le misure al cliente, ci è sembrata una cucina ancora più precisa, più sicura nei suoi tratti spigolosi e pungenti.
Quella di Piras e Del Favero è una cucina intelligente: acido e amaro vengono gestiti con grande padronanza, senza paura di scuotere il cliente, perché in ogni piatto non manca mai la nota confortevole, rassicurante. Nel nostro caso sono state le consistenze a rassicurare: emblematico il manzo mantecato, dove un piatto a tratti estremo, di grande complessità, viene reso accessibile dalla consistenza morbida, quasi burrosa, della splendida carne.
Ma quello che più stupisce è l’aromaticità di ogni portata: pur essendo ancora molto percepibili gli influssi tra Nord Europa e Giappone, (da cui ci si dovrà affrancare maggiormente) l’utilizzo delle erbe e in generale degli aromi di tutti gli ingredienti rende questa tavola qualcosa di unico, nuovo e inaspettato.
Una cucina sartoriale: i coperti sono al massimo 16, ma più spesso la sala si assesta sulla decina di clienti. Questo permette ai due cuochi di gestire i tavoli in un rapporto molto diretto, uscendo dalla cucina per presentare i piatti e discutere degli stessi (più spesso Piras in verità, evidentemente il più estroverso della coppia).
A chiusura, un aspetto non meno importante: la leggerezza. Bandito ogni grasso superfluo, i sapori sono veicolati ugualmente da brodi, infusi ed erbe aromatiche. Si potrebbero mangiare i piatti di un intero menù senza risentirne minimamente: non sentivamo una tale sensazione di leggerezza a fine pasto dai tempi delle nostre scorribande in terra giapponese.
E’ ristorante da menù degustazione, senza nessun dubbio.
La brigata di sole tre persone non è in grado di reggere una gestione della carta che non vada oltre la riproposizione dei piatti pensati e realizzati nell’ottica di un percorso, piatti che quindi, isolati dal loro contesto, non possono funzionare, sia per quantità che gestione delle aromaticità.
E’ il loro salotto, la loro casa, e a casa di altri ci si affida totalmente.
Lasciate carta bianca quindi, e godetevi lo spettacolo.

Tagliatella di patata e salsa alla rosa canina.
Tagliatella di patata, Aga, Chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore
Caesar Salad.
Pelle di pollo croccante, uva spina fermentata, insalata di erbe e neve di pollo.
Caesar Salad, Aga, Chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore
Rapanello serpente e crème fraîche.
Ingrediente. Nudo e crudo.
ravanello, Aga, Chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore
Fiore di nasturzio, grasso d’oca e prugna fermentata.
Un capolavoro. Incredibile la lunghezza del grasso d’oca in bocca, infine ripulito da una acidità millimetrica.
fiore, Aga - Seconda parte, Chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore
fiore, Aga, Chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore
Manzo mantecato, ribes, geranio e caviale.
Manzo mantecato, uva spina, caviale, olio al levistico e geranio al limone. Servita con una bruschetta all’aglio fermentato.
manzo, Aga, Chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore
bruschetta aglio nero, Aga, Chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore
Cappelletti di cipolla brasata, gamberi di fiume, menta messicana, brodo di crauti.
Altro colpo da ko. Abbiamo avuto i brividi dall’emozione.
La mente è tornata alle prime cene a Torriana, da quel Parini che tanto ci avrebbe stupito nel corso degli anni: solo lui ci aveva saputo sorprendere in modo così inaspettato, con degli ingredienti semplicissimi.
La dolcezza del raviolo è domata da menta e crauti. Il gambero è contrasto di consistenza. Quello che rimane in bocca è assoluta pulizia.
raviolo, Aga, Chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore
Riso Carnaroli Riserva San Massimo, lamponi e salvia.
Una leggera nota di burro affumicato crea una sinfonia perfetta.
riso, Aga, Chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore
Salmerino alla mugnaia, acetosa, mirra e anice.
salmerino, Aga, Chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di CadoreAnimella cotta in burro nocciola, oxalide rossa, rapa marinata nel karkadè.
In realtà non un burro nocciola, ma burro fatto sciogliere con un pezzetto di legno e poi filtrato per togliere la parte più grassa: rimane il gusto, ma non la stessa componente lipidica.
Il piatto è l’ennesimo capolavoro.
animella, Aga, Chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore
Predessert (!)
Cuore di manzo, pepe di Sichuan, cavolo nero.
Il protagonista è proprio il pepe, balsamico e sfacciato, perfetto in preparazione al dessert.
predessert, Aga, Chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di CadoreSpuma di pere, gelato al pepe di sarawak, cialda di caramello ed estratto di radici di levistico.
Ottimo ma forse non allo stesso livello della parte salata.
Probabilmente la pasticceria è la parte del pasto su cui si può lavorare di più.
spuma di pere, Aga, Chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore
I vini della serata.
vino, Aga, Chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore
vino, Aga, Chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore
vino, Aga, Chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore
vino, Aga, Chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore
vino, Aga, Chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore
vino, Aga, Chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

Ci sono dei momenti nella vita lavorativa di una persona in cui tutto va come deve andare.
E non stiamo parlando di successi, quelli sono quasi sempre una conseguenza di un giusto stato mentale e una buona dose di fortuna.
Stiamo parlando di sensazioni.
Di quel leggero “friccicorio” che ti prende fin dalla mattina, partendo dalle punte dei piedi e arrivando fin su ai capelli: quella voglia di fare, di realizzare qualcosa di importante, che non ti fa mai staccare completamente il pensiero dalla tua postazione di lavoro. E allora le idee escono da sole: le dita scorrono sulla tastiera in un balletto automatico, quel progetto prende forma esattamente come lo avevi pensato, o semplicemente, calandoci nella realtà che più amiamo, il piatto raggiunge quel compimento che stavi cercando con una facilità che non ti aspettavi.
Questi, sono momenti da non perdere. Entusiasmanti, tanto per chi sta da una parte della barricata (ristoratore) tanto per chi sta dall’altra (cliente).
Perché in questi momenti l’analisi organolettica del piatto non conta più niente; il pensiero, l’idea, la forma, sono bolle di sapone di cui godere per non più di un istante.
In questi momenti vince l’energia. La senti. La senti nell’aria, la senti nell’entusiasmo del sommelier che ti spiega un vino, la senti nei dettagli, la senti nel cuoco che sembra camminare a un metro da terra.
Energia.
Allora, quando hai la fortuna di trovarti da cliente nel posto giusto al momento giusto, non puoi far altro che lasciarti andare e goderti lo spettacolo.
I brividi, quelli del piacere più autentico, sono assicurati almeno un paio di volte nel corso dello spettacolo. Il resto saranno sorrisi ebeti di piacere, pace assoluta e svanimento di ogni preoccupazione, almeno per quelle magiche due ore a tavola.
E la gente continuerà a non capire come possiamo spendere follie e fare 500 km per cose come questa. E tu continuerai a fregartene e ricominciare ogni volta tutto da capo.

L’abbiamo presa un po’ larga, ma forse nemmeno troppo. Potremmo scrivere due parole in più su Michele Tarroni (il direttore di sala), Oliver Piras e Alessandra Del Favero (gli chef): tutti insieme non arrivano al secolo di vita, eppure quanta maturità e magica spensieratezza nei loro gesti.
Potremmo scrivere che sta crescendo tutto, piano piano come è giusto che sia: anche sala e cantina hanno preso il ritmo della cucina e, già oggi, l’abbinamento al calice curato da Tarroni è un perfetto ingranaggio “dell’esperienza Aga.” Ma scivolerebbe tutto in secondo piano rispetto a quella energia che respirerete a pieni polmoni.
Tutto finito qui? Certo che no.
Si può ancora lavorare sulla affermazione della personalità (che non manca), scrollandosi di dosso quanto visto e vissuto finora e formando davvero una nuova visione di cucina: obiettivi che farebbero tremare i polsi a chiunque, ma non a loro.
Si può lavorare sul completamento della già sopracitata “esperienza Aga”, magari curando anche una colazione mattutina di livello adeguato (oggi non è così, ma la presenza dell’hotel è una risorsa da non sprecare).
Si può fare tutto qui. Basta non perdere questo entusiasmo: il cliente lo avverte e se ne ciba.
L’entusiasmo non si costruisce in decine di stage, l’entusiasmo è virale.
Continuate così. Noi continueremo a tornare a trovarvi.

Si comincia così:
Vermouth, acqua, pelargonium.
vermouth, Aga, chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

Carota in carpione di carota.
Sotto la pelle seccata e soffiata, sopra tartare e carpione. Ottimo.
carota in carpione, Aga, chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

Finto calamaro: albume d’uovo marinato nel garum e poi grigliato.
finto calamaro, Aga, chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

Il pane (di un solo tipo, fantastico) e il burro montato del Brite.
pane, Aga, chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

Aga, chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

Insalata di Persico, rabarbaro, menta e liquirizia.
Persico, quinoa nera, menta e rabarbaro. Sconvolgente.
insalata di persico, Aga, chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

Subioti (ditalini) con trota salmonata ghiacciata, ribes, origano cretico e succo di fagiolini.
Unico passaggio non del tutto convincente, non ci è piaciuto molto l’impatto ghiacciato dato dalla trota salmonata (che dovrebbe simulare visivamente il formaggio grattugiato).
La nota positiva è che, pur nello squilibrio, rimane comunque un piatto che fa riflettere: un ottimo segnale.
subioti, Aga, chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

Ravioli, rilette all’aceto e brodo di formaggio di malga.
Ravioli ripieni di rilette (di trippe) e aceto di riso, tagete huacatay, brodo di formaggio piave stravecchio.
ravioli, Aga, chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

Qui torniamo altissimi. I ravioli sono perfetti, con componente grassa e acida perfettamente dosata.
Capitolo a parte per il brodo, davvero un capolavoro di tecnica e pensiero: questo significa prendere uno spunto (dal Giappone) e contestualizzarlo in maniera originale e personale.
Spendiamo due parole allora sulla preparazione di questo brodo.
Si mette a freddo 1 litro di acqua e 300 grammi di Piave o formaggio molto stagionato analogo, si porta a 85 gradi.
Fuori dal fuoco si aggiungono 5 grammi di katsuobushi e 5 di pino mugo, si copre con pellicola e si fa raffreddare. Si filtra tutto e si mette in un contenitore a riposare per 12 ore. Passato questo tempo si congela, si sforma togliendo la parte grassa venuta in superficie.
Si scioglie e si scalda per il servizio, aggiungendo ogni giorno il 10% del brodo del giorno prima (più saporito perché scaldato per tutto il servizio precedente).
Che dire… chapeau.

Spaghetti mantecati con mirtilli, salsiccia cruda e abrotano.
Già un signature dish. A ragione. Pasta cotta in un succo di mirtilli rossi e neri, un concentrato di acidità che richiama molto l’astringenza del pomodoro. Morbidezza confortevole (la salsiccia) e il piatto si maschera, pronto a qualsiasi palato.
spaghetti, Aga, chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

Il piccione di Massimo Greppi, Sambuco e funghi.
Piccione, brodo di funghi (la base è il brodo di piccione con aggiunta di funghi e fiore regina dei prati), bacche di sambuco sottaceto, spinacio selvatico (buonenrico).
Spettacolare.
piccione, Aga, chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

piccione, Aga, chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

Secondo servizio: Coscia in aceto di sambuco.
Coscia di piccione, Aga, chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

Predessert: Limone e alloro. Digestivo naturale.
predessert, Aga, chef Oliver Piras e Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

Mousse di caramello, gelato alla lavanda, siero ridotto e mela.
mousse di caramello, Aga, chef Oliver Piras, Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

Piccola pasticceria.
Marshmallow all’albicocca.
piccola pasticceria, Aga, chef Oliver Piras, Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

Melone marinato nel lime e polipodium.
Anche nel finale, una ispirazione giapponese (la frutta a fine pasto) interpretata in modo originale.
melone marinato, Aga, chef Oliver Piras, Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

I vini della serata.
vini, Aga, chef Oliver Piras, Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

skerk, Aga, chef Oliver Piras, Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

vino, Aga, chef Oliver Piras, Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

Aga, chef Oliver Piras, Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

Aga, chef Oliver Piras, Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

sake, Aga, chef Oliver Piras, Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

sake, Aga, chef Oliver Piras, Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore

Aga, chef Oliver Piras, Alessandra Del Favero, San Vito di Cadore