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Noma

Al vertice della World 50 Best e le 3 Stelle Michelin, inarrestabile

Primo ristorante al mondo del 2021 per la World’s 50 Best Restaurants: qualcuno lo chiama “Noma 2.0”, inaugurato nel febbraio del 2018 nella città libera di Christiania, celebre quartiere hippy di Copenhagen, all’interno di un ex magazzino per lo stoccaggio delle mine della marina danese.

Pur avendo già primeggiato nella 50 Best in quattro occasioni (2010, 2011, 2012 e 2014) è stato ritenuto idoneo per la classifica (che ormai da qualche anno non consente di essere rieletti n.1 se si è già entrati nella “Hall of fame”) a causa di tre cambiamenti chiave rispetto al ristorante originale: la differente location, il nuovo concept e la proprietà. Secondo i giudici della 50 Best il riconoscimento al Nomaè una testimonianza della infallibile capacità da parte di Chef René Redzepi e della sua squadra di focalizzarsi su ingredienti stagionali inusuali – il menù è rigorosamente stagionale, diviso in tre fasi: di pesce in inverno, vegetariano in estate e cacciagione e prodotti del bosco in autunno – reperiti localmente e portati a nuova vita nel piatto in modo creativo e complesso”.  Parole che condividiamo appieno dopo la nostra visita.

Ribattezzato dallo stesso Redzepi “fattoria urbana”, dall’esterno sembra una serra: è un complesso formato da sette edifici, con sale dedicate a carne, pesce e cibi fermentati, oltre a una sala da pranzo privata per i dipendenti, che hanno a disposizione anche delle camere. Vi ci lavorano quasi un centinaio di persone per 40 coperti. Molte di queste le vedi quando arrivi, non foss’altro che all’entrata tutta la brigata è lì per darti il benvenuto.

Il menù selvaggina e foresta

Renne, anatre, cinghiali, orsi, zucche, funghi, castagne, barbabietola gialla e tante erbe. René Redzepi è un impareggiabile maestro nell’utilizzare la flora e fauna dell’autunno danese in una miriade di combinazioni differenti e nel menù ‘Selvaggina e foresta’ in cui il rispetto per la natura incontra l’innovazione culinaria, l’estro creativo e perfino il senso dell’umorismo lo chef offre il meglio di sé. “Questo menu è la celebrazione dell’abbondanza dell’autunno e della sola stagione in cui la carne gioca un ruolo di protagonista” era l’annuncio di questo menù sulla pagina Instagram del ristorante. Un menù naturalistico, spettacolare nella presentazione per colori, geometrie e originalità dei contenitori spesso provenienti da scarti degli ingredienti e straordinario nella decisione dei sapori esaltati dall’immancabile umami e da consistenze e temperature studiate con millimetrica precisione per una perfetta combinazione tra proteine animali e prodotti vegetali del bosco. Indimenticabili lo spiedino di speck di cinghiale con pesto di castagne, la raggiante bellezza (e il sapore terroso) del sashimi di barbabietola gialla, la perfetta consistenza del petto di alzavola servito con la sua pelle e le interpretazioni della renna che ha iniziato e chiuso il menù con ragù di cervello e midollo caramellato.

Il servizio è competente, attento e amichevole con un’alternanza di persone di diverse nazionalità, anche se nel nostro caso la maggior parte delle portate è stata servita da italiani. La carta dei vini offre una certa varietà di etichette, spesso poco note, e con preferenza per vini naturali. La carta proponeva un pairing a base di vini e uno a base di succhi e infusi. Noi abbiamo optato per i vini risultati ben coordinati con le numerose portate.

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“We grow, harvest, preserve, serve, and love Bornholm”

Nel 2007 due amici, Nicolai Nørregaard e Rasmus Kofoed, decidono di aprire a Bornholm, piccola isola danese nel Mar Baltico, al largo della costa svedese, un ristorante che fosse, al contempo, un sentito omaggio sia al bucolico territorio della loro amata terra natale che alla loro passione per la cucina. Un’idea tanto feconda che nel 2011 arriva, ci piace pensare per gemmazione, un secondo locale nel quartiere di Christianshavn, nel cuore di Copenaghen e sarà proprio questa versione cittadina a raggiungere, e superare, nel giro di pochi anni, la fama dell’indirizzo originario.

Nella piccola sala una cucina raffinata, elegante, curata in ogni particolare celebra, amplificandone le peculiarità, i prodotti provenienti dall’isola senza ignorare la tradizione e fornendo una propria personale versione di quella cucina nordica, il NOrdic MAd, di cui il concittadino Noma è, da anni, l’incontrastato alfiere internazionale.

Un solo menù degustazione distilla con efficacia l’idea di cucina bornholm-centrica dello chef che vede ogni portata come un’occasione per sviluppare un piccolo viaggio intorno a un ingrediente. Contrappunti, marinature, cotture alla brace, affumicature, utilizzo di fiori e frutti e fermentazioni sono gli strumenti adottati con perizia per rappresentare felicemente, attraverso la stagionalità o le tecniche conservative, un microcosmo gustativo dalle interessanti prerogative.

Molto interessante, ad esempio, il ricorso all’uso di sottaceti che con differenti sfumature sottolineano questa o quella caratteristica come le fragole che bilanciano in modo estroso la texture di un rombo mirabilmente cotto o i germogli di abete che donano una felice nota balsamica alla cozza delle Far Øer. Le varie affumicature ottenute utilizzando diversi tipi di legno o i gradienti di acidità ricercati nei frutti ma anche, e soprattutto, in bacche, alghe ed erbe offrono una visione ancora più approfondita della cucina del Kadeau.

Anche i dolci, pur se apparsi un filo scolastici, sono coerenti col milieu gastronomico evocato dal ristorante e chiudono un’esperienza che vale la pena di fare per conoscere un ulteriore aspetto di una delle città gastronomicamente più vibranti d’Europa.

*disclaimer: per amore di conoscenza e rispetto nei confronti dei nostri autori abbiamo consapevolmente deciso di pubblicare questa scheda nonostante l’istanza di fallimento del gruppo Kadeau sia ormai di dominio pubblico. 

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Un tristellato allo stadio, solo a Copenaghen

Rasmus Kofoed ha avuto una carriera folgorante. Primo tristellato danese della storia, riconoscimento ottenuto nel 2016, è stato ancor prima vincitore del Bocuse d’Or e, in precedenza, due volte secondo e terzo (rispettivamente medaglia d’argento e di bronzo). Eppure Rasmus, che il giorno della nostra visita non era presente, deve avere un carattere e un atteggiamento davvero esemplare. Lo si intuisce nel clima che si respira qui, all’ultimo piano dello stadio comunale di Copenaghen, luogo inusuale per un ristorante di fine dining e che è al contempo professionale, impegnato e dedizioso. Ma l’aria che si respira è anche di totale complicità tra i collaboratori, che ridono, scherzano durante il servizio, alcuni ballano sulle note delle molte canzoni che fanno da sottofondo alla vostra piacevole esperienza.

Sostenibilità ed ecologia, non solo nel piatto

Una gentilezza, un pathos, una empatia tutt’altro che di facciata. Perché il pensiero e la filosofia del capo è che di ecologico e sostenibile, oltre che organico, non ci devono essere solo i prodotti, ovvero la materia prima cucinata. Sostenibile ed ecologico deve essere anche l’ambiente lavorativo, il modo di viverlo e di sentirlo. Ecco quindi che i servizi sono 8 alla settimana, da mercoledì a cena a sabato a cena. 3 giorni di riposo (domenica, lunedì e martedì). E non è raro vedere Rasmus che alle 16.00 abbandona il locale per andare a prendere i figli a scuola. E tutto ciò per noi è un valore, un grande valore. Che necessariamente si trasferisce nell’anima dei piatti e delle preparazioni servite.

Ma parlando più precisamente e dettagliatamente della cucina di Rasmus Kofoed  e del suo Geranium è facile travisare l’estremo manierismo, la perfezione delle forme e delle cesellature dei piatti e delle guarniture con una fredda e distaccata anaffettività gustativa. I piatti sono sottili, finissimi, con sapori mai troppo marcati, mai eccessivi, mai debordanti. In puro stile Bocuse d’or tutto quanto è appena sussurrato, e finissimo. Ma non si confonda con l’evanescenza. Piuttosto con profilo gustativo molto elegante e mai in eccesso ma che in molti casi arriva ad avere una profondità di gusto e una variabilità davvero sorprendente. Basta poi guardare alcuni piatti (i cannolicchi ricostruiti, il nasello, le foglie stilizzate di aperitivo) per ritrovare in molti illustri colleghi, anche italiani, alcuni spunti di ispirazione evidente.

Ciò significa che questa cucina è tutt’altro che manierista, sarebbe questa, anzi, una visione alquanto superficiale. E ci è molto piaciuto il rito, l’accoglienza, la discreta confidenza di una sala che trova in Mattia Spedicato, nostro conterraneo che si è fatto onore in Danimarca, un grandissimo interprete e protagonista. I piatti che ci hanno più impressionato ? Sedano rapa e tartufo nero, i semi di zucca con il caviale e l’uovo con le cipolle.

Andateci! Ne rimarrete estasiati.

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Il regno del grande prodotto italiano, a Copenhagen

La Danimarca è ricca di fermenti, e non alludiamo – per lo meno non solo – alle tecniche di conservazione di verdure e, più in generale, dei prodotti edibili, qui molto utilizzate. Piuttosto, facciamo riferimento a paese decisamente all’avanguardia per le politiche socio-culturali, culla di un progetto interessante come Farm of ideas: una comunità di sviluppo agricolo sostenibile situata a una quarantina di km da Copenhagen. Qui Christian Puglisi, geniale cuoco e imprenditore, ha lanciato con alcuni compagni questo progetto sociale, una comune che produce ortaggi, frutti, alleva animali e distribuisce i propri prodotti, costruiti tutti attraverso percorsi sostenibili ed ecologici, all’interno dei progetti di ristorazione appartenenti al gruppo.

C’è il ristorante gourmet, il Relae; una panetteria con cucina di nome Mirabelle; il vermouth bar Rudo; il  bar à vin Manfred e, infine, c’è questo splendido Baest, difficile da definire, come del resto anche gli altri, nel suo status. Qui si producono idee avanguardiste non solo nei sistemi produttivi e aggregativi ma anche nei modelli ristorativi, ibridi e non definiti, come si stanno imponendo oggi. Trattoria, pizzeria, cocktail bar, vinoteca… Baest è un po’ di tutto questo, e nulla di tutto ciò.

Uno splendido locale in cui prendere un aperitivo, attingendo dalla ristretta ma interessante carta dei cocktail, degustando gli ottimi prodotti di norcineria e caseari prodotti in proprio. Abbiamo assaggiato una mozzarella, danese, che difficilmente dimenticheremo e la cui qualità risulterebbe tra le migliori, anche in Italia. Un culatello di 24 mesi splendido, un buon salame, una coppa da sballo.

Ma vogliamo parlare della pizza? Lievitazione, impasto, cottura… tutto semplicemente perfetto. Un tripudio di italianità realizzata a regola d’arte, davvero. Concludiamo il percorso di degustazione con una rapa cucinata da sogno e un filetto di manzo con verdure davvero eccellente. Pur essendo la carne di elevatissima qualità sono le verdure e la frutta in accompagnamento – mele e frutti rossi da antologia – ad essere protagoniste.

Insomma, se siete a Copenhagen non fatevi mancare un passaggio nella galassia Relae: non ve ne pentirete.

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Il manifesto della cucina nordica e sostenibile di Christian Puglisi

“Relae works on focused and tasty food, no muss, no fuss. Everything is cut to the bone, no framse but the few hanging on the walls. Simplicity with quality come first, great details are just beneath. It’s our choice to be certified organic, buecause its worth it. Wine ? we pic ’em natural, you pour ’em”

Christian Puglisi, chef di origini italiane, è noto come ex sous chef del ristorante Noma. Ma dalla sua dipartita dalle cucine di Redzepi&Co, alcuni anni or sono, il suo focus e il suo progetto di vita, che ruota attorno alla comunità Farm of Ideas, ci hanno sempre intrigato. E così abbiamo seguito la sua evoluzione fino all’apertura del Relae, a cui poi sono seguiti alcuni satelliti minori, certo non meno importanti.

Il manifesto del locale di punta, il Relae appunto, è tanto significativo quanto coerente con ciò che troverete anche altrove ed è necessario dire che ci siamo davvero emozionati, a questa tavola, percependo un’energia positiva immensa, costruita sulle basi della sostenibilità non solo ambientale ma sul buono e sano – inno di Slow Food, da tempo immemore – che qui diventa inesorabilmente vera, viva, pulsante e intensa.

Sostenibilità ambientale, sociale, intellettuale

E così prende vita una cucina solo apparentemente semplice, che nasconde una grandissima tecnica e una profondità di pensiero che solo gli avventori più superficiali non colgono. Ecco quindi che le posate e le stoviglie le prendete voi dal cassetto disponibile sotto al posto di ogni commensale: a voi la scelta di non abusarne. Così come i prodotti impiegati, con uno straordinario sapore e intensità sono, come recita l’incipit, utilizzati sino all’osso. Nulla viene buttato, tutto è trattato e utilizzato al meglio, anche i prodotti considerati più poveri un tempo, ma preziosissimi oggi.

Tutto questo potrebbe apparire uno slogan, la modalità di utilizzo di strumenti di marketing tanto à la page di questi tempi, la sostenibilità. Invece l’anima di questo luogo e della cucina del Relae trasuda verità e difatti è incredibilmente buona, profonda e persistente. La tecnica seppia e quinoa, immensa nella sua persistenza. L’uso anche delle bucce tostate per il giro attorno alla zucca, impiegata peraltro anche nel pre-dessert. L’immenso bianco su bianco del luccioperca e sedano rapa, un piatto antologico che lavora sul sapore dell’incolore. La partenza stratosferica con mela e brodo di betulla con frutta fermentata e le verdure fermentate in accompagnamento al piatto principale, l’anatra, che diventa comprimario al loro cospetto e così via fino al dolce con orzo fermentato: un mono-elemento lavorato con grande tecnica e profondità gustativa.

Insomma, un percorso che abbiamo arrotondato per difetto, per  ora, nella valutazione attribuita ma che in realtà ha rappresentato uno dei pranzi più entusiasmanti dell’ultimo periodo del 2019, e non solo. Ci torneremo, ancora, presto. Senz’ombra di dubbio.

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