Siamo ad Erbusco, centro della Franciacorta nonché città sede di una delle più grandi aziende produttrici di bollicine italiane, se ci è consentito chiamarle così. Bellavista e la famiglia Moretti hanno qui il loro regno. E nella sede che fu dell’ex Mongolfiera dei Sodi, ristorante famoso per le grandi portate di carne, è approdato Pasquale Torrente, direttamente dal Convento di Cetara. Portando una ventata di aria campana prorompente e fresca.
La famiglia Moretti ha deciso di affidare al grande simbolo di Cetara, e della stra-nota colatura di alici, questo bel ristorante che Pasquale, dopo un rodaggio iniziale a 4 mani, ha affidato nelle sapienti mani del figlio in cucina, e della nuora in sala.
Qui, dicevamo, si respira il profumo di Cetara sin dall’ingresso. Il ristorante è arredato in maniera fine ed appropriata con tanti richiami della terra di origine del cuoco. Dalla mise en place, davvero gradevole, ed improntata su ceramiche tradizionali molto eleganti, al servizio, informale ma molto attento e preciso, alla carta dei vini, che vive per intero la dicotomia di questo matrimonio, ed in cui c’è ampio spazio per la Franciacorta ma un altrettanto interessante approfondimento sul territorio Campano e i suoi vini.
E poi, infine, la cucina. Marinara, come dichiarato nel titolo, con un protagonista indiscusso: l’alice in tutte le sue forme che, a Cetara, ben conosciamo.
Una cucina semplice, in cui l’ingrediente è al centro. E proprio su questo tema, l’ottima materia prima che usualmente è proposta da Torrente ha avuto lievi cali in alcuni passaggi (ad esempio nella qualità non eccelsa dei pomodori in accompagnamento ad uno stupendo baccalà) e, unitamente alla non ottimale esecuzione in altri, ad esempio nella troppa umidità non legata degli spaghetti, invero troppo sapidi, ha ridotto la piacevolezza complessiva dell’esperienza.
Tutto sommato, però, Burro & Alici è un ristorante da tenere presente per un passaggio in zona. Per vivere l’esperienza di una cucina di mare semplice ma ben eseguita e condita da una ottima qualità degli ingredienti. Il capitolo dessert, infine, ci ha soddisfatto quasi totalmente. Peccato per quel babà, unico dolce non prodotto dalla cucina, che per consistenza, lievitazione e cottura non ci ha regalato grosse soddisfazioni.
L’ingresso del cancello.
L’interno, fine e piacevole.
La mise en place, che ci porta diritto in Campania.
Il buono e ricco cestino del pane.
E per cominciare: arancini di riso con bufala.
L’immancabile pane, burro e alici di Cetara.
La buona pizza fritta, in versione mignon.
Calamari spillo, ben cotti e ben presentati.
Una mozzarella, forse non freschissima, con olio e alici, manco a dirlo, di Cetara.
Ottimi gli ziti spezzati con ragù di tonno alla genovese.
Spaghetti alla colatura di Alici, troppo sapidi e un pò slegati.
Il nostro compagno di viaggio.
Stupendo baccalà con pomodori, un pò insapori, e olive.
Ventresca di tonno su fondo di scarola: molto buono.
Il babà, non al suo massimo.
L’ottima millefoglie di pasta di cannolo con crema al pistacchio e ricotta.
Le ottime zeppole di San Giuseppe.
Le pittoresche e belle ceramiche.
Arriva il conto.
Cetara è un piccolo borgo della Costiera Amalfitana.
Un gioiellino composto da piccole case arrampicate l’una sulle spalle dell’altra, a pochi passi dal mare.
I vicoli, sempre brulicanti di vita, di sera si svuotano e l’atmosfera diventa irreale.
Cetara è nota in tutto il mondo per la colatura di alici, una salsa sapida e trasparente dal colore ambrato, ottenuta facendo “maturare” le alici nei terzigni, piccole botticelle in legno di faggio o di castagno. Le alici sono prima decapitate ed eviscerate, quindi vengono disposte nel terzigno l’una accanto all’altra. Tra ogni strato si spargono pugni di sale. Sopra a ogni barile è posto un peso così da premere bene i pescetti e consentire la fuoriuscita del prezioso nettare. Dopo circa 5 mesi la colatura è recuperata e imbottigliata.
Fermarsi qui, anche solo per gustare un piatto di pasta alla colatura o acquistare una preziosa bottiglietta, vale la pena.
Se invece si decide di fare sul serio, affrontando un pasto completo, le proposte certo non mancano.
Tra queste spicca “Al Convento”, ristorante tipico gestito dalla famiglia Torrente, scelta ottimale per il rapporto qualità/prezzo. L’arrivo da Salerno è breve e, lasciata la strada che conduce ad Amalfi, conviene scendere sino al porto per parcheggiare. A quel punto, a piedi, ci vogliono cinque minuti per raggiungere la piazza della chiesa di San Francesco e quindi il Convento.
Il locale, come recita il nome, è ricavato nel chiostro dell’ex convento della piccola chiesa del XIV secolo. Alle pareti antichi affreschi, piatti in ceramica decorati, foto e ritagli di giornale che informano della carriera calcistica di Vincenzo Torrente, uno dei figli del patron.
Lo stile generale è semplice: tavoli in legno, apparecchiatura classica e sedie con la seduta in paglia intrecciata. Lungo un lato del ristorante corre una scaffalatura in legno che raccoglie i vini rossi, seguita da una grande cella frigo per i vini bianchi. Una particolarità: non c’è una carta dei vini, ma chi vuole bere deve alzarsi e scegliere direttamente la bottiglia indicandola al cameriere.
Il servizio è celere, attento e sempre sorridente. La clientela è varia, si va dai locali agli stranieri così come il menù, che spazia tra i piatti della tradizione ed alcune portate di carne. Tra le proposte la nostra scelta cade sul menù degustazione cetarese, che decidiamo di accompagnare con un Fiano Donnaluna del 2013.
La mise en place.
Si parte con un antipasto misto a base di alici marinate, pane burro e alici, alici alla scapece, alici fritte farcite con la provola e una polpettina di alici. Al centro del tonno sott’olio con pomodorini corbarini. Stuzzicante.
Lo chef vedendoci dubbiosi sulla scelta del primo piatto, ci toglie dall’imbarazzo proponendo un bis di primi. Partiamo con degli ziti di Gragnano spezzati conditi con una genovese di tonno e basilico. Sublime la consistenza del tonno. Tante le cipolle, forse troppe perché infine hanno reso un po’ troppo dolce il piatto.
Gli spaghetti alla colatura di alici sono stati il secondo assaggio. Ensemble di pasta e colatura saporita e profumata. Indimenticabile!
Anche il secondo è stato un doppio assaggio. Un bel fritto croccante del Golfo composto da alici (ça va sans dire), soglioline, un totano e una triglia.
A seguire alici fritte con il cipollotto nocerino. Il cipollotto, tagliato a listarelle, è dolce e si sposa benissimo con la carne compatta e iodata dell’alice. È un piatto da condividere perché ha un elevato potere saziante.
I dessert sono di una rinomata pasticceria di Vietri. Il babà, goloso con la crema pasticcera, e la peccaminosa “delizia al limone”.
Recensione ristorante.
La volontà di proporre qualcosa di nuovo a livello gastronomico in una zona lontana dai circuiti turistici e non abituata ad una ristorazione che si distacca da un dignitoso tran tran senza infamia e senza lode è già un particolare degno di encomio.
Siamo a cinecittà,periferia sud-est della capitale.
Qui,più di una decina di anni fa, Andrea Fusco e la moglie Mariana hanno trasformato una pizzeria con cucina in una stradina del quartiere in un delizioso bistrot meta di pellegrinaggi da ogni parte della città posizionandosi come uno dei vertici di un ipotetico triangolo che vede nell’ottima pizzeria Sforno e nella gastronomia Liberati altre due perle dell’Appio Tuscolano.