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Ca’ del Profeta

L’essenza vegetale

Siamo nel ristorante e Wine resort che Anderson Hernanes de Carvalho Viana Lima, meglio noto come Hernanes – ex nazionale brasiliano che ha calcato con grande successo alcuni dei più celebri palcoscenici della seria A (in ordine: Lazio, Inter e Juventus) – ha fondato a una manciata di chilometri da Asti. E con un fantasista come patron (peraltro bravissimo tra i tavoli) la scelta non poteva finire con la scelta di un fantasista della cucina piemontese: Christian Milone. Giovane enfant prodige già incontrato dietro ai pass di Trattoria Zappatori proprio a Pinerolo, qui si avvale del Chef resident Antonio Di Leo coadiuvato da Carlo Fasolis e Carlo Magliano, cui affida le redini di una cucina solo apparentemente semplice ma già molto precisa. Galeotta la comune conoscenza di Diego Dequigiovanni (patron di Luogo Divino, a Torino) che adesso presiede anche Ca’ del Profeta, appunto, dov’è supportato da Gabriele Rossi.

E già nel nome – Profeta era il soprannome dell’Hernanes calciatore – si materializza una certa prescienza in materia culinaria. Grande attenzione viene riservata all’elemento vegetale, reso senza manierismi eccessivi e senza laccature: ciascun piatto vanta tonalità cromatiche molto accese ma anche spesso opache, vessillo della semplicità minimale, ma non monastica, che attraversa una cucina che più che mai è trompe l’oeuil del contesto, sostanzialmente agreste, che la ospita.

Una cucina piemontese di campagna, semplificando molto, che issa la sua solidità sui prodotti dell’orto e del mercato, oltre a comprendere tutti gli animali da cortile che un tempo gremivano le case della gente comune, pur orbitando, in tutti i sensi, attorno alle verdure, ai tuberi, e alle radici. Attorno all’elemento vegetale, per la precisione, si avvita tutto l’ecosistema del piatto che, nel momento della nostra visita, pur essendo autunno inoltrato, ancora vantava pomodori e zucchine di una freschezza e di una turgidità difficilmente tacitabili. In questo senso la cucina di Ca’ del Profeta offre una lezione sul concetto, troppo spesso frainteso e ancora molto abusato, di stagionalità, che in una nazione come l’Italia, in questo momento storico segnato dal cambiamento climatico, vanta un paniere dalla trasversalità più unica che rara. Ne è riprova la Minestrina, piatto più che perfetto nel rievocare la componente anche emotiva della cucina tanto da svincolarsi dalla parte liquida, almeno in prima battuta, arrivando addirittura asciutta in tavola. Ad ammantarla, una nostalgica aria di finocchio vaporosa e avviluppante.

Altrettanto di prossimità la carta dei vini – le vigne lambiscono difatti il ristorante e cingono tutta la tenuta – su cui si affacciano le grandi vetrate sia del ristorante che delle camere, vestite di cemento, legno e marmo nero e bianco, anche se, a guardarci bene, stavolta la Juventus non c’entra.

La Galleria Fotografica:

Piedi ben piantati in terra e sguardo rivolto al futuro: la maturità di Christian Milone

All’inizio c’era solo la Trattoria Zappatori, il locale di famiglia. Solida cucina del territorio e nessuna concessione a ciò che non fosse tradizione. Poi è arrivato Christian, il figlio talentuoso, sognatore e caparbio. Christian non ha paura della sfida: restare nella sua Pinerolo proponendo qualcosa di diverso, di creativo, di più moderno.
E così, la Trattoria Zappatori è diventato gradualmente un ristorante dalla duplice proposta. All’inizio solo nella carta, dove iniziano ad alternarsi preparazioni innovative a piatti tradizionali, e, dal 2012, anche negli spazi, con la nascita della Gastronavicella, una saletta a vetri dedicata ai clienti intenzionati a provare la sua cucina innovativa. Oggi la sala dedicata è scomparsa, ma non la Gastronavicella, che rappresenta una fra le due proposte in carta. In alternativa vi è l’offerta tradizionale, oppure alcuni percorsi degustazione in cui è possibile unire piatti di entrambe per un percorso a 360 gradi.

Un cuoco di talento che propone una cucina avanguardista ma mai astratta

Nel corso degli anni la cucina dello chef si è fatta più matura e compiuta, più personale e pensata, a partire dagli amuse bouche, che hanno un senso e una propria dignità di piatto. Una bella sequenza che inizia morbidamente con una spuma di broccoli, diventa cattiva con la rapa marinata e la zucca in carpione, e infine si azzera con un freschissimo sorbetto. La cucina di Milone ci appare profondamente legata alla terra; è una cucina dell’orto, di elementi vegetali, di sensazioni amare, acide, a volte terrose. Una cucina che, anche quando osa, mantiene una componente di concretezza e senso del gusto che non rende mai le preparazioni eteree o fini a sé stesse.

Marcate note vegetali, freschezza, leggerezza, ma anche omaggi alla classicità d’Oltralpe nella Lepre, a metà strada tra Civet e Royale (il fondo è tirato con foie gras e tartufo nero) e nel fantastico Purè, un vero e proprio omaggio al maestro Joël Robuchon. Una menzione la merita anche l’eccellente Risotto ai funghi porcini con terra di bosco e anice stellato, un’interessante e intensa rilettura di un grande classico della cucina italiana. Non ci è sembrato all’altezza del percorso proposto, invece, il lato dolce: un po’ confuso nel gusto e di non gradevole consistenza il pre-dessert Shiso, kiwi e Tè verde, mentre di deriva stucchevole è risultato il dolce Cavolfiore, pepe rosa, nocciole, erbe ritrovate e grappa al Moscato.
Si esce soddisfatti e per nulla appesantiti da una cucina divertente, personale e molto varia. Si, Christian Milone, cuoco talentuoso e ragazzo intelligente e appassionato, ci pare aver raggiunto la maturità.

La galleria fotografica:

A Pinerolo il tam tam gourmet ti spinge verso il coté più avanguardistico della cucina di Christian Milone, ossia nella minuscola Gastronavicella, più che per la più convenzionale Trattoria Zappatori. Perché decidere di spingersi fin qui, verso una meta proverbialmente lontana da tutto e tutti, caratteristica che accomuna Pinerolo alla sua dirimpettaia Cuneo, è già di per sé un’impresa. Se poi il lungo viaggio lo si affronta per una trattoria, allora la faccenda entra nell’alveo dell’epica cavalleresca. Il locale vive però anche di questo dualismo fra la trattoria da un lato, con i piatti tradizionali solo lievemente contaminati dall’estro dello chef, e dall’altro i due tavoli fronte giardino zen in cui, su prenotazione, si può assaporare il percorso spericolato di cui parleremo in un prossimo appuntamento.

In realtà è un vero peccato “vivere” così l’idea di un pranzo alla Zappatori perché Christian Milone, proprio in quanto chef dotato di grande talento, sa esprimersi tanto in creazioni spericolate quanto in attente letture delle ricette tradizionali. Nella trattoria si può infatti godere di un festival dei sapori piemontesi, che vengono portati all’ennesima potenza e vengono affiancati da una selezione di piatti fra i più significativi del lungo e tortuoso percorso creativo che ha caratterizzato la crescita del cuoco pinerolese.

Vi potete quindi sedere a questo desco, in cui troverete la stessa carta dei vini e un companatico di pari cura e dignità della più blasonata Gastronavicella, e bagnarvi fino alle ginocchia nell’innovazione più spinta alternando qualche piatto della tradizione o, perché no, rinfrancarvi con una serata a base di vitello tonnato, Plin e Bunet… tra i migliori, più squisiti e filologicamente corretti mai assaggiati.

Un plauso quindi alla trattoria Zappatori, di cui paradossalmente spesso ci si dimentica per colpa delle indiscusse capacità del cuoco.
Bravi!

La sala…
sala, Trattoria Zappatori, Chef Christian Milone, Pinerolo, Torino
Vitello tonnato in porzione assaggio…
Vitello Tonnato, Trattoria Zappatori, Chef Christian Milone, Pinerolo, Torino
Gli ottimi plin
ottimi plin, Trattoria Zappatori, Chef Christian Milone, Pinerolo, Torino
Olio locale
Besuc, Trattoria Zappatori, Chef Christian Milone, Pinerolo, Torino
Lingua al verde, con una licenza rivisitativa
lingua verde, Trattoria Zappatori, Chef Christian Milone, Pinerolo, Torino
Bonet…
bonet, Trattoria Zappatori, Chef Christian Milone, Pinerolo, Torino

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CREMA DI CECI E NOCCIOLE AL TARTUFO BIANCO, GELATO DI OSTRICHE

Pensavamo di averlo ripiegato in fondo a qualche scatolone, il trompe-l’oeil, genere egemone del lungo carnevale spagnolo, fra il trantran del repertorio e la quaresima interminabile della contemporaneità. Finito nella soffitta della storia con qualche coriandolo ancora sparso sopra, come una maschera divertente da rispolverare nelle occasioni di rito. Sorridendo del fungo-prosciutto di Quique Dacosta o del carpaccio di cocomero di Andoni Luis Aduriz, per non parlare della terra in cioccolato di Ferran Adrià. Virtuosismi certo, tesi a dimostrare la padronanza del cuoco sul prodotto, nel senso letterale del possesso. Antitetici rispetto al puritanesimo di quella cucina della verità che ha preso piede da qualche tempo a questa parte.
Pensavamo, appunto, perché il trompe-l’oeil probabilmente ha solo cambiato tecniche e funzioni, spogliandosi della dimostratività del tour-de-main per farsi attrezzo di una cucina del sospetto, che allerta maliziosamente l’attenzione di chi mangia su ciò che sta realmente mangiando. Niente di effettistico insomma, piuttosto un dubbio insinuante che rosicchia l’ideologia della cucina. Come nel caso della crema di ceci e nocciole al tartufo bianco e gelato di ostriche di Christian Milone, preview culinaire dove l’illusionismo si sdoppia in un gioco ora manifesto, ora sottile. Gustativamente e concettualmente stringente.
Da una parte la castagna-tartufo, presentata sotto la cloche e affettata con la mandolina d’ordinanza secondo la più popolana delle tecniche: i marroni di Garessio pelati sono rimasti chiusi in un barattolo sottovuoto insieme ai tuberi per 1 settimana, impregnandosi dei loro profumi come il riso, ma senza effetti disseccanti, per un esito di sorprendente intensità. Dall’altra la crema di ceci ottenuta unendo loro nel Bimby un 30% di nocciole trilobate di Langa, precedentemente cotte a 60 °C per 2 ore: la frutta secca viene trattata al pari di legumi, arricchendo la testura e veicolando i profumi sulle ruote della componente grassa. Infrangendo soprattutto la routine sul muro dell’errore categoriale calcolato.
Non basterebbe se questo monocromo di stagione, imbastito sul canovaccio del comfort food regionale, con la trama delle affinità merlettate di nocciole, non sbattesse sullo scalino poetico del contrasto, secondo una legge del bello. Quella che richiede che “la distanza sia estrema e l’evidenza inconfutabile”: “Come non scorgere una legge dell’estetica in questo obbligo di paragonare i contrari?”. È il gelato di ostriche crude e acqua di ostriche, contrappasso sapido, fresco e straniero, soprattutto interlocutore olfattivo del tartufo, che irretendo nel suo profilo iodato la prepotenza degli idrocarburi sposta lungo la mucosa olfattiva il baricentro del piatto.
Ma la carta a venire riserva altre sorprese: la cialda di porcino, capolavoro analitico dove il fungo è destrutturato e riassemblato (fuori una cialda composta di isomalto e cuticola, la parte più intensa, sporca e amarotica del fungo, trappola microbica del genius loci; dentro una farcia di cappella e gambo saltati; il tutto sospinto dal supporto di muschio e foglie secche nell’alveo di una cucina emozionale e dell’istante, che lavora separatamente sull’olfatto e sul gusto); l’iper-primitivista salmone “affumicato” dal mucchietto di trucioli di liquirizia a bordo piatto, con la guancia spadellata alla lavanda da scalcare a mano, sorta di sot-l’y-laisse ben più pallido, soave e moelleux del resto della polpa, sul modello delle kokotxas basche ma con crudeltà tutta nord-europea; la carne cruda brasata al vino rosso, crasi di due classici piemontesi che inverte crudo e cotto, come la cotoletta sbagliata di Matteo Baronetto, dove la classica battuta di coscia nella sua integrità aristocratica è condita dal sugo liofilizzato al vino rosso.

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Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione ristorante.

Il ricambio generazionale rappresenta spesso un punto di svolta tormentato per un ristorante, ma giunge il momento in cui il passaggio diventa estremamente chiaro ed il cielo, all’improvviso, si rasserena. La Trattoria Zappatori è un locale storico a Pinerolo, e per lunghi anni ha tenuto fede alla propria insegna mantenendo un profilo basso con una cucina di stampo decisamente tradizionale. Da qualche anno però Christian Milone, chef con un passato da ciclista, ha preso in mano le redini del locale di famiglia e ha deciso di imprimergli una svolta netta. In carta troviamo ancora numerose proposte molto tradizionali, perché sarebbe da stupidi perdere di colpo il bagaglio di clientela conquistato dalla famiglia in tanti anni di sacrifici, in particolare in questi anni bui, ma accanto ad esse sono sempre più numerosi i piatti di matrice creativa, segno che lo chef ha imboccato la propria strada. Una strada che, partita da piazza Duomo ad Alba, dove Christian ha sostenuto numerosi stage, sta prendendo come è giusto che sia una direzione personale, anche se il rischio deja vu per i giovani è sempre dietro l’angolo. Però oltre all’ammirazione per determinate cucine (non solo quella di Crippa), si legge già un embrione di stile proprio, tant’è che per superficialità si rischia di leggere come crippiano anche cio che crippiano non è (per quanto gli interni rosa della sala…). Lasciamo quindi che Milone percorra la sua via. Qualche volta sbaglia, soprattutto nei tratti di strada con qualche curva glicemica di troppo, e qualche altra di nuovo sbaglierà, ma l’emozione nel provare le cucine giovani vive anche attraverso l’analisi degli errori (o di ciò che comunque, senza volerci erigere a giudici o maestrini, non condividiamo). Aiutato dalla moglie e dai genitori in sala, Christian sta portando avanti il suo progetto in un territorio che non concede molto ai voli pindarici, e per questo merita tutto il nostro sostegno. (altro…)