Passione Gourmet Chenin Blanc Archivi - Passione Gourmet

Coteaux du Layon AOC

Moulin Touchais 1981

Il pensiero, con il tempo, si trasforma in ricordo di un vissuto di cui conserveremo perennemente la sensazione ad esso legata. Cercando quasi invano di tramutare ciò che si è provato in parole, tessendone le lodi, ci si premunisce del proprio spirito critico migliore e aprano le danze ai sensi.

La cornice è Venezia, più precisamente il Glam di Palazzo Venart di Enrico Bartolini con Donato Ascani. La cucina di Donato Ascani riecheggia in ogni guida, articolo o commento degli ultimi mesi, avendo acquisito nel 2019 la seconda Stella Michelin. I piatti da Lui creati sono incisivi, diretti, alle volte spigolosi e ricchi di contrasti che confluiscono in una complessità aromatica notevole. Un attento osservatore e scopritore del territorio: nei suoi piatti vi è un costante omaggio a Venezia.

Non è un menù, è un racconto quello che si assapora, un continuum di stimoli per le papille gustative che sollecitate dall’alternanza delle portate, quasi arrivano a sentirsi spaesate.  Ogni piatto è una sinfonia con incisi in battere o in levare, composto da un susseguirsi di frasi con tempi diversi, incalzanti o più cantilenati, andando a comporre un periodo dettato da estrema delicatezza e irruente complessità. Una cucina concepita come oggetto su cui osare, non solo attraverso la materia prima, ma anche compiendo accostamenti audaci. Acido, amaro, speziato, fresco e tendenza grassa, questa la memoria sensoriale che vincerà sul tempo.

In queste circostanze sono i dettagli a fare la differenza e la collaborazione con i sommelier non è di minor importanza. In sala si respira conoscenza, rispetto ed eleganza. Un brigata tra sala e cucina forse tra le più giovani in Italia, composta principalmente da Alessandro Menditto – Sous-chef – Luciano Palmieri – in sala – e Francesco Vuolo – in cantina. Scegliere un liquido che si accompagni in modo consono a un menù caleidoscopico, non è semplice. L’intenzione percepita è quella di rispettare le portate del menù con vini che sostengano e non  sovrastino i sapori.

Piatti variegati per vini altrettanto non scontati. Nel dettaglio, la descrizione del piatto firma della cucina di Donato Ascani, “Seppia affumicata al mirto” in abbinamento a Coteaux du Layon 1981 Moulin Touchais.

Coteaux du Layon dell’azienda Moulin Touchais è un prodotto simbolo della sua regione d’appartenenza, la Loira. Più precisamente Coteaux du Layon è una zona a sud di Angers – areale rinomato per la produzione di vini dolci muffati – anche se come vedremo questa caratterista non appartiene a Moulin Touchais

Coteaux du Layon, prodotto con uve 100% Chenin Blanc, è un vino particolarmente conosciuto per la sua spiccata acidità e longevità. Il Pineau de la Loire – così anche chiamato il c.b. – è una varietà che tende a germogliare anticipatamente e a maturare piuttosto tardivamente; inoltre è un vitigno ricco di acidi (tartarico e citrico), sostanze che ben si accordano con i climi freddi della Loira. Oltre alla forte acidità, il  Chenin Blanc è caratterizzato da un buon grado zuccherino, il quale accresce la sua capacità di conservazione.

La longevità e la mutevolezza di questo prodotto è legata alla fase di raccolta operata in modo specifico secondo ripartizioni differenti. Il 20% delle uve vengono vendemmiate 80 giorni dopo la fioritura (frutto poco maturo e carico di acidi) mentre il restante 80% viene raccolto ad intervalli diversi nei successivi 100 – 120 giorni dopo la fioritura (quando la concentrazione zuccherina è elevata). Per quanto concerne la muffa nobile – poiché Moulin Touchais si trova a monte del fiume Layon – raramente vi è presenza sugli acini di botrytis, vista la quasi assenza di nebbie e umidità.

Tratti di un vino fastoso, elegante, acido e fresco che meglio si assaporano dopo una lunga sosta in cantina, di circa dieci anni, prima della commercializzazione. Oggi, il 1981 è un vino maturo e molto gradevole al palato.

Di colore giallo oro, il naso è intenso con sentori di mela cotogna, gelatine di frutta e agrumi. Un accenno di dolcezza è data dalle spezie, contornata da una leggera sensazione terrosa sul finale. Al palato colei che tesse le fila è l’acidità, che sinuosamente si insinua su di un epilogo timidamente dolciastro. Persistente, profondo e scattante.

“Seppia affumicata al mirto”, un piatto che racchiude diverse consistenze e sensazioni palatali, unite a profumi balsamici e giochi di acidità. Il corpo della seppia viene arrostito e affumicato al mirto,  mentre la testa viene passata nella farina di mais e fritta. Il tutto accompagnato da una salsa al nero di seppia e dal ciuffo di un cavolfiore cotto a bassa temperatura in vinaigrette. Entrambi gli elementi di accompagnamento presentano con una spiccata tendenza acida.

Il bouquet evoluto del vino riprende il flavour del piatto: la scelta che ha condotto il sommelier Francesco Vuolo, per l’abbinamento.

A livello olfattivo la frutta secca e la leggera evoluzione presente nel Coteaux du Layon, riprende la parte affumicata del piatto e la tendenza grassa, smorzandone l’intensità. La sensazione di tostatura, nel vino, si armonizza con la testa della seppia, quindi con la parte fritta. Mentre al gusto il moderato residuo zuccherino dello Chenin Blanc, smorzato dallo scorrere del tempo, controbilancia – senza annullare – le sensazioni di acidità e affumicatura del piatto.

Ristorante Consorzio, Torino

Nello scrivere la recensione di un posto come il Consorzio è facile profondersi in lodi e si rischia di passare per tifosi di questa trattoria contemporanea.
D’altronde, tutto qui è stato pensato con intelligenza e professionalità ed è realizzato allo stesso modo: una cucina autenticamente aderente alla tradizione ma con dimensioni delle portate coerenti con i tempi di oggi; materie prime e loro fornitori selezionati con grande cura; carta dei vini di formidabile ampiezza, eccezionale per questa tipologia di ristorazione e piena di perle non solo piemontesi; prezzi alla portata di tutte le tasche.
Tutto questo rincuora, in un momento in cui l’alta ristorazione in Italia sta vivendo buona salute (almeno dal lato offerta), ma è difficilissimo trovare ristoranti all’altezza quando si passa alla proposta di cucina di tradizione in location semplici e popolari. Tante le trappole per turisti in cui piatti sciatti sono contrabbandati per tradizionali e servizi di approssimazione imbarazzante sono giustificati dai prezzi abbordabili.
In una fredda sera novembrina, avendo avuto l’accortezza di prenotare il nostro tavolo con congruo preavviso, abbiamo davvero goduto nel fare, per il cibo, la scelta più semplice, cioè il menù degustazione (a prezzi da pizza “gourmet”…) e nel dedicare un bel po’ di tempo alla fantastica offerta di cantina. Qui, tra nomi che fanno sussultare l’appassionato (da Beaufort a Leclapart, da Roagna a Mascarello, da Overnoy a Vatan) abbiamo avuto il piacere di cogliere un pressoché introvabile chenin blanc da sogno, il Genèse Blanc le Jardins de Esméraldins 2000 di Xavier Caillard, vino dal naso di infinite sfumature di fiori, miele, cera e bocca coerente dalla persistenza infinita.
La successione di piatti del menù è piacevolissima sin dall’apertura: un cucchiaio di latte di capra e acciuga, ostrica dei poveri.
Tutto è ghiotto e ben fatto, con sapienza e ottima tecnica e picchi di godimento si toccano con i sontuosi agnolotti gobbi, ripieni di arrosto di vitello, coniglio e maiale, accompagnati dal solo burro fuso. Magnifica e indispensabile da segnalare anche la chiusura dolce, affidata a una panna cotta che si ribella alle stragi fatte in suo nome in millanta (è il caso davvero di dirlo) menù in ogni dove, accompagnata da chinotto o nocciola.
Locale semplice ma capace di trasmettere lo stesso calore della proposta gastronomica, con nota di merito aggiuntiva per la qualità dei calici che saranno scelti con attenzione a seconda della bottiglia che avrete ordinato.
Quando si incontrano posti del genere e se ne riscontra il grande successo (sala piena, sorrisi di gente contenta di uscire di casa e stare così bene) ci si chiede perché le nostre città non siano piene di un’offerta così ben fatta, capace di pescare nelle centinaia di piatti delle nostre diverse storie regionali. Una tappa da consigliare non solo a chi ama la buona cucina ma, soprattutto, in termini formativi, come esempio di riferimento, a chi pensa di lanciarsi in un’iniziativa nell’ambito della ristorazione.

La tavola.
tavola, Ristorante Consorzio, Torino
Amuse-bouche: latte di capra e acciuga.

L’ottima carne cruda battuta al coltello.
carne cruda, Ristorante Consorzio, Torino
Uovo croccante su spinaci, fonduta di cheddar e pancetta croccante. Tecnicamente perfetto e ghiottissimo.
uovo croccante, Ristorante Consorzio, Torino
Agnolotto gobbo. Perfezione nella semplicità, accompagnato dal solo burro fuso. Il ripieno ai tre arrosti (coniglio, vitello e maiale) è memorabile.
agnolotto gobbo, Ristorante Consorzio, Torino
Brasato di Fassone al Ruché con verdure di stagione.
brasato di fassone, Ristorante Consorzio, Torino
Uno chenin blanc formidabile.
Ristorante Consorzio, Torino
Un’osteria deve avere anche la mescita (e avercene così…)
Ristorante Consorzio, Torino