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Krèsios

Al Krèsios Giuseppe Iannotti diventa shokunin

Nel mondo ci si affanna per superarsi l’un l’altro, in una competizione vissuta nel confronto e non nella crescita personale. Probabilmente non il modo migliore per crescere: non si parla solamente della ricerca della felicità, che è uno stato d’animo inebriante ma fugace, quanto della soddisfazione e della gratificazione interiore. Questa si raggiunge solo migliorando se stessi, il proprio lavoro. In questa ottica, che è propria della cultura giapponese dello shokunin, il cuoco di Krèsios raggiunge nuove vette del proprio lavoro portando le sue creazioni quanto più vicino possibile alla perfezione.

Lo shokunin ha l’obbligo sociale di fare del suo meglio per il benessere delle persone e Giuseppe Iannotti ha fatto suo questo spaccato tipico della cultura giapponese. Non la ricerca spasmodica della novità, del nuovo menu, ma il continuo perfezionamento del proprio lavoro. Come farebbe un maestro Sushi a Tokyo. In Italia non è un concetto facile da far passare al cliente tradizionale: viviamo nel tempo dei social, dell’istantaneo, in cui tutto viene consumato e bruciato in fretta. Proporre oggi, al Krèsios, sostanzialmente lo stesso menu del 2020, è un’altra delle sfide a cui Iannotti ci ha abituato.

Più nuovo del nuovo

Creare qualcosa più nuovo del nuovo: questo l’obiettivo. Assaggiando il tagliolino di zucchine, tartufo nero e menta il risultato sembra raggiunto: è stupefacente il miglioramento in termini di consistenza, oggi davvero vicino alla perfezione.

L’acceleratore è stato spinto fino in fondo: non si poteva quindi che arrivare al menu unico. Al ristorante Krèsios siamo, del resto, agli antipodi della cucina di mercato e della improvvisazione jazz: qui c’è schema, studio, applicazione e ripetizione del gesto. Una modalità non è migliore dell’altra, ma sarebbe sbagliato giudicare una con gli strumenti dell’altra e, qui, con quelli propri dell’improvvisazione.

Giuseppe Iannotti ha saputo fondere la precisione del gesto giapponese e la ricerca applicata al cibo tipica della Spagna post-Adrià una successione di tapas di altissimo livello, ma con l’occhio di un italiano del Sud. Pane e pomodoro ne è un manifesto: è, ma non è, il pomodoro al quadrato perché ripieno del concentrato di pomodoro essiccato al sole di questa terra meravigliosa. Da gustare semplicemente con olio, origano, sale e il pane Krèsios. Basta poco? No, bastano la testa e il cuore. 

Ma anche coniglio teriyaki alla nduja o anguria e sgombro sono due capolavori assoluti: un incontro tra Oriente e Occidente che trova la perfetta quadratura del cerchio. Il primo per un boccone perfetto: niente di più e niente di meno del necessario, il gusto in pochi cm quadrati. Esaltato peraltro anche dal sorso perfetto: un dito di liquido a completare, selezionato da quel geniaccio di Alfredo Buonanno.

Al Krèsios va in scena uno spettacolo in cui ogni dettaglio è studiato nei minimi particolari: dai tempi alle stoviglie e fino ai suoni di sottofondo. Una danza in cui cucina e sala si muovono all’unisono, scivolando leggeri tra le mille sfumature dell’ospitalità. Una tappa imperdibile per chiunque sia appassionato di ristoranti.

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Di cosa si parla quando si parla di “avanguardia”

Avanguardia: “Denominazione assunta da (o attribuita a) movimenti letterari e artistici che propugnano o attuano nuove poetiche o nuovi modi espressivi, in contrasto, apparente o effettivo, con la tradizione e il gusto corrente” (dizionario Treccani).

Questa la definizione ufficiale e non stupisca molto il fatto che si parli di movimenti letterari e artistici, non di artigianato. Senza volere entrare nella infinita querelle che tenta di catalogare la cucina tra artigianato o arte, potremmo asserire che è il pensiero, più che l’atto, a poter essere avanguardistico.

Difficilissimo definire nel mondo ristorativo chi ha inventato cosa, chi è arrivato per primo, bisognerebbe avere una conoscenza diretta della gastronomia mondiale che forse hanno 4-5 persone in tutto il mondo (per evidenti ragioni di tempo e denaro), e il tentativo di definire in questo modo il vero avanguardista sarebbe forse perdente in partenza. Allora, forse, si può inserire un pensiero moderno all’interno di un contesto: che sia un paesaggio, una regione o una nazione, poco importa. In questo modo, con maggiore facilità, potremmo trovare qualcosa di veramente in contrasto, apparente o effettivo, con il gusto corrente. Cioè con quello che fa la maggior parte della popolazione di un insieme omogeneo. Quando questo contrasto (anche apparente, definizione adorabile della Treccani) pone alle luce una nuova verità, una risposta a una esigenza, allora, in quel luogo, sta succedendo qualcosa di importante.

Le abbiamo più volte definite “good vibrations” o “questioni di ritmo”: motivi non sempre tangibili che rendono la frequentazione di un determinato locale fondamentale per un appassionato.

Questo è per noi, oggi, il Krèsios.

Una tappa fondamentale

Un modo di intendere la ristorazione non necessariamente nuovo, in senso assoluto, ma diverso dal contesto di riferimento. In rottura, in anticipo, a segnare una strada diversa partendo direttamente dalla culla della cucina tradizionale del Sud.

A Telese il concetto di formicaio tanto caro allo chef Giuseppe Iannotti è veramente una metafora azzeccata: non c’è squadra più potente di un insieme di formiche, tutte rivolte verso lo stesso obiettivo. Ma senza voler sminuire il lavoro di tutti i collaboratori, qui c’è prima di tutto un duo di fuoriclasse che viaggiano all’unisono: oltre al già citato Giuseppe Iannotti c’è, infatti, Alfredo Buonanno. A conferma del fatto che non è vero che nessuno vuole essere Robin, qui c’è ancora qualcuno che sa fare la grande spalla, forse proprio perché uno è spalla dell’altro e non c’è nessuna asimmetria. E così non potremmo immaginare i piatti di Iannotti senza il pairing di Buonanno, e viceversa. Tra i 2-3 pairing in Italia che vale la pena scegliere ad occhi chiusi, tra proposte, anche in blasonati ristoranti, spesso deludenti e banali perché non ideate pensando al piatto ma pensando al calice. Alfredo Buonanno conosce la cucina del Krèsios e si muove agile in completamento al piatto: non in sovrapposizione ma in integrazione e fusione dei sapori. Superando il concetto di vino/alcol ed entrando nel contesto del gusto: fermentazioni, tè, esperimenti liquidi. Un professionista che si muove con l’esperienza di un sessantenne e la freschezza di idee di un ventenne: tra i migliori uomini di sala italiani, senza se e senza ma.

Poi, c’è la visione di cucina di un uomo testardo, che prosegue dritto per la sua strada con quel pizzico di buona presunzione tipico di chi ha ben chiaro dove vuole arrivare e come vuole farlo. In alcuni attimi Giuseppe Iannotti ci ricorda i momenti visionari del primo Bottura, quando non tutto era perfettamente a fuoco tranne nella sua testa, dove ogni cosa era già perfettamente coerente grazie forse, anche, alla sua idea di “prodotto” anche fuori dai confini strutturali del ristorante: applicazione di metodiche di produzione quasi industriali a standardizzare preparazioni destinate alla consegna al domicilio, come nel progetto 8pus: una ventata d’aria fresca, la prima vera proposta di cucina d’autore a domicilio.

Completo in tutte le sue voci, anche nella “haute couture”

Il nuovo menù presenta un ulteriore lavoro di perfezionamento su alcuni piatti storici (il tagliolino di zucchine sembra un altro piatto per quanto risulti, ora, concentrato il sapore) ma anche tante nuove creazioni straordinarie per gusto, pensiero ed esecuzione.

Due su tutte, Anguria, sgombro e riso croccante al wasabi e Uovo al tartufo bianco d’Alba. L’anguria viene osmotizzata con aceto di riso di Kumamoto, lo sgombro salato e poi marinato, il riso prima imbevuto in un’acqua di wasabi fresco, poi disidrato e fritto. Il sushi a Telese: consistenze, sapori, giochi di masticazione. C’è tutto.

L’uovo al tartufo bianco d’Alba, invece, prevede che gli ultimi tartufi bianchi della stagione vengano grattati in panna fresca, poi il tutto viene mescolato con tuorlo d’uovo e congelato. Infine, tempura in due passaggi per mantenere l’interno liquido. L’uovo e il tartufo sono portati al livello più alto immaginabile: come buttare il naso in un cesto di tartufi appena raccolti, con la proteina dell’uovo che veicola il gusto per un tempo lunghissimo.

Ma potremmo anche citare il coniglio teryaki alla nduja o la gola di baccalà pil pil. O ancora la royale di rapa bianca, un gioco di apparenza ma anche di sostanza, in cui il sedano rapa, la rapa rossa e il cioccolato ricreano in bocca le stesse sensazioni della classica royale pur mantenendo una leggerezza e una pulizia senza pari. Ultima ma non ultima, la piccola pasticceria: una carrellata tra le più entusiasmanti di cui serbiamo memoria.

Pulizia. Quasi un mantra di questo Krèsios. Pulizia di forme: essenziali, precise, geometriche. Pulizia di gusto: mille sfumature che si riuniscono in una linea dritta e diretta. Pulizia di pensiero: il mondo che rimbalza a Telese e ne esce diverso, con un’altra luce. E poi l’essenzialità: la capacità di racchiudere il senso di una preparazione in pochi centimetri quadrati.

Attenzione a quello che stanno combinando qui. Ne riparleremo tra qualche anno.

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“Fermento”

s.m. [dal latino fermentum, derivazione di una radice affine a fervēre «bollire, essere in moto»]. – Stato di agitazione, spirito di rivolta, o anche soltanto stato d’inquietudine per volontà d’innovazioni (…) più genericamente, eccitazione, movimento inusuale, effervescenza, capacità di sviluppi, di porre e suscitare problemi.

Difficilmente il termine “fermento” è associabile a un piccolo paese rurale, tendenzialmente più affine a canoni di tranquillità e quiete. Facile giocare a fare i fenomeni o gli innovatori a Milano; ancor più facile farlo a Londra, a New York o a Tokyo, con un (copioso) bacino di utenza mentalmente predisposto all’azzardo e alla sfida, costantemente alla ricerca della novità e della provocazione.
Ed è affare quasi da pazzi pensare di proporre ciò a Telese Terme.

Invece, come qualsiasi buona regola e la sua eccezione, nella Telese gastronomica questo fermento è palpabile, grazie a un gruppo di ragazzi che va oltre il pensiero, e giornalmente rende reale un’idea di cucina fortemente internazionale, nel cuore del tradizionale Sannio.
Krèsios è la splendida isola felice di Giuseppe Iannotti e del suo motivato team, una squadra giovanissima e affiatata che mira al risultato con una convinzione e una determinazione rare e invidiabili. E questo risultato, straordinariamente, si materializza in cucina e in sala.

Una cucina profondamente ispirata

Giuseppe è uno chef autodidatta, ma prima di tutto un grande appassionato. Gira tantissimo per le tavole d’Italia, d’Europa e del mondo, facendo sue le tecniche, i sapori e i trend della gastronomia internazionale. Niente carta, solamente due menu degustazione, due tarantiniani “Mr.Pink” e “Mr.White”, tra i quali cambia il numero di portate, non il tasso di divertimento. Seduti alla tavola di Krèsios verrete attivamente coinvolti, costantemente stimolati, e durante il lungo percorso incontrerete un pizzico di classicità francese, molta tecnica e stile spagnoli, continui richiami ai sapori orientali, ma anche molta Italia, con alcuni piatti ispirati ai grandi Chef della penisola.

Della nostra ultima esperienza, sì altalenante, ma molto meno di altre nostre cene passate, estrapoliamo tre piatti su tutti: l’ottimo Spaghetto allo scoglio, dalla nappatura più “compressa” che “concentrata”. Wagyu e Cipolla, un boccone dall’esecuzione apparentemente semplice, ma dallo straordinario e delicato equilibrio. E ancora Pancia di maiale e bieta, un piatto inizialmente golosissimo, ma che trova il suo equilibrio grazie alla componente vegetale. Meno altalenante perché praticamente privo di picchi negativi, solo un paio di piatti lasciano qualche dubbio, ma il percorso è certamente interessante e stimolante.

L’unico vero difetto di Krèsios è al tempo stesso il suo punto di forza: tutto questo turbinìo di idee, questo meltin’pot di stili, non aiuta a delinearne uno proprio, e questa (pur validissima) cucina si rivela un continuo dejà-vu, anche alla prima visita. La prossima sfida per Iannotti, il prossimo grande e importante passo per competere a pari livello con i Grandi, è quello di raccogliere e analizzare questo suo bagaglio d’esperienza, per elaborare uno stile interamente personale. Data la determinazione in più occasioni mostrata, siamo certi che ciò avverrà certamente, e non sarà necessario nemmeno parecchio tempo.

Non solo grande cucina

Ancor prima dei piatti e dello stile di cucina, Kresios è innanzitutto una splendida struttura, moderna ed efficiente, interamente mirata a elevare l’esperienza del cliente. È possibile pernottare, si possono acquistare molti dei prodotti utilizzati in cucina, prendere un aperitivo prima di accomodarsi al tavolo o ancora un drink dopo cena. O anche farsi organizzare una navetta, se impossibilitati ad arrivare autonomamente a Telese. E non ultimo, è disponibile una cantina ampia e ottimamente fornita.
Al Kresios il cliente si trova letteralmente posto al centro dell’esperienza, come di rado accade. Merito ovviamente del patron Giuseppe Iannotti. Ma sarebbe un errore imperdonabile non dare parte dei meriti al fenomenale maître e sommelier Alfredo Buonanno, 23 anni di talento e savoir faire come se tali anni fossero di esperienza, e non anagrafici.
Una squadra davvero talentuosa, dalla quale non ci si può non aspettare grandi cose. Avanti tutta!

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Telese Terme è luogo ameno, distante pochi chilometri dal confine con la provincia di Caserta, ma lontano, molto lontano dal degrado che caratterizza la zona a nord-est del capoluogo.
Ed è qui che Giuseppe Iannotti ha voluto investire e inaugurare un anno e mezzo fa una struttura sicuramente ambiziosa, hi-tech, ad offerta multipla: un negozio con prodotti eno-gastronomici selezionati con grande cura, un bistrot per una sosta veloce ma di qualità, ed un ristorante “gourmet”, con pochi tavoli ad accogliere le creazioni della cucina a vista.
Un bel paesaggio campestre circonda l’isolato, il giardino ed il terrazzo sono curati, le viti ordinate, i monti del Matese sullo sfondo.
Tutto predispone al meglio, compresi i numerosi attestati di stima che giungono da più direzioni in favore del giovane cuciniere.
Non esitiamo, quindi, ad affidarci totalmente allo chef ed a selezionare il menù degustazione più ampio, denominato “a mano libera”.
Si parte con una triade di appetizer, non propriamente “facili” per iniziare un pasto: crocchetta con pasta ai quattro formaggi, chips di lardo e gola di baccalà fritta. La gola è servita quasi fredda e la sensazione di avere le papille sature ancor prima di aprire le danze si fa strada.
La falsa partenza, però, non era un caso isolato. Troppe perplessità si susseguono una all’altra, come la proporzione nella composizione di lingua e fegato grasso, o la concezione di un gelato di mozzarella fritto panato, con gazpacho di pomodoro, che sfodera una dolcezza estrema e poco comprensibile a questo punto del pasto.
Solo discreti i crudi (ma perché metterci il salmone con tutto il ben di Dio che le nostre coste hanno da offrire?), accompagnati da semplici insalatine e da una crema d’aglio non addomesticata che crea, all’olfatto e al palato, contrasti disarmonici di difficile lettura.
L’incerto percorso è confermato dal risotto agli agrumi, dove la dolcezza della vaniglia permea il tutto, e da una passata di ceci con anguilla affumicata di scarso mordente.
Finalmente un piatto di caratura notevole nel cervo con pera cotta, sospinto verso l’alto da un piacevolissimo sentore di brace, quella buona.
Purtroppo resterà l’unico spunto di rilievo di un pranzo che ha tradito le attese. Il cervo è una dimostrazione di classe sulla quale Iannotti, speriamo, potrà costruire il suo futuro radioso, che gli auguriamo di cuore.
Allo stato attuale, però, la linea di cucina non è propriamente compiuta, caratterizzata dall’utilizzo di materie prime altisonanti, ma priva di profondità, di finezza e centralità gustativa.
Lo stesso percorso “a mano libera” è privo di un filo conduttore, i piatti si susseguono senza una particolare logica, per lo più caratterizzati dalla quasi totale assenza di acidità e pervasi dalla nota dolce davvero eccessiva.
Attendere la maturazione dello chef, senza caricarlo di eccessive aspettative, appare ai nostri occhi l’unica strada per far emergere le sue doti. E visti gli innumerevoli attestati di stima che provengono da più parti ci sentiamo di arrotondare per eccesso la valutazione, sperando in una crescita futura e nel conseguimento della necessaria maturazione.
Ai posteri l’ardua sentenza.

Crocchetta con pasta ai quattro formaggi, chips di lardo, gola di baccalà fritta. Uno start un po’ più soft, per aprire le danze, sarebbe stato gradito.

I pani, i grissini e l’olio, tutto di buona qualità.

Lingua di bue, gelatina di birra, foie gras mantecato al pepe verde, aceto tradizionale di Modena 70 anni. Decisamente squilibrato verso le note grasse del fegato, nascosto al di sotto della lingua, quantitativamente davvero eccessivo. Aceto e gelatina non riescono a fornire adeguati contrappunti acidi.

Crudi di pesce. Tonno, capasanta, rana pescatrice, gambero rosso, astice blu, salmone. Materia prima solo discreta, ma incomprensibile è la crema d’aglio, fastidioso orpello gusto-olfattivo. Non è dato ravvedere alcun legame con il sapore di mare, che inevitabilmente viene annichilito. Interessanti, invece, i capperi in polvere, esaltatori di sapidità.

Gelato di mozzarella fritto in panatura aromatizzata, con gazpacho di pomodoro. Il piatto che meno ci ha convinto, sia per l’esecuzione, non perfetta, sia per la concezione. Un antipasto così dolce, finanche stucchevole, è quasi spiazzante a questo punto del menù.

Passatina di ceci con anguilla affumicata, polvere di caffè, porcini secchi, olio alla brace. L’idea è buona, l’esecuzione meno. La crema, volutamente (a detta dello chef) insipida, non riesce a creare un legame con gli altri ingredienti. Da rivedere.

Risotto agli agrumi con battuto di astice blu, aria di prezzemolo. Tralasciando il “gioco” dell’aria, abbiamo riscontrato un notevole accento dolciastro, conferito dalla vaniglia (non annunciata, così come lo zafferano). Quasi impercettibile il sentore agrumato, che avremmo preferito maggiormente accentuato.

Fagottino ripieno di faraona, salsa al burro e parmigiano, bucce di pomodoro essiccate. Piacevole intermezzo, carico di sapore.

Cervo, pera cotta, fondo di cottura. Senza alcun dubbio la portata migliore, finalmente di livello adeguato alle aspirazioni dello chef. Gradevolissimo il sentore di brace. Cottura perfetta.

Marshmallow di limone, aria di carota, gratta checca al sedano. Pre-dolce non perfettamente centrato. Si nota la ricerca di giochi di consistenze, ma è il gusto ad essere latente, quasi sottotraccia.

Cannolo scomposto. La rivisitazione, purtroppo, non riesce a reggere il confronto con la ricetta classica. Peccato per il quadrotto di sfoglia, poco croccante. Crema al pistacchio, cioccolato fondente, e frutta candita completano la bella composizione.

Altra rivisitazione di un grande classico, la delizia al limone. Anche in questo caso operazione non riuscita. Il bignè all’interno non è fragrante, la gelatina di limone, alla base, quasi incollata al piatto.

Piccola pasticceria, ben fatta.

Sala

Tavolo

Giardino, ben curato, ulivi e viti.