Passione Gourmet Chef Carlo Cracco e Matteo Baronetto Archivi - Passione Gourmet

Cracco

Acetosella, chicura e bottarga, caglio fresco di capra, mascarpone, yogurt e cappero, pomodoro, rosa, frutto della passione, melograno, foglia di limone. Sono gli “acidi”. I propulsori di quella sensazione palatale sempre inseguita dagli estimatori delle grandi tavole. Un nirvana da raggiungere per sentirsi arrivati e pronti a tutto. Ma cosa spinge tanti gourmet a ricercare la tanto agognata acidità? Forse non c’è una risposta. Le tonalità e i giochi acidi in un piatto non sono determinanti, né un surplus per valutare meglio la capacità di un cuoco. In casi come questo, tutti gli ingredienti acidi, alcuni grassi, altri vegetali, creano l’armonia perfetta per far rilassare il palato dopo un lungo rincorrersi di gusti forti, tenui, sapidi, dolci e amari. Il tutto nel segno dell’acidità. “È il nostro sorbetto” esclama il maître. Mai concepimento fu più azzeccato.
Nel sottoscala di Via Victor Hugo, complessivamente, si è sempre mangiato bene, nonostante nel corso degli anni il ristorante non sia stato immune da critiche di ogni specie e ricorrenti attacchi mediatici.
Le nostre recenti esperienze ci lasciano in eredità le sensazioni positive di una cucina che viaggia sicura su una traiettoria più felice rispetto al passato, quasi priva di turbolenze. C’è qualche traccia di “prototipi” da perfezionare, ma molti sono i grandi sprazzi di cucina post-avanguardista, alternati alle solide certezze dei grandi classici del tandem Cracco/Baronetto, oramai eseguiti in maniera decisamente perfetta. E questo a dispetto di chi decretava la fine del ristorante Cracco per merito dell’avventura di Masterchef, rivelatasi invero una vera e propria rinascita del ristorante.
Il coefficiente di difficoltà dei piatti gioca sempre sul filo del rasoio gustativo. L’equilibrio è una sfida quotidiana, indice di estrema ricerca ma anche di una dose di rischio assunto che può far oscillare la valutazione di un piatto o di una cena di molto. In queste preparazioni sono fondamentali la qualità, la freschezza della materia prima impiegata e la chirurgica precisione della dosatura degli ingredienti. Qui tutto deve puntare al massimo, e dobbiamo dire tutto sta filando per il meglio da oramai qualche tempo.
Il menù è in pratica firmato da Matteo Baronetto, uno dei giovani più talentuosi e di maggiore esperienza che c’è nel panorama nazionale. Una garanzia su cui Cracco ha investito sin dai tempi di Piobesi d’Alba, garanzia oggi ancor più solida, grazie allo spazio concessogli dal maestro. Cracco però svolge ancora un ruolo chiave nel concepimento dei piatti e la sua mano è più che mai tangibile (non dimentichiamo che parliamo di uno dei precursori della cucina sperimentale in Italia, forse ancor prima dei vari Bottura, Scabin, Lopriore, etc.).
La carta è sempre molto ampia e ai sempreverdi menù degustazione (classico e creativo), ne è stato aggiunto uno, “..in dieci anni”, con una sintesi di tutti i grandi classici del locale dai tempi di Cracco-Peck ad oggi.
Di pari passo con la cucina ci sono cantina e servizio. Su questo argomento, in particolare, bisogna sfatare due luoghi comuni che getterebbero un’ombra sulla qualità complessiva del ristorante: il ricarico sui vini e il servizio di sala.
Circa il primo aspetto, sebbene la carta vini abbia ricarichi importanti, è anche giusto considerare il contesto complessivo logistico e imprenditoriale dove Cracco è ubicato: siamo tra il Duomo e Cordusio, dove i costi di gestione dovrebbero essere più alti rispetto a quelli della periferia o della provincia. Non vanno poi sottovalutati i percorsi al calice, che partono da prezzi abbastanza popolari (38 euro) e nei quali non vengono stappate bottiglie meno preziose di quelle presenti in carta.
Chiosa finale per il servizio di sala, spesso considerato distratto e poco cordiale. Sinceramente abbiamo constatato l’esatto contrario. La squadra coordinata da Francesco Palumbo svolge il proprio compito in maniera egregia, sa quando intrattenere un rapporto più informale con il cliente e, soprattutto, sa ascoltarlo e accontentarlo come meglio non si potrebbe.

Stuzzichini iniziali, golosi ma non banali, alcuni caldi altri freddi

Verdure essiccate al naturale. Il primo cult.

Alghe fritte e cialde di riso soffiato

Eccoci con altri cult: le Cozze ripiene di pomodoro. Con il guscio ricreato in versione edibile, con la pasta fillo al nero di seppia, famose quasi quanto

l’insalata russa caramellata che non ha bisogno di presentazioni. Divertente e originale ma difficile mangiare senza sporcarsi.

Parte il nostro degustazione creativo con il Pane al seitan, rucola e bresaola di agnello

Trippa di baccalà, coniglio e uova di salmone. Un piatto complesso nella ricerca dell’equilibrio. Molto accentuata la sensazione pastoso-grassa complessiva, ma centra l’obiettivo di ricreare il gusto tipico della trippa in umido, con sentori marini.

Insalata di prezzemolo, lingue d’anatra e canestrelli. Primo saggio di bravura nel dosare le sapidità. L’equilibratore gustativo è l’insalata dell’erba aromatica che neutralizza la forte spinta sapida-iodata di lingue e capesante crude.

Gamberi rossi al vapore, nocciole e “infuso” alla camomilla. Un piatto dall’equilibrio precario in cui la materia prima gioca un ruolo fondamentale. Il rischio del gusto coprente conferito dalle nocciole è, di fatti, dietro l’angolo.

Triglie, cavolo cinese, radicchio e bottarga.  Un classico in versione aggiornata che ci aveva deluso in alcune visite dello scorso anno. Analogamente al piatto precedente, la risposta al perchè sta nella materia prima. In questo caso era di gran pregio e di una freschezza tale da farci percepire la profondità del mare accentuata dalla bottarga e, ancora una volta, domata al millimetro dai vegetali.

Salmone marinato e foie gras. Altro saggio di bravura. Due elementi grassi che, alternati, creano una sensazione dolce-sapida, anche grazie alla funzione sgrassante del sidro servito in abbinamento (fondamentale). Abbinamento cibo-vino compiutissimo.

Dalla carta, Risotto con pinoli tostati, pomodoro verde e scampi (crudi). Buono,classico. La presentazione non rende giustizia.

Ravioli di lingua di vitello, cumino e limone. Gusto potente e perfettamente domato dalla sensazione acido speziata di cumino e limone.

Tagliolini d’uovo marinato essiccati, tartufo e salsiccia di vitello. Un classico reinterpretato in versione ludica.

Carciofi allo spiedo e cardi fritti.

“Acidi”. E’ il capolavoro della serata. Servito con

Acqua tonica, per un abbinamento perfetto in tutti i sensi. Davvero bravo il giovane sommelier Alberto Piras.

Vitello impanato alla milanese, zucca, verza e amaretto accompagnata da

Patate morbide fritte con contorni: ketchup, dashi (fantastico), rafano

La Milano “sbagliata” . Omaggio a quelle trattorie che non fanno il lavoro come dovrebbero. Chi vive a Milano sa bene che questo non è solo il classico chliché.

Petto di piccione, cachi, cerfoglio e senape. Sempre presente in carta. Un grande classico.

Latte e miele. Un bell’intermezzo dolce, con il polline a farla da padrone in un gusto che ricorda molto le galatine.

Cannolo di zucchero, olive verdi e martini dry. Anche qui, un divertente gioco acido.

Tiramisù leggero cotto a vapore

Krice

Mandarini essiccati

Piccola pasticceria: madaleine, macaron, gelatina al lampone, tartufino

Frutta essiccata

Mandorle e nocciole

La (notevole) degustazione vini