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Marotta

La via del gusto

Domenico Marotta intraprende una sua personale strada all’interno della cucina contemporanea, quella fatta di marinature estreme e acidità sempre più spinte: lo shock non è l’obiettivo della ricerca dello Chef il quale, anzi, in una prova che dimostra molta più maestria di quella che la giovane età del cuoco parrebbe indicare, giocando con un’eleganza e una delicatezza davvero oltre la norma nel panorama della cucina italiana.

Il mondo a Squille

La bravura di Marotta nell’ammaestrare anche i sapori più complessi si nota fin dai piccoli morsi di benvenuto, in cui spezie e condimenti noti per la loro prepotenza (il furikake e il chimichurri) vengono controllati alla perfezione in un crescendo che da una melanzana in agrodolce arriva fino a una lumaca ornata di nduja e bergamotto. Non manca nulla nella cucina del giovane Chef: vi sono gli orientalismi, la cucina di territorio, l’uso consapevole di sapori forti come le asprezze, ma tutto viene a combinarsi in piatti che fanno dell’equilibrio perfetto la loro chiave di gusto.

L’Insalata nera e gambero viola, piatto apparentemente semplice, stupisce per l’utilizzo esuberante del crostaceo, nudo e puro, dove grazie a un’orchestrazione dei sapori di fondo riescono ad emergere, quasi fossero una novità, la dolcezza e rotondità dell’ingrediente principale. Nel Risotto curry verde caprino e lime si assiste a un incontro di prodotti lontanissimi (il caprino è un formaggio a cagliata lattica di un caseificio della zona) che giocano tra di loro ad esaltare note di sapore quasi nascoste. Menzione d’onore al Dentice, servito con una piccola ricotta di mandorla e condito con olio al cipresso che sostituisce completamente la funzione di un agrume nel piatto, con la sua balsamicità esalta per contrasto la dolcezza della materia prima in una pietanza di una delicatezza unica in cui ci si aspetta quasi di essersi sbagliati nell’impressione del primo morso salvo trovarsi stupiti ancora e ancora durante l’assaggio.

Il servizio è puntuale e cordiale e la lista dei vini a ottimi prezzi premia la vinificazione locale. Marotta Ristorante è, dunque, una destinazione che può attrarre a Squille un flusso notevole di turismo gastronomico: con l’affinamento di qualche piatto e il coraggio di una scelta netta nelle portate del menù degustazione il locale di Marotta potrà di certo ambire a un posto di rilievo nella scena nazionale.

IL PIATTO MIGLIORE: Dentice, mandorle e cipresso.

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Lo spicchio è il piatto

La differenza la fa il palato dello Chef. Sempre. In una scena gastronomica in cui a latitare non sono certo prodotti, tecnica, trovate commerciali e capacità d’investimento, a segnare il solco fra “bravo, quello!” e i fuoriclasse è l’abilità di saper leggere e interpretare l’ingrediente per creare e ricreare mondi, suggestioni, percorsi gustativi a partire da esso. È sua maestà il palato a discriminare, in una preparazione giocata sull’equilibrio, il piatto d’alta scuola da quello scolastico, così come in una creazione gustativamente spinta, sarà sempre il palato a fare la differenza, a parità di audacia, fra il piatto vertiginoso e quello fuori giri. Ogni volta che ci sediamo ai tavoli de I Masanielli non possiamo fare a meno di considerare, talvolta ancor prima della tonante bontà della pizza, che dall’altra parte del pass c’è un palato formidabile.

Francesco Martucci, non pago di avere suggellato – non per primo e con una buona parte del “lavoro sporco” già svolto dai maestri della generazione precedente, certamente! – la capacità della Campania di emanciparsi dal fardello della tradizione a ogni costo, ha iniziato da tempo ad ampliare il fronte gustativo della pizza. Appassionato gourmet, negli ultimi tempi si è impegnato ad approfondire la conoscenza dei grandi ristoranti contemporanei girando come una trottola nei giorni di chiusura del locale.

Palato, dicevamo, di rara sensibilità, non ha impiegato molto per trasferire sulle proprie pizze le esperienze accumulate.  A I Masanielli, così, l’interesse squisitamente gastronomico, lo stesso che condurrebbe l’appassionato in una delle non poche tavole stimolanti della Regione, ha assunto nel tempo un’importanza pari al lavoro sull’impasto. Nell’ultimo anno, tuttavia, abbiamo assistito a una poderosa accelerazione del processo e il menù degustazione, ancora appena accennato in carta ma destinato presumibilmente ad occupare un ruolo centrale nel prossimo futuro, può essere considerato un primo tentativo di sintesi di quanto Martucci abbia finora rielaborato. 

Ciò che distingue questo percorso da ogni altra sequenza di pizze da noi degustata altrove è, innanzitutto, l’evidente intenzione da parte di Martucci di proporsi come parte attiva nel processo di costruzione del gusto degli anni a venire e di non accontentarsi di una gourmetificazione della pizza. Non sono l’ingrediente di pregio o la riesposizione di un classico internazionale o di una ricetta regionale a reclamare per la pizza il rango gastronomico, qui, ma l’idea che lo spicchio sia esso stesso il piatto: originale, contemporaneo e sferzante. In linea con molte delle migliori tavole odierne, ai Masanielli si ama giocare con amari e acidità, con fermentazioni e contrasti vividi cui la lievità del morso di pizza conferisce talora lunghezza, soprattutto quando gli spicchi serviti hanno subito la sola cottura al forno, e altrove tridimensionalità con il crunch e la maggiore tensione palatale degli impasti in tre cotture (vapore, fritta e poi in forno).

Un palato formidabile

Data la linea, il resto lo fa, come dicevamo in apertura, il palato. Tra i morsi travolgenti come quello dei Ricci di mare con la cicoria e la golosa intelligenza dei “Fiori di zucca al quadrato” citiamo, allora, l’accostamento di Mozzarella di Bufala, capasanta, polline d’api e plancton: un gioco splendidamente costruito, con un effetto di rara eleganza, sulla tenue e sorprendente sfumatura fra mollusco e polline, con la mozzarella ad amplificare e il plancton a cesellare la punta iodata. Alla sequenza, invero priva di cali di tensione, appongono il punto esclamativo i dessert di Lilia Colonna, imperdibile conclusione di ogni esperienza a questa tavola e, in coda al percorso guidato, anch’essi in serviti in rapida carrellata.

Il menù degustazione, naturalmente, ha un costo che non è paragonabile a quello della – strepitosa, come le pizze dei nostri due piccoli commensali ci hanno comunque ricordato – proposta usuale de I Masanielli. La nobiltà e la concentrazione di ingredienti sugli spicchi che vengono serviti sono infatti assai superiori, come del resto va considerato come ogni passaggio, a prescindere dal numero di commensali, richieda la cottura di un intero disco di pasta: sarebbe pertanto sterile azzardare ogni confronto fra le due esperienze da un punto di vista economico come, del resto, dal punto di vista gastronomico. Preferiamo così pensare che, pur seduti al tavolo di una pizzeria, si possa fare un’esperienza degna di un grande ristorante e come tale scegliamo di valutarla, come pure abbiamo fatto al cospetto di altre proposte similari, in attesa di vedere se questa proposta possa trovare, anche dal punto di vista della collocazione nel contesto del locale, una propria autonomia.

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Non è più solo questione di pizza

Da I Masanielli partiamo dalla fine: dal dessert. Come, direte voi, ma non stavamo parlando di una pizzeria? Già, proprio così, parliamo di una pizzeria e cominciamo discorrendo di una sfoglia al burro di Normandia. Perché la qualità di questo dessert, creato da Lilia Colonna, è l’emblema della crescita del mondo che gira intorno alla pizza da una ventina d’anni a questa parte.

Naturalmente la pizza rimane l’elemento fondamentale per poter giudicare un indirizzo, ma c’è dell’altro. Una bella sala, un servizio efficiente, la facilità di prenotazione, una carta dei vini e delle birre votata al godimento completo: tutti i tasselli al posto giusto e non solo uno di questi elementi. Sta tutta qui l’evoluzione della pizzeria italiana. Nello sviluppo di questo concetto, ai Tigli di San Bonifacio va senz’altro riconosciuta la primogenitura.

Ma c’è qualcosa di diverso nella crescita delle grandi pizzerie del Sud: non è stato reciso il cordone ombelicale con l’elemento popolare, questi luoghi sono stati e rimangono democratici, non per élite, accessibili economicamente sempre e comunque. I Masanielli è il prototipo della moderna pizzeria campana. Come lo sono Pepe a Caiazzo o i Fratelli Salvo a San Giorgio Cremano: grandi pizze e grandi locali di accoglienza, per tutti. Per chi con la pizza vuole lo Champagne e per chi vuole la Falanghina o, ancora, per chi solamente una fresca bionda alla spina, con una margherita a 5€ e mezzo.

Solo dopo avere maturato questo concetto possiamo parlare della grandezza di Francesco Martucci, ad oggi tra i più bravi, se non il più bravo, pizzaiolo nel panorama mondiale. Perché sta portando, al I Masanielli, la pizza napoletana in una nuova era: la sua “Futuro di Marinara”, cotta al vapore a 100°, poi fritta a 180° e infine cotta al forno a 400°, è più di un manifesto. Croccantezza e leggera, senza perdere identità. Una concentrazione di sapori unica per ogni ingrediente utilizzato.

Lo scrivevamo anche a seguito della nostra precedente visita: Francesco Martucci ha il palato, e il gusto, per portare la pizza in una dimensione nuova. Rovistando nei ricordi, nei sapori della sua infanzia e della tradizione campana, per portarli a un nuovo livello, più alto, più completo, più appagante. Dove il migliore impasto e la migliore cottura possibile si abbinano a ingredienti e abbinamenti unici: preparazioni di alta cucina appoggiati su un “piatto” di acqua e farina. Il tutto unito e amalgamato in una nuova identità.

I Masanielli potrebbero già ambire a riconoscimenti da cui fino ad oggi le pizzerie sono rimaste escluse. Ma l’esplosivo dinamismo di questo grande uomo del Sud non ha minimante esaurito la sua energia.

Cosa dobbiamo aspettarci, ancora?

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Il giovane giardiniere del gusto

Un giovane talento sulla scena campana, anzi italiana. I genitori hanno una struttura adibita a eventi e banchetti, lui parte e fa esperienze da Andrea Berton, Eric Frechon, Enrico Crippa e Alain Passard, stage in Belgio e da Ryugin a Tokio, per poi tornare a casa e aprire un ristorante all’interno della struttura dei genitori.

Quattro tavoli per un massimo di venti coperti, un locale elegante e sobrio, quasi zen che rispecchia la natura di Domenico Marotta, chef dal carattere introverso, riservato e sicuramente poco social. Avevamo avuto occasione di conoscerlo durante un suo breve periodo trascorso a Brescia da Bedussi, dove con Francesco Bedussi aveva impostato una proposta di ristorazione, a pranzo, ed eravamo rimasti molto colpiti da un piatto di zucchine alla scapece e un cetriolo in osmosi, sibilo del suo potenziale.  La cura e la passione per il mondo vegetale si ritrovano ovviamente ora in quello che è il suo mondo gastronomico, con i vegetali spesso protagonisti, trattati in modo inusuale con marinature di grande maestria. Sul sito si trova questa bella descrizione della sua proposta culinaria: “una cucina tra radici e innesti, legata al territorio per il rispetto della terra, delle tradizioni e degli ingredienti; che guarda al mondo per tecniche, materie prime, nuove esperienze“.

Radici e innesti

La partenza è assolutamente di livello con una bella varietà di amuse bouche, fra i quali spicca una melanzana in una marinatura che ricorda il carpione piemontese, in zucchero e aceto, poi cotta e  lasciata due settimane a riposare con la buccia che va a colorare la polpa.  Squisite le lumache alla brace e la trippa fritta con polenta e pepe nero, ma tutta la batteria iniziale è davvero notevole. Il menù parte  con un piatto avvincente e convincente che è una insalata nera con gambero rosso di Mazara dove si gioca con la spinta iodata e la carica voluttuosa. Una selezione di insalate, nappate con un dressing di sesamo nero, nero di seppia, alga nori, dashi e una base di anacardi, con il gambero crudo che è complementare ma passa quasi in secondo piano rispetto alla parte vegetale. Lo sgombro e il cetriolo, servito in tre portate, trova il suo perfetto abbinamento nella versione con il latte di cetriolo, di grande intensità e profondità di gusto. I primi spaziano oltre regione e nazionalità con il risotto, caprino, curry verde, erba cipollina e lime e i plin di coniglio all’Ischitana, entrambi gustosi. La guancia di vitello, abbinata al peperone è un po’ sottotono, sia da un punto di vista creativo che di sapidità della carne. Il vegetale torna poi protagonista con la ricciola, foglie di fico e fichi acerbi dove questi, raccolti ancora durissimi, vengono fatti marinare per un mese in una soluzione acida e aromatizzata con spezie che li rende croccanti e acidi, con la consistenza quasi di un’oliva e un sapore decisamente insolito e perfetto come alter-ego alla ricciola.

In questo contesto, si lavora molto sulle profondità e sulle verticalizzazioni di gusto e si finisce con un perfetto emblematico che è il dessert “limone e…” che si ispira alla tarte au citron con una crema al limone sifonata con elementi perfettamente abbinati quali una ganache al coriandolo, mandorle, limone in osmosi a freddo, citronella e lime, a conclusione di una esperienza decisamente originale e intrigante, un percorso interessante che ha solo un piatto sotto tono rispetto al resto.

Un giovane talento che ha maturato grandi basi e tecniche e che cura il suo “giardino gastronomico” come un maestro di bonsai: grande cura e precisione per i dettagli e grande senso estetico, sempre a servizio del gusto e da cui ci aspettiamo una continua evoluzione e progressione verso traguardi sempre più importanti.

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El pibe de oro della pizza abita a Caserta

Sulla personalità e sul talento di Francesco Martucci, alias el pibe de oro, abbiamo veramente poco da aggiungere. La sua crescita è inarrestabile: dopo aver attrezzato più di 300 metri quadri di cucina con ogni diavoleria conosciuta sull’orbe terracqueo (abbattitori, roner, essicatori, liofilizzatori, estrattori, affumicatori) lui continua a sperimentare; il fine? Costruire un nuovo codice della pizza contemporanea. E lo fa a suo modo, con un suo percorso personale, e con doti davvero rare: perseveranza da un lato, talento istintivo dall’altro e un grande, grandissimo palato che gli fa scoprire equilibri e dosaggi a molti ancora sconosciuti.

La sua versione di marinara, il futuro di marinara, oltre che nella mirabile tripla cottura (al vapore a 100°, fritta a 180° e al forno 400-420°) che conferisce una croccantezza unita a una leggerezza davvero formidabili, è un punto di riferimento per quella salsa di pomodoro concentrata quanto leggera e per gli ingredienti sapientemente dosati: crema di pomodoro arrosto, per la precisione, che ricorda il ragù cotto ore e ore sulla stufa economica; pesto di aglio orsino, capperi di Salina, olive di Caiazzo, alici di Trapani e origano di montagna.

L’innovazione e il gusto nella pizza migliore del mondo

Un tripudio e un’esplosione di sapori e un grande, grandissimo assemblaggio di prodotti. Francesco Martucci cerca il meglio, non solo in Italia, e lo lavora fino a fare della pizza una materia nobile in barba alla sua estrazione popolare. Ma il capolavoro compiuto è proprio questo.

Anche nelle pizze più tradizionali, tipo la Parmiggiana, riesce a imprimere una forza e un sapore che solo i grandi palati riescono a codificare. Quale? In questo caso il ricordo della parmigiana della nonna, quella un filo ossidata ma meravigliosamente golosa. Passando attraverso la 4 pomodori in 4 consistenze, con un lavoro tra asciugature/essicature, concentrazioni e lavorazioni che rende davvero onore al re pomodoro. Finiamo con il capolavoro contemporaneo della Popeye,  spinaci al burro di Normandia, coppa di testa di Simone Fracassi, crema acida di bufala, zest di limone. Un unicum davvero micidiale.

Un talento unico, che non si arresta, e che continua la sua crescita e la sua evoluzione con costanza e tenacità.

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