Nella bella location di Piazza San Zeno a Verona, una piccola porta in legno conduce a un bell’appartamento al piano terra. Ad aprirvi lo chef in persona, che vi dà il benvenuto in Casa Perbellini. Il tavolo viene preparato in un baleno davanti ai vostri occhi, in una sala che è uno spazio unico, dove tutti i tavoli godono il privilegio di essere table du chef.
Sala e cucina (davvero bellissima) in un unico ambiente. La brigata, monocromatica, tutta in gilet e coppola d’ordinanza, si muove armoniosamente sotto l’attenta supervisione di Perbellini (il solo vestito con colori diversi).
Tutto scenograficamente molto bello. E così la cena diventa una sorta di rappresentazione teatrale, nella quale ospiti, cuochi e personale di sala interagiscono perfettamente.
La grande competenza e la lunga esperienza di chef Perbellini colpiscono subito, a partire dagli amuse bouche, non banali ed estremamente articolati.
Ma anche la sala non sbaglia un colpo. Professionalità alta, a cominciare da Barbara Manoni fino al preparatissimo sommelier Marco Matta. Tempi di servizio impeccabili. Carta dei vini d’altissimo livello – soprattutto sul versante francese – e lussuosa, visti i ricarichi, davvero importanti.
Non c’è la Carta, la scelta è tra due menu degustazione.
Sempre presente qualche grande classico come il Wafer al branzino, un grande piatto di pasticceria declinato in veste salata, e la Millefoglie “Strachin”, un dolce davvero dolce che, forse, più del Wafer inizia a sentire il peso del tempo che passa.
Cucina neo-classica, dicevamo, tendenzialmente senza spigoli, piatti rotondi, ricchi come le Mezze maniche, mais e umido di baccalà. Talvolta cogliamo qualche acidità in più rispetto al passato come nell’Astice al latte cagliato al pepe sansho.
Bocconi di grande classe, come il Gelato allo zabaione con caviale affumicato o di grande scuola e impeccabile esecuzione, come il Filetto di manzo e foie gras, si alternano a piatti monocordi quale il Granchio reale in crosta di croccante di amaranto.
Comunque, tutto sembra girare alla perfezione. Addirittura troppo, si potrebbe sostenere. E questo è oggi, a nostro giudizio il limite di Casa Perbellini.
Tutto troppo studiato, troppo ragionato. Una cucina che ci sembra concepita più con la testa che con il cuore. Si sta benissimo e si mangia meglio, ma manca il colpo d’ala. Il piatto nuovo, che non ti aspetti, che ti tramortisce e ti resta dentro. Il piatto che fa la differenza, a certi livelli. E così il voto, che ci sentiamo di confermare, stavolta non è poi così pieno.
Per il resto tutto è molto ricco, forse troppo, come la impegnativa sequenza di ben tre dessert al termine di un menu lungo e appagante. E poi ancora, bon bon di accompagnamento al caffè e una piccola Torta sablè al cioccolato, che diventa proibitivo anche solo assaggiare. Ed è stato un vero peccato!
Giancarlo Perbellini è uno degli alfieri della nuova cucina italiana.
Di lui abbiamo -e si è, più in generale- scritto tanto, tantissimo, ed i nostri elogi li merita tutti.
Professionista di rara serietà, legatissimo al suo territorio, di recente trasferitosi nella sua “Casa” ai margini di Piazza San Zeno, una delle più caratteristiche di Verona, officia a vista per i pochi fortunati (poco più di 20) che possono sedersi a questi tavoli.
Nessuno schermo tra sala e fornelli, sì da creare una simbiosi perfetta con l’ospite, che è lì, come a teatro, a godersi lo spettacolo a due passi dal palco.
Il servizio, di grande scuola, è in perfetta simbiosi con la cucina, ed è pronto a soddisfare ogni richiesta della clientela; la mano del Maestro è, da sempre, riconoscibile nelle sue creazioni.
Tecnica sopraffina, ma più assonanze che dissonanze. Si prediligono abbinamenti che conferiscono continuità gustativa, senza sferzanti contrasti. Dolcezza e note suadenti non vengono annullate da lievi acidità, presenti maggiormente che in passato.
Chi è consapevole dei suoi grandi mezzi non si concede così facilmente alle accattivanti sirene della modernità, o meglio della novità a tutti i costi. Anno dopo anno questa cucina si evolve, ma non crea mai un distacco netto col passato, neanche lontano.
Perbellini crea, ma non distrugge.
Una creatività davvero inesauribile: a Casa Perbellini il menù viene cambiato al massimo ogni due mesi, caso più unico che raro nel panorama dell’alta ristorazione italiana. Questa grande prolificità non viene però sempre accompagnata da una costanza qualitativa: nelle nostre visite abbiamo potuto constatare risultati altalenanti, non sempre al livello a cui ci ha abituato negli anni lo chef.
Alcune volte i piatti si sono rilevati confusionari, privi di quella eleganza e finezza neoclassica che sono il marchio di fabbrica Perbellini.
Beninteso, qui si gode comunque. Non una sola cottura sbagliata, non un solo abbinamento fuori posto.
Mai banali gli appetizer, molto interessanti gli spaghetti affumicati con fasolari e gamberi, rasenta la perfezione la cottura delle carni, manifesto della sua classe il sandwich di spigola e mazzancolle. Grandi, come sempre, i dolci; non possono tradirsi natali così illustri.
Nota stonata per la carta dei vini che, sebbene profonda e con etichette molto interessanti, presenta dei ricarichi davvero “monstre”, da far tremare i polsi.
Noi, come abbiamo fatto negli ultimi 20 anni, prima ad Isola Rizza ed ora a Verona, continueremo a tornare in questo piccolo antro di gusto e bien vivre, consapevoli che mai verranno tradite le elevate attese. Mille di questi cuochi!
Focaccia con pomodorini e olio al basilico.
Bignè farcito di ricotta affumicata, caramello di pomodoro.
Pomme soufflè al gusto pizza.
Cialda croccante di acciuga con burro e acciuga; Meringa di mais, crema di nocciola e gorgonzola.
Caviale affumicato e zabaione ghiacciato.
Ostrica in tempura, spuma di zafferano, pesto di lattuga di mare.
Sandwich di sogliola e mazzancolle, bavarese di asparagi, mandarino, cerfoglio.
Spaghetti alla chitarra affumicati, battuto di gamberi rossi, macedonia di fasolari.
Uova strapazzate, polpo, porro, tartufo e ristretto di dashi.
Quaglia affumicata, pomodori confit, carciofi, pistacchi e crema di Grana Padano.
Controfiletto di agnello, foie gras, coulis di asparagi e bacon.
Predessert.
Cremè brulée al limone, cialda di ananas croccante, sorbetto al mandarino e guazzetto di sciroppo ai fiori di sambuco e basilico.
Millefoglie strachin.
Succo d’arancia e gelsomino, Latte di mandorla e fragola, Pera e frutto della passione, Biscotto morbido al pistacchio, crema all’olio e mirtilli, Tartelletta dolce salata farcita di cioccolato caramellato e caviale di caffè.
I vini.
Semplicemente, in Italia, un locale così non c’era.
Perché non si tratta più di avere la cucina a vista, ma di eliminare ogni barriera tra cuoco e cliente.
E se l’angolino ritagliato in sala per una piccola zona preparazione non è una novità, basti pensare ad alcuni famosi neo bistrot parigini, quello che è nuovo è vedere al lavoro una intera brigata da grande ristorante, comodamente seduti al proprio tavolo. Come se ogni tavolo della sala fosse la table du chef.
Ai frequentatori del locale parigino di JF Piége non sfuggiranno alcuni richiami, sia nell’arredo che nella proposta del menù (con gli ingredienti a scelta), così come alcune sensazioni avvertibili negli Atelier di Joel Robuchon (ma a San Zeno ci si accomoda ai tavoli, non al bancone). O ancora dettagli legati a proposte ristorative più tipiche del panorama asiatico.
Non è certo un ristorante adatto a uno chef burbero, tutt’altro: qui sarà normale aspettarsi un servizio al tavolo con annessa spiegazione del piatto da parte di Giancarlo Perbellini. E’ l’evoluzione finale di un percorso che ha visto piano piano il cuoco uscire dalla sua cucina e prendere contatto con i clienti, fatto impensabile fino agli anni 50 del secolo scorso. Ora non saranno più concesse serate con la luna di traverso perché il sorriso non si potrà negare a nessuno (e i bravi uomini di sala lo sanno bene): aspetto certamente logorante ma anche incredibilmente stimolante per il continuo e costante rapporto con il pubblico.
Il cuoco entra quindi nella scena e calamita gli sguardi su di sé.
Una sfavillante De Manincor che farebbe la gioia di ogni spadellatore: piastre a induzione, plancha, roner, forni e solo due gas. Una formula uno che romba a pieno regime.
Tante proposte dal menù, per un locale che necessariamente dovrà viaggiare a tutto gas dato l’esiguo numero di coperti (24 al massimo). Quindi c’è la possibilità di un primo turno la sera ad un prezzo agevolato (il classico pre-arena veronese), un menù più articolato con tutte le nuove creazioni della cucina (denominato “Assaggi”) e poi il “chi sceglie… prova”, con due ingredienti da scegliere tra i quattro disponibili che compariranno poi nel menù.
L’obiettivo prefissato sembra raggiunto, in quanto la sensazione è effettivamente quella di entrare e accomodarsi in una casa. E forse, col tempo, questo dettaglio potrebbe essere ulteriormente rafforzato, dando ancora più calore alla sala con alcuni accessori tipici di un salotto casalingo.
La carta dei vini è stata costruita a tempo di record e prevede una selezione di 50 vini italiani e 100 stranieri secondo i gusti della proprietà (quindi con la Borgogna a farla da padrone). Manca ovviamente un po’ di profondità di annate, ma permette già di bere molto bene.
La cucina è sempre quella di Giancarlo Perbellini, già perfettamente calata nella nuova realtà.
Una cucina che non rifugge quindi le rotondità, le dolcezze, le curve delicate. Ma sa anche dare delle improvvise accelerate, e in questa visita è stata una quaglia affumicata a farci sobbalzare sulla sedia.
Il locale è aperto da poche settimane, quindi rimandiamo il giudizio, comunque il livello della proposta è già paragonabile a quello di Isola Rizza. Cambia totalmente il contesto, e adesso non si potrà davvero iniziare una recensione scrivendo di capannoni e strade di campagna. La Piazza è quella di San Zeno e l’Arena è solo a 10 minuti di cammino.
Ci sono anche a disposizione alcune camere, per chi volesse dormire a pochi passi dal ristorante.
Una nuova sfida, moderna e coraggiosa: non può che far piacere, soprattutto in questo momento storico e economico, vedere che c’è gente che ancora ci crede e ha voglia di investire nel nostro Paese.
Cuochi ai nastri di partenza.
Il menù “in busta”.
Sfera ripiena di spritz liquido.
Tarteletta di storione.
Pancia di maiale con salsa agrodolce.
Ravioli ripieni di crema brulé al mais, caviale affumicato, panna acida, storione.
Sarà un grande classico, perché il gioco tra il mais e l’affumicatura è perfettamente riuscito.
Uovo strapazzato, spuma di patate acide, spinacini, polvere di topinambur e caramello al mandarino.
Scampo, maionese ai ricci di mare, frolla al basilico, yogurt e limone.
Il caramello al limone regala una bella profondità al piatto, la spennellata di caprino la morbidezza.
Scampo di grandissima qualità.
Spaghetti cremosi alle vongole, uovo, verza e capperi.
Ravioli farciti di pecorino, brodo alla menta e tartufo nero.
Chef all’impiattamento a mezzo metro dal vostro naso.
Quaglia affumicata, pomodori confit, pistacchio e carciofi. Piatto favoloso, il migliore della giornata. Profondo e complesso, sorprendente pur mantenendo le classiche caratteristiche della filosofia Perbellini.
Vitello in crosta di nocciola. Cottura favolosa.
Pre dessert: un mangia e bevi al cioccolato bianco con ripieno di mandarino e pera.
Dessert: una base di frolla, lamponi e poi due consistenze di cioccolato. Un dessert straordinario, da grande pasticceria.
Piccola pasticceria.
Il vino del pranzo.
La cucina.
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