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La Bottega di Sappada

Lo sguardo illuminato del bottegaio ci ha sempre affascinato.
Fare della vendita la tua missione non deve essere una cosa facile. Capire al volo il cliente appena varca la porta e proporgli di conseguenza i prodotti a lui più indicati: roba da psicologi veri.
Capita il cliente più curioso, quello che mostra un interesse in più della media, ed ecco che il bottegaio bravo diventa un fiume in piena: racconta, fa assaggiare, coinvolge. I suoi occhi si accendono alla ricerca di una carica empatica insperata.
Lo sguardo di Massimo Casciaro, patron di questa Bottega in centro a Sappada, trasuda passione.
Quello che raramente viene colto dal visitatore occasionale, entrando in locali come questo, è il lavoro che sta dietro la scelta di ogni singolo formaggio, ogni singolo salume proposto al bancone.
Ricerca, prove, assaggi, sinergie con i produttori più validi. Senza dimenticare l’affinamento del formaggio stesso.
E’ una vera promozione del territorio, con i suoi prodotti “panda”: quelli che nessuno ha sentito nominare, ma che appena messi in bocca ti aprono un mondo.

Come il prosciutto della tradizione sappadina, da maiali allevati in malga con un sistema di alimentazione naturale fatta di siero e sfarinati. Nasce come prosciutto sgambato, speziato e non sugnato. Un grande prodotto, che unisce la dolcezza del prosciutto all’affumicatura dello speck. Rispetto ad un prosciutto con osso, ha un invecchiamento più veloce, subisce 2-3 muffe invernali in cantina per poi maturare in soffitta a quota 1400 m. d’altezza.
Da non perdere assolutamente, una vera chicca.
Ma non è montagna senza qualche prodotto di selvaggina, come il prosciutto di cervo o lo speck di cinghiale.
Che dire delle braciole e gli stinchi di maiale affumicati? Ed ancora le pendole (carne secca di maiale) e la petuccia (salame di manzo e maiale arrotolato nella farina di mais e affumicato)?
Storia di un popolo e delle sue abitudini.
Altro capitolo importante: i formaggi di malga. Da pascoli tra i 1500 e i 1800 metri, una bella selezione di formaggi a latte crudo a diverse stagionature a seconda del periodo dell’anno: dai freschi disponibili da luglio, fino agli stagionati della stagione estiva precedente.

Ci ha però conquistato un formaggio affinato con foglie e fiori di sambuco: elegante e profumato, come una passeggiata in un grande campo fiorito.

Altre possibilità sono l’Hai Kase (vaccino e caprino maturato nel fieno), il Palukase (caprino maturato in grotta con aromi alpini) o la ricotta affumicata.

Birra? La Zahre di Sauris, notevole quella alla canapa.

Qualche barattolo di funghi sott’olio o secchi e magari un’altra bella chicca, il radicchio di montagna.


Spesa fatta.
Sappada è certamente nota agli appassionati gourmet per il Laite, ma prima o dopo la visita al ristorante, la Bottega di Massimo e Michela è una sosta da non mancare.
Fatevi mettere tutto sotto vuoto, la montagna vi accompagnerà a tavola per le settimane successive.




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Recensione ristorante.

Il consiglio migliore per alimentare la nostra passione me la diede tempo fa un caro amico: “Lasciati sorprendere”.
Sfortunati quelli che si siedono alla tavola convinti già di sapere tutto. E’ il pregiudizio il nostro peggior nemico.

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Recensione ristorante.

Sale e pepe quanto basta.
Si ! …ma quanto basta?
Bisognerebbe capire “quanto” basta. E soprattutto “quando” basta!
E forse assaggiando più spesso i propri piatti, i componenti la brigata di cucina di questo piacevole ristorante situato ai margini di un piccolo villaggio non distante da St.Remy de Provence potrebbero trovare una misura accettabile che non comprometta il risultato finale.
Ed é un vero peccato che accada ciò quando si impiegano materie prime di ottimo livello e si ha l’energia e la voglia di far bene.
Ma è anche vero quanto affermò uno dei nostri divulgatori gastronomici italiani : ” ma siamo certi che i bravi cuochi abbiano anche un buon palato?”
La presentazione dei piatti e alcuni sprazzi di stile varrebbero ben di più di questa nota, ma il risultato complessivo di molti di essi smorza gli entusiasmi e riconduce a più miti sentimenti.
Lo chef, non giovanissimo, rivela senza riserve la sua passione per cucine colte di guru dei fornelli che fanno di nome Regis Marcon e Michel Bras ( Michel, non Sebastien…) e subisce anche qualche influenza del suo più prossimo bistellato Edouard Loubet, e quindi con derive Veyrat.

Da questo tourbillon di idee pizzicate altrove viene fuori una linea di cucina complessa ed esteticamente gradevole, ma dove i molti elementi finiscono a volte col pestarsi i piedi o defilarsi in ruoli secondari, quando addirittura non compromettono un risultato qualitativo che sembrava già acquisito.
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Recensione ristorante.

All’interno di uno splendido hotel, dove nulla è lasciato al caso, si è accolti, oserei dire, quasi con calore, in una stube ( dedicata allo scalatore Louis Tenker ) tanto piccola ed accogliente, quanto leggera ed elegante ( anche se non sempre riesce nell’intento ) è la cucina di Gerhard Wieser, cuoco di lungo corso, che ha imparato ad alleggerire ed impreziosire formalmente ogni proposta a partire da evidenti solide basi tradizionali.

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