Dopo la parentesi londinese, Riccardo De Prà è tornato alla nave madre per riprendere la guida della cucina di famiglia. La sua assenza nell’ultimo periodo non è stata indolore, quindi con piacere abbiamo ritrovato in questa visita la mano convincente del giovane chef bellunese.
Un animo inquieto quello di Riccardo De Prà, che non sembra ancora aver trovato la sua completa dimensione. Così come il ristorante, in bilico tra novità (metà tavoli sono in legno grezzo senza tovaglia, la moda del momento) e tradizione (l’altra metà del ristorante ha i tavoli con le tovaglie), con un cordone ombelicale non ancora del tutto reciso tra la storica gestione di questo illustre locale e tutto quello che dovrebbe rappresentare la nuova generazione.
Ci sembra che i risultati a cui può ambire questa cucina potrebbero essere superiori, ma già oggi il livello è molto buono e alcune preparazioni meritano il viaggio come lo straordinario appetizer propostoci: carne di manzo locale appena scottata abbinata a una deliziosa maionese al wasabi. Un piatto semplicissimo, Japan Style che mette in grande risalto la qualità della carne allevata qui.
Le preparazioni più efficaci sono certamente quelle che traggono le loro origini dall’Alpago e dai sapori di queste terre: le lumache gratinate con erbe di montagna sono imperdibili, un grandissimo piatto. Così come le costolette di agnello, forse cotte un filino in eccesso ma gustosissime e rese ancora più sfiziose da una efficace panatura.
Meno convincente l’interpretazione della pasta alla carbonara: quando l’originale è meglio della rivisitazione, una domanda bisogna porsela e secondo noi questo piatto, pur di gran successo, non ha più molto senso in un menu di questo tipo.
Ottima come sempre la carta dei vini, così come il servizio, un po’ in difficoltà a sala piena ma di grande disponibilità e gentilezza.
Attiguo al ristorante c’è anche il Doladino, per una proposta più semplice e veloce sempre all’insegna della qualità.
Una notevole risorsa anche quella delle camere al piano superiore, per chi avesse bevuto un tantino troppo e decidesse di farsi cullare ancora un po’ dalla bellezza di queste montagne.
La storia continua al Dolada e i presupposti ci sono tutti per un futuro di grande soddisfazione.
Manzo con maionese al wasabi.
Lumache gratinate con erbe di montagna.
Uovo croccante nel pane nero e caviale di trota leggermente affumicato.
Pappardelle di grano antico Enkir, funghi, verza e fonduta di malga.
Nuovi spaghetti alla carbonara.
Trota dell’Alpago alla brace.
Costolette di agnello in crosta dorata di pane e rosmarino.
La manza di Rosina cotta alla brace in legno di nocciolo.
Noce di cocco, cioccolato e mosaico di frutta.
Tartelletta con nocciola, pistacchio e gelato al mandarino.
Millefoglie Monte Bianco.
Piccola pasticceria (molto buona).
La vista spazia verso il lago.
Dopo tanti anni e numerose visite a questo ristorante in Borgata Hoffe sarebbe ragionevole pensare che l’ennesima esperienza non possa che riservare l’assoluta assenza di sorprese.
Ma qui al Laite non è così, perché almeno una volta l’anno, varcando la sua soglia con un palato più smaliziato e un senso critico migliore, tutto viene rimesso in discussione.
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Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui
Recensione ristorante.
Il paese di Sappada è lontano da tutto ma il Laite non può non essere nei cuori di chi ha avuto la fortuna di andarci.
Il numeretto, cui diligentemente ci atteniamo, esprime la cifra della pur considerevole cucina, che lo pone comunque tra i primissimi esercizi italiani.
Un ristorante talvolta, però, è anche, e soprattutto, ben altro. Armonia, umanità, piacevolezza, in parole povere il benessere cui noi tutti aspiriamo in questo luogo qui è una garanzia.
Il buon Veronelli aveva saggiamente istituito la categoria dei ristoranti del cuore, e, francamente, non saprei proprio dove altro mettere questa piccola bomboniera che per me, ma so di non essere solo, è costantemente in cima alle mete immaginarie. Sempre. (altro…)
Recensione Ristorante
Una vita da mediano, come direbbe Luciano. Anni di fatiche, prendi la stella, la perdi, riesci a riprenderla. E’ una lunga storia quella della famiglia Gregori e del Capriolo.
E ora come va? Niente male direi, visto che in un sabato a pranzo di fine stagione si riesce a fare un discreto numero di coperti.
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