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Science & Cooking World Congress

Grilli, Wagyu plant-based e vino dealcolato

Tra l’8 e il 10 novembre Barcellona si è resa protagonista in tema di gastronomia con la seconda edizione del “Science & Cooking World Congress”, il convegno che punta i riflettori sulle nuove tendenze in ambito food da un punto di vista multidisciplinare, cui Passione Gourmet era invitata.

Alla presenza – fisica – del Professor Davide Cassi, vicepresidente del SCWC, ma soprattutto fondatore e direttore del Laboratorio di Fisica gastronomica e del Future Cooking Lab presso l’Università di Parma, dove al tempo fu il presidente del primo corso di laurea in Scienze Gastronomiche varato in Italia, oltre a lui anche altri grandi nomi hanno partecipato alla kermesse tra i quali Harold McGee, Ferran Adrià, Joan Roca, François Chartier e Francisco Migoya.

Tema centrale della manifestazione la sostenibilità declinata in tutte le sue sfaccettature e il supporto fornito dal progresso tecnologico. In questo ambito sono stati presentati progetti che promettono di rivoluzionare per sempre il mondo del cibo come lo conosciamo oggi. Qualche esempio? Vi anticipiamo solo che ben presto potreste trovarvi a mangiare un delizioso filetto di wagyu senza accorgervi che è plant-based, magari accompagnato da un ottimo calice del vostro vino preferito. Un calice? Che dico, meglio una bottiglia, tanto sarà vino dealcolato. Il tutto su suggerimento di un assistente virtuale esperto di abbinamenti tra cibi inusuali, che saprà consigliarvi in base ai vostri gusti preferiti.

Carne plant-based

Di stampanti 3D avrete di certo già sentito parlare, ma ciò che ci ha mostrato il Dr.Giuseppe Scionti di Novameat ha dell’incredibile.

Sembra carne vera, ma è “stampata”. Al posto del toner, una miscela di piselli, riso, olio extravergine di oliva, alghe brune e barbabietola. Chi l’ha assaggiata conferma che la consistenza sia davvero vicina a quella del prodotto originale.

Non abbiamo ancora la tecnologia adatta, ma a breve saremo in grado di competere con le carni più pregiate al mondo” annuncia Scionti.

A fare la differenza è proprio lui, PhD in Biomedicina, Ceo e fondatore di Novameat. Bioingegnere con un curriculum sterminato e altisonante, per anni si è occupato di “ingegneria dei tessuti” applicata al campo medico, al fine di ricreare muscoli, ossa, cartilagini e altra robetta di questo genere. Poi l’improvvisa presa di coscienza di quel problemino globale che è la domanda di carne da parte di una popolazione in continua espansione, una minaccia sempre più concreta per l’ecosistema e la biodiversità.

Quindi l’illuminazione. Perché non deputare l’ingegneria dei tessuti anche alla creazione di cibo sostenibile stampabile in 3D, conservando la peculiare texture del prodotto originario, rendendolo così incredibilmente realistico all’assaggio e potenzialmente sostitutivo del prodotto di origine animale? Et voilà, la grigliata eco-friendly è servita.

Vino analcolico, o quasi

Da amante del vino, ammetto di essere rabbrividita. All’inizio. Alacarte è il progetto con cui AlacarteVentures, promette di “ridurre alcol e calorie di ogni bevanda in pochi minuti, preservando intatta la qualità originale”.
“Fandonie!” voi direte, eppure…

…qualcuno sostiene che il vino addirittura migliori.
Effettivamente se si pensa al mondo del Whisky, si è soliti aggiungere qualche goccia d’acqua alla bevanda affinché tutte le componenti aromatiche possano liberarsi dalla morsa dell’alcol e sprigionarsi leggiadre nell’aria, risultando più percepibili all’olfatto. In astratto il concetto sembra simile, diminuire l’alcol potrebbe portare all’aumento della capacità di percepire aromi, ma bisogna sottolineare che è solo una congettura.

Il tutto sarebbe possibile attraverso una macchina compatta e leggera, pensata per i ristoranti e per qualunque altro luogo deputato alla mescita del vino. Pochi semplici passaggi e, in meno di 5 minuti, il cliente può bere il suo vino (o distillato) preferito, diminuito della quantità di alcol (e solfiti) desiderata. Una soluzione ottimale per il crescente segmento di mercato più attento alla salute, ma interessante un po’ per tutti. Certo, sempre se questo aggeggio, come garantisce Aleix Barandiaran, Ceo e Fondatore, “non influisce sul colore, sul profumo e sul gusto” del vino.

Il gastronomo virtuale

Gradireste ricevere consigli su che cosa preparare per cena? Volete sapere se mangiate in modo sano? Vi chiedete se il granchio delle nevi gigante che vi è costato un rene si sposerà bene con la papaya?
Se la risposta a tutte queste domande è “sì”, sarete felici di sapere che ben presto ogni vostra curiosità gastronomica troverà appagamento. Nel corso del convegno sono stati presentati non uno, ma ben due assistenti virtuali dedicati al mondo del food.

Il primo è FlavorID® di Foodpairing®, l’assistente virtuale che, una volta settato su quelli che sono i vostri gusti personali attraverso un veloce questionario, sarà in grado di fornirvi molti consigli. Ad esempio avete mai assaggiato un grillo o uno scorpione? No? Bene, non è più necessario provare entrambi, FlavorID® vi risparmierà la fatica e vi dirà quale dei due si addice maggiormente al vostro palato. Ma non solo, questa nuovissima app si prefigge anche l’obiettivo di migliorare le vostre abitudini alimentari, determinando un health score e proponendovi i cibi migliori dal punto di vista nutrizionale più in linea con i vostri gusti.

Il secondo gastronomo virtuale che promette di rivoluzionare il settore del food, è quello che sta venendo sviluppato da quella aziendina che è la Sony.

Con il “Gastronomy Flagship Project”, Sony AI, controllata nata nell’aprile 2020, “intende accelerare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale a sostegno dell’immaginazione e della creatività, in particolare nell’ambito dell’intrattenimento” e, nel caso specifico, della gastronomia. I contorni del progetto non sono ancora stati del tutto svelati, ma sembra che investiranno diversi ambiti, con il food al centro di un’esperienza multidisciplinare rivolta in primo luogo agli chef. In questo senso si mira a sviluppare soluzioni robotizzate in grado di aiutare i cuochi nella preparazione dei loro piatti e sviluppare un’app che consenta di dare vita a sapori mai sperimentati prima. Ad esempio sarà possibile tradurre un brano musicale in cibo, trasformando le note in ingredienti. O ancora si potrà avere accesso a tutte le informazioni possibili su un determinato cibo, incluso un rating relativo all’impatto ambientale e alla sua sostenibilità.

Noi non vediamo l’ora di assistere allo sviluppo di tutti questi progetti. E voi, siete pronti per il futuro?

La cucina messicana d’avanguardia secondo Albert Adrià & Co.

La cucina messicana, con le sue radici pre-ispaniche, si basa su tecniche ancestrali e una varietà di prodotti a dir poco straordinari. Ha subito influenze di altri Paesi ma, allo stesso tempo, è riuscita ad influenzare, a sua volta, altre culture.

Il cibo da strada messicano gode di un ruolo importante nel mondo e, come tutta la gastronomia di rilievo, Albert Adrià e i suoi straordinari collaboratori non si sono fatti scappare l’occasione di reinterpretare, brillantemente, dopo la cucina nippo-peruviana anche la comida mexicana, patrimonio immateriale dell’umanità per l’Unesco, ritagliando sulla stessa un vestito d’alta cucina.

Paco Mendez, chef di Hoja Santa (ossia una foglia, originaria di Oaxaca, utilizzata per cucinare), è uno dei più stimati cuochi e interpreti di questa cucina nonché uno dei collaboratori più stimati del gruppo dei fratelli Adrià. Guardando al suo rigore tecnico e all’estro creativo sembra semplice riassumere in poche parole questa tavola: i sapori e le tradizioni del Messico sono facilmente rintracciabili in tutti gli assaggi nei quali le tecniche tradizionali si confondono con quelle innovative, ottenendo un peculiare risultato atto a reinterpretare con grande stile le ricette messicane strizzando l’occhio alla Spagna e ai suoi ingredienti, nonché agli irrinunciabili rimandi a El Bulli che fanno di Hoja Santa una tavola ancora unica nel panorama mondiale.

Non solo tacos…

È possibile ordinare à la carte, anche se la soluzione migliore, caldamente e reiteratamente consigliata anche dal servizio di sala, è quella di lasciarsi guidare in un’esperienza più immersiva, lasciandosi cullare dalle abili mani dello chef che propone una sequenza di una ventina di assaggi divisi in antojitos (snacks), botanas (appetizers), frutti di mare e crudi di pesce, tacos, mole e stufati, oltre al piatto principale.

Non aspettatevi quindi una selezione sterminata di tortillas farciti o da farcire, perché il meglio di questa tavola arriva con preparazioni tipiche come i mole, qui preparati in più declinazioni, o con i piccoli assaggi di frutti di mare reinterpretati con sensibilità tecnica, in perfetto stile Tickets. Tra gli assaggi migliori rammentiamo un toast di tonno, alghe e ricci di mare che invita al bis, il mole di aglio nero con avocado con eterea panatura al pistacchio, un guacamole con una marcia in più (in cui il coriandolo viene spodestato da altri aromi tra cui spicca l’elegante dragoncello), una commovente animella con salsa di arachidi e cocco o l’imperdibile cochinillo asado, cotto per un giorno a bassa temperatura di cui viene servito, sul finale, un magnifico cosciotto da gustare con tortillas appena sfornate.

Anche i cocktails – in verità diverse varianti del Margarita ma con effetti speciali – sono imperdibili e perfetti per accompagnare il pasto. Ma siate pronti anche a Mexcal o Tequila pairing a tutto pasto, oltre che ad un’interessante lista vini per i più conservativi!

La sala è molto bella e ricca di dettagli originali che conferiscono al locale un’autentica atmosfera messicana, con una grande cucina a vista a fare da diversivo. Qualche tempo fa, di fianco alla sala principale c’era Nino Viejo, formula più easy in cui gustare cocktail e tacos, oggi inglobato nell’esperienza di Hoja Santa come sala adibita ai dessert, anch’essi divertentissimi.

Nota (dolente) finale per il servizio di sala. Questa volta apparso un po’ invasivo e sbrigativo, forse complice la tensione di dover, per forza di cose, indirizzare il cliente verso una percorso che facilitasse la cucina. Nel nostro caso, tuttavia, si è optato per una scelta alla carta, ma le tempistiche e la qualità del cibo non ne hanno risentito.

La Galleria Fotografica:

Una delle massime espressioni di Albert Adrià 

Siamo nel quartiere di Sant Antoni, dove il genio di Albert Adrià ha dato vita a El Barrì: l’immaginario barrio che comprende i suoi sei ristoranti di cui Tickets, insieme a Enigma, costituisce la punta di diamante.
Sedersi qui richiede una notevole dose di fortuna: il ristorante è sempre sold-out e le prenotazioni, esclusivamente online, si esauriscono nel giro di pochi secondi. Tuttavia, se riuscirete a conquistare uno dei tickets che garantiscono l’accesso a una delle quaranta sedute di Avinguda del Parallel, la fatica sarà ripagata.

Più che un tapas bar, un eccellente ristorante gourmet

Ma diciamolo subito: la definizione di tapas bar non rende giustizia a Tickets, che è molto di più di quello che recita il nome. Vi è la dimensione onirico-ludica del circo che, appena varcata la porta, fa tornare bambini travolti da un’atmosfera piacevolmente kitch che va delle insegne luccicanti (coi motti la vida tapa, tapas es libertad), agli schermi al neon, alle locandine teatrali fino alle divise da domatori del personale di sala, mentre i camerieri addetti ai dolci sono abbigliati alla maniera degli sweet soldiers.

Un teatro che non offusca il livello della cucina, anzi di queste cucine, poiché in realtà sono quattro, e a vista, le postazioni in cui vengono effettuate le preparazioni. Ma è filologicamente corretto il concetto: perché la cucina si articola sul concetto spagnolo di tapas, qui nella sua versione più libera dallo schema canonico. L’avventore, poi, ha la libertà di scegliere la mezza porzione, per favorire più assaggi, o la porzione intera, da condividere senza imbarazzi. Eppure, benché la traccia sia quella delle tapas, appunto, qui le stesse sono sublimate e, con sovente ricorso alle più moderne tecniche, sono sempre golosissime, caratterizzandosi per perfette cotture, realizzate al millimetro, e l’assemblaggio di materie prime di altissima qualità.

Una sarabanda, salata e dolce, di circa quattro ore 

Mai come in questo caso il racconto del nostro pranzo non può ridursi all’elenco di una serie di pietanze: si è trattato di un travolgente baillamme gastronomico di circa quattro ore, in cui ci sono state servite quasi una trentina di tapas, tutte notevoli sotto ogni profilo. Sull’oliva sferificata iniziale, di bulliana memoria, stati spesi fiumi di parole. Proseguendo, portiamo ancora il ricordo della burrosa tartare di tonno con la sua bottarga, i cui sapori sono poi riepilogati alla perfezione nel crackers servito al lato, e dell’ostrica cotta al forno e servita con un brodo di funghi trompetas a allungare la nota iodata. Materia prima da urlo nel gambero ripieno di wagyu, assolo di tecnica il “paesaggio nordico”, giocato sul contrasto tra  dolcezza di cipolla e rubia gallega e acido di panna e neve di aceto. La ghiotta quaglia wellington ripiena delle sue uova, spinaci, funghi, che ha concluso la parte salata del menù, aveva mantenuti intatti i suoi succhi grazie alla perfetta cottura al forno sui carboni, con l’indimenticabile millefoglie in accompagnamento.

Dopo essere catapultati nel bel mezzo di un film con Willy Wonka a farci compagnia e giganteschi frutti di bosco e fragole che scendono dal soffitto, parte la kermesse dei dolci: tra quelli serviti, abbiamo apprezzato particolarmente una splendida  tartelletta ai mirtilli e un’originale cheese cake.

In conclusione: “venghino siori, venghino”, al circo di Tickets c’è da divertirsi!

La galleria fotografica:

 

Un delizioso scrigno di bontà dall’atmosfera retrò

Delle sei creature gastronomiche degli Adrià, Bodega 1900 costituisce la linea prêt-à-porter ed è la testimonianza che una formula imprenditoriale di successo – il ristorante fa doppio servizio quasi continuato dal martedì al sabato, ed è sempre pieno – si può coniugare con un’offerta di ottima qualità, per livello del cibo e professionalità del servizio.

Bodega è una bottega, appunto, dai soffitti in legno chiaro, la cui atmosfera è rimasta quella originale di inizio ‘900, zeppa di cosa deliziose.

Appena varcata la soglia, si viene accolti da un trionfo di prosciutti, formaggi, e conserve d’autore, mentre gli indaffaratissimi ma sorridenti cuochi che lavorano a vista salutano calorosamente; da un angusto corridoio si giunge alla sala da pranzo, deliziosamente fané, e caratterizzata da foto storiche, tavoli in marmo e specchiere d’antan a dare profondità a un ambiente molto intimo, con la presenza di un’altra cucina a vista perimetrata da pesci e crostacei, oltre che da grappoli di pomodori e carciofi freschi.

Un’ottima offerta di tapas e materie prime di grande qualità, difficile fermarsi!

La carta, consultata sorseggiando un profumato vermouth Dorado, è divisa tra pesce, carne, verdure, salumi e formaggi: materie prime eccellenti e preparazioni tradizionali catalane, ma anche del resto della Spagna, riviste in chiave contemporanea. Scegliere è davvero difficile, ma ancora più difficile è fermarsi, tra prodotti selezionati, cotture perfette, concentrazioni di sapori, consistenze azzeccatissime.  

Dopo le iconiche olive sferificate e un piatto di rubia gallega alle spezie, abbiamo assaggiato l’insalata russa migliore di sempre, con una maionese al tonno che ancora ricordiamo, e un huevo frito alla perfezione dalla sontuosa cremosità, con jamon iberico. Il passaggio dei piselli (guisantes) con trippa di baccalà, maiale e menta, ha preceduto la mollete de calamares  – piatto della serata, ci ha costretti al bis –  uno stiloso e gustoso hot-dog di calamari, poi assaggiati anche ripieni di maiale, con una vellutata salsa al nero di seppia (calamarcito). La successiva portata vegetale, coca calzot, un cipollotto tipico catalano servito su una galletta croccantissima e accompagnato da pomodoro al sentore di aceto ha confermato le aspettative, mentre il ghiotto boccone della molletta de papada, una focaccia alla guancia di maiale, ha preceduto la chiusura delle tapas salate: polpette al pomodoro (albondigas) della tradizione.
Anche i dolci ci hanno conquistato: per eleganza, sviluppo orizzontale e verticale la Naranja, per cremosità la torta de queso e il flan. 

Lo splendido chupito di Ratafia “casera” offerto a fine pasto e le mini posate a misura di assaggio di tapas griffate Albert Adrià confermano l’attenzione a ogni dettaglio, per un’esperienza che merita da sola il viaggio a Barcellona.

La galleria fotografica:

Piccola ma sontuosa tavola marinara tra i vicoli del barrio gotico di Barcellona

“Estimar” è una parola versatile. Può assumere il significato di apprezzare, preferire, voler bene, amare. Può anche significare “stimare” nel senso di imparare a valutare: in questo caso, la freschezza e la qualità del pescato locale, quello di primissima scelta, tale da poter fungere da benchmark per i palati dei commensali. E infatti, dopo un assaggio di crudo o un boccone di pesce alla brace in molti avranno una visione differente della materia prima, qui selezionata e trattata ai massimi livelli.

E benché grandissime tavole di pesce, a Barcellona, non manchino, sembra proprio che questo piccolo ristorante nascosto tra i vicoli di Born (o La Ribera), uno dei quartieri più artistici di Barcellona, abbia davvero qualcosa in più. Qualcosa di speciale che il palato sensibile potrà scovare in una semplice frittura di calamaretti o in un pesce alla brace ancora succoso e intenso di note iodate.

Una tavola informale e un piccolo gioiello, capace di regalare grandi emozioni

Lo chef, comproprietario con una storica famiglia di pescatori della vicina Roses, è l’andaluso Rafa Zafra che si divide tra questa e la cucina di Heart a Ibiza durante l’estate. La sua esperienza, maturata prima a elBulli poi come executive chef all’Hacienda Benazuza – progetto catalano di Ferran Adrià – e ancora da Arzak, gli consente di offrire al cliente, giornalmente, solo il meglio dal Mediterraneo favorendo cotture rigorosamente tradizionali – ma impeccabili! – o servendo crudi stratosferici.

Per orientarsi, consigliamo di farsi guidare dagli affabili camerieri in un percorso esaustivo assaggiando sia i piatti della carta che attingendo dall’assortimento di frutti di mare giornaliero esposto nel bancone centrale. C’è anche la possibilità di scegliere il metodo di cottura preferito: al vapore, alla brace o appena scottato e di accompagnare il tutto a un’intelligente carta dei vini, con ricarichi tutto sommato appropriati.

Fedele alle radici della tavola spagnola, con piatti pensati per essere condivisi

La selezione di antipasti è squisita – come il carpaccio di gamberi e cipolle caramellate, tributo ad un piatto del Bulli del 1995, o la sardina marinata; ma è proprio coi crudi – immenso il sapore di mare del Maremoto, un assortimento di crostacei del giorno o dell’indimenticabile gambero di Roses al ghiaccio – e con i pesci alla griglia che si provano le più grandi soddisfazioni. Nel nostro caso, un sontuoso pesce San Pietro con un salmoriglio all’aglio bruciato di rara raffinatezza accompagnato da patate fritte incredibilmente buone e peperoni del Padrón.

È d’obbligo lasciare un posticino nello stomaco per concludere il sontuoso pasto con la goduriosa tarta de queso con un composta di fragole di commovente bontà.

E abbiamo già voglia di tornare.

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