Ma quanto è bravo Enrico Marmo? Molto, rispondiamo senza esitazioni. Cuoco che sa connettere cervello e cuore come pochi. E che ha il dono di calarsi perfettamente nel territorio in cui lavora, facendolo suo.
Piemontese di Canelli, Marmo sembra nato nel Ponente ligure tra fagioli di Pigna e Olive taggiasche. Provare per credere il suo Cappun magro vegetale, trionfo di acidità e scioglievolezza senza limiti o la sua croccantissima versione della Panissa. Preparazioni tradizionali reinventate con intelligenza, regalando quel quid pluris che sempre ci si aspetta da un cuoco bravo che sa reinterpretare la tradizione.
Esempi, quelli citati, per raccontare la capacità di questo giovane chef di fare alta cucina di territorio. Di giocare con la tradizione, senza paura.
Cuoco dotato di grande personalità, Marmo va diritto per la sua strada e la sequenza del nostro pasto è stata un susseguirsi di colpi d’alta scuola, senza nessuna scorciatoia o concessione piaciona. Un piatto come il Fegato di scorfano burro e aceto, fagioli di Pigna e cipollotto verde è qui a testimoniarlo. Sembra che lo Chef più che preoccuparsi di compiacere il palato dei suoi ospiti (come tanti suoi colleghi), voglia educarlo, regalando a chi si sIede alla sua tavola un’esperienza diversa; e le Tagliatelle “Cafè de Turin”, omaggio al locale della vicina Nizza famoso per i plateau di frutti di mare crudi, promettono già di diventare un signature dish: tagliatelle impastate con alga wakame, mantecate con burro affumicato e acqua di ostriche e, sopra, scalogno sott’aceto, a ricordare il tradizionale pane con burro, ostrica e scalogno.
Questo, per Enrico Marmo, è un ritorno nel bellissimo ristorante sul mare che per tanti anni è stato il regno di Giuseppina Beglia (di cui tre ricette iconiche sono ancora in carta).
Per amor di cronaca, da rilevare che Marmo era già stato qui, dal 2016 al 2019 ma, allora, pur riconoscendo il suo indubbio talento, ci parve che qualcosa lo frenasse, che gli impedisse di essere pienamente se stesso, trovammo sapori accennati, quasi sussurrati. La “ragion di stato” (ovvero la proprietà straniera, di allora) richiedeva una cucina facile, inclusiva, che doveva rassicurare più che stupire. Ora la musica è cambiata e allo Chef – tornato da una positiva e intensa esperienza all’Osteria Arborina, nelle Langhe – è stata data carta bianca e i risultati si vedono. Ora è finalmente libero di esprimere la propria idea di cucina e per farlo ha voluto con sé alcuni componenti delle brigate di sala e cucina coi quali aveva già avuto modo di lavorare, proprio all’Arborina: il sous chef Jacopo Rosti, il direttore di sala e sommelier Giuliano Revello, e la responsabile di sala Eleonora Revello. Il risultato è un luogo dove sala e cucina lavorano in perfetta armonia, con un affiatamento fuori dal comune.
Tornando ai sapori, perché è sufficiente un solo boccone servito in un cucchiaio per capire la statura di un cuoco, citiamo Burro di mare: crudo di seppie, dragoncello e mandorle, dove iodato e lattico si fondono in una consistenza che conduce, irrimediabilmente, al burro, e Torta di testa di scorfano e salsa provenzale (a base di dragoncello, aneto e cerfoglio): preparazione che raggiunge una concentrazione di sapori assoluta che poi gradevolmente sfuma in una piacevole rotondità di fondo.
Insomma, se non si fosse ancora capito, siamo al cospetto di una cucina con la C maiuscola, peraltro incastonata in una location da sogno.
Il ristorante Balzi Rossi e la famiglia Beglia. Una storia di successo nata nel 1982 e che, in breve tempo, vide il ristorante salire nell’empireo della ristorazione italiana. Due stelle Michelin, un grande successo di pubblico e la consacrazione, ai fornelli, della bravissima Pina Beglia.
Poi le difficoltà, il disimpegno dei Beglia che ne abbandonano la gestione, l’oblio, fino alla chiusura.
Quindi il cambio di proprietà -che oggi parla russo- che ne ha permesso un anno fa la riapertura.
Il tempo di un’integrale ristrutturazione ed il Balzi Rossi ha riaperto con uno staff nuovo ma, intelligentemente, senza rinunciare all’esperienza dei Beglia che questo posto lo amano e lo conoscono come nessun altro.
Sotto la supervisione dell’inossidabile Pina Beglia, la sala è il regno della figlia Rita e del marito, l’estroso e simpaticissimo Franco Baracca, che gestisce con padronanza una carta dei vini interessante.
In cucina, si è deciso di puntare sul trentenne Enrico Marmo: cuoco langarolo, con importanti esperienze da Cracco (periodo Baronetto) e soprattutto da Davide Palluda, di cui è stato per cinque anni sous-chef. E così il cerchio si chiude, dal momento che lo stesso Palluda era stato a sua volta allievo di Pina Beglia.
La location è da sogno. Una terrazza a picco sul mare, a pochi metri dal confine francese. Di fronte, lo splendore di Mentone e Cap Martin. Si mangia in un’atmosfera magica -ed estremamente romantica- cullati dal suono delle onde che si infrangono sulla scogliera.
In Carta, qualche omaggio al glorioso tempo che fu in piatti come “I classici plin della Pina” e “La retata di mare”, l’immortale insalata di mare creata da Pina; per il resto carta bianca al giovane Marmo ed alla sua idea di cucina. Cucina di mercato, che guarda al territorio e si rifornisce dai piccoli produttori della zona. Moderna e classica al tempo stesso, attenta a non strafare.
Cucina essenzialmente di ortaggi e prodotti ittici, di profumi di mare e di orto. Materica, pulita, minimalista ma che non rinuncia affatto al gusto. Piatti freschi, materie prime eccellenti e sapori mai forti, anzi a volte fin troppo sussurrati. Interessante la consistenza del branzino, susine, salicornia, rucola e citronette ai semi di senape e la freschezza del carpaccio di pomodoro marmanda, bottarga, maionese al limone e cereali, piatto anche esteticamente molto accattivante, ma dal quale ti aspetteresti maggiore concentrazione di sapori.
Lo chef, dopo un inizio più lento, doveroso per ritornare ai fasti di un tempo, sta a poco a poco definendo la sua linea di cucina. Fatta di estrema immediatezza, di frigoriferi vuoti ad ogni fine servizio, di improvvisazione ragionata. Da un talento così cristallino, racchiuso in un corpo da uomo fatto e finito, con una sensibilità e sottigliezza così elegante a far da contrasto nel suo io più profondo. E i piatti rispecchiano questa dicotomia: belli, avvincenti, profondi ma sottili, esili, eleganti.
A questo punto, per spiccare il volo definitivo, ci aspettiamo qualche colpo di classe maggiore, qualche spinta verso sapori più decisi e intensi. Il piatto scampo cotto nel sugo di crostacei, cavolo viola all’aceto di mele e oxalis è paradigmatico in tal senso. Scampi lievemente ripassati nel burro (quando ci vuole ci vuole!) che vengono con classe avvolti da cavolo viola e oxalis. Qui l’equilibrio è tutto, come in tantissimi altri piatti di Marmo. Magari il lavoro di spinta e rifinitura può essere fatto nel suo menù a mano libera, recentemente introdotto. Lasciando alla clientela internazionale e non, a questo punto, i piatti più rassicuranti, rotondi e orizzontali, seppur ugualmente e incontestabilmente buoni.
Abbiamo pochi dubbi sul fatto che Enrico Marmo prospetticamente possa fare molto di più, ragione per cui Balzi Rossi è, già oggi, uno dei ristoranti italiani da seguire con particolare attenzione.