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Contrada Mito

L’Irpinia nel calice

Contrada Mito nasce dall’incontro dei fratelli Gerardo e Soccorso Palmieri con Michele Della Vecchia. L’intento? Chiaro sin da subito: dare vita a una attività volta alla valorizzazione dei vini prodotti a Nusco, un piccolo paese posato sulla cima di un monte a 914 metri s.l.m. in provincia di Avellino. Qui, dal 2013, dai vigneti di famiglia tramandati da quattro generazioni si ottengono, dall’aglianico, il Dunsogno e il Taurasi Amato, dal greco di tufo Lincanto e dal fiano d’Avellino Lessenza. Il desiderio che muove cantina Mito e i suoi creatori è quello di proseguire una tradizione tramandata dai genitori, sviluppandone le potenzialità, mirando a vini con uno stile riconoscibile e che del territorio irpino siano incontrastato vessillo.

I fratelli Palmieri insieme a Della Vecchia si sono dunque rivolti alla consulenza dell’enologo Riccardo Cotarella per dare vita a un sogno da cui Dunsogno appunto mutua il nome, fino al vino Amato, che ne costituisce l’apice. 12 ettari vitati, a 700 metri s.l.m., in cui si allevano aglianico, fiano, greco di tufo e falanghina, fieri portavoce di uno spaccato di Irpinia enoica.

La degustazione

Dunsogno Aglianico 2016

Questo aglianico IGT rivela nel suo color rosso rubino intenso tutta la struttura di un vino dall’importante tannino ma ben domato. La morbidezza dei sentori di ciliegia si alterna infatti a un’elegante speziatura, che nel suo sorso si completa in un finale di buona lunghezza, sapido e asciutto.

Amato Taurasi 2016

Nella sua spiccata verticalità, questo Taurasi si presenta di colore rosso rubino scuro dai riflessi granati. Il sontuoso tannino, levigato dall’affinamento prima in barrique poi in bottiglia, si accompagna a note di frutta rossa e di bosco, floreali, sentori di caffè, e piacevoli note balsamiche che terminano in un finale di buona sapidità, fine e piacevole.

Lincanto Greco di Tufo 2020

I riflessi dorati di questo greco di tufo dal colore giallo paglierino carico risplendono tra le note di erbe aromatiche quali il rosmarino e dell’albicocca ben matura e della pesca, che si schiudono in un’espressione del suo varietale di particolare intensità e grazia.

Lessenza Fiano di Avellino 2021

Il 100% fiano di Avellino Lessenza si presenta al calice di un giallo paglierino scarico, con leggere sfumature verdoline che richiamano le note fruttate a cui rimandano quali l’uva spina e le zest di agrumi. Vibrante e di buona tensione si esprime in un palato fresco, di buona acidità e ben strutturato, rivelandosi di ottima fattura e di seducente tempra.

* I vini di Contrada Mito sono distribuiti da Partesa.

Alle porte dell’Irpinia un inno alla cucina di territorio in chiave giovane e moderna

Giovanni Arvonio, cuoco irpino poco più che trentenne della Taberna del Principe, rientra a pieno titolo tra i protagonisti della nouvelle vague della cucina campana. Una schiera di giovani e coraggiosi cuochi campani che, piuttosto che emigrare nelle grandi città del Nord o all’estero, ha scelto di restare a casa propria e di proporre una cucina diversa.
Diversa da quella che si trova abitualmente nella zona tanto nella sostanza quanto nella forma: difficile a causa di una clientela spesso avvezza alle “abbuffate a basso costo” e che va, quindi, introdotta ad una ristorazione di qualità.
La Taberna del Principe, a poche centinaia di metri dall’uscita Baiano dell’autostrada Napoli-Bari, è un ristorantino (solo 26 i coperti) simpatico e di buon gusto in cui si respira un’aria di entusiasmo giovanile. Il locale raccolto e curato è stato da poco rinnovato e l’ambiente, in cui prevalgono i toni scuri, trasmette immediatamente una sensazione di calore.
Il servizio è attento, veloce e preciso, la carta dei vini – piuttosto ridotta per la verità – è su tablet e viene raccontata da un competente e appassionato sommelier: Elia Casale.

Una cucina diretta e immediata, irpina e, più in generale, campana di terra

Il cuoco classe ’86, diplomato all’ALMA di Colorno ha conseguito un importante stage formativo presso le cucine della famiglia Fischetti all’Oasis Sapori Antichi di Vallesaccarda.
Ora, nel suo ristorante, propone una cucina irpina e campana di terra rivisitata in chiave attuale secondo la sua personale visione in cui, fra spunti interessanti e una buona padronanza delle tecniche, si scorgono ancora alcune imperfezioni.

La Tartare di scottona è eccessivamente ricca di ingredienti e sapori che confondono il palato e non permettono di apprezzare fino in fondo la bontà della carne (peraltro di ottima qualità), mentre la reinterpretazione della Parmigiana, fredda e con la melanzana in spuma, ci è sembrata essere più adatta per un amuse-bouche piuttosto che per una portata vera e propria.

Buono il risotto, eseguito perfettamente seppur un po’ monocorde, mentre una nota di merito va ai pre-dessert e  ai dessert, tutti di buona fattura.
Ci si alza contenti e leggeri, anche dopo il conto che risulta del tutto onesto.
Una tavola da provare, una cucina interessante, fortemente identitaria e capace di raccontare in chiave moderna il territorio anche se, per il definitivo salto di qualità, che a nostro giudizio è nelle corde dello chef, manca ancora qualcosa.

La galleria fotografica:

 

Un concept accattivante e una squadra giovanissima per portare il mare nel centro di Avellino

Avellino. Circondata dall’Appenino Campano con vette oltre i mille metri, costruita nella conca, giù a trecentoquarantotto sul livello del mare, con l’anno che inizia puntualmente con una temperatura media di sei gradi e la spiaggia più vicina a poco meno di trenta chilometri. Queste vetrine sarebbero potute essere facilmente ingresso dell’ennesima panineria, magari una di quelle con prodotti raffinati, di griglie esclusive per carni selezionate, di quei contorni etnici e mille pagine di birre ad accompagnare. Invece, per una volta, si è deciso di sfidare le convenzioni, di non assecondare la tendenza, di avere coraggio. Così, sotto i porticati di una delle vie del centro di Avellino ha aperto Triglia, nessuna ambiguità già dal nome. Qui si mangia pesce fresco, tutti i giorni a pranzo e cena.

Mirko Balzano, dopo tante cucine, qui si è vestito da consulente, e ha ragionato soprattutto da avellinese, come uno dei tanti avellinesi che avrebbero voluto sfogliare volentieri un menù di mare, sotto casa, per un pranzo diverso o per una cena piacevole e di gusto. E allora subito l’idea di mediterraneo, con il bianco di pareti, sedie e tavoli interrotto solo da un parato con le sagome di pesci nel verde marino, una scintillante cucina a vista, una robusta carta dei vini, elegante e pretenziosa, e uno stuolo di ragazzi dietro i fornelli e davanti i tavoli per dare forma compiuta al desiderio.

La carta, articolata classicamente in antipasti, primi e secondi, al contempo facile e ambiziosa, si apre con una batteria di proposte, da scegliere singolarmente o da infilare in sequenza in formato minimal, con ritmi serrati per un bella gita al mare.

Un tentacolo di polpo con le patate e gli spinaci ed una maionese ottenuta con la riduzione della sua acqua ad allungarne la memoria, un piccolo panino con il lungo stecchino a trattenere il tonno crudo e la sua bottarga, un gambero rosso con l’oriente della soia ancora nella vaporiera in bambù.

E ancora due ricci da ripulire con il cucchiaino, ai quali nulla si aggiunge e poi, più di sostanza che di maneggio, le alici in parmigiana, sapide da attraversare le melanzane e il pomodoro, un fiore di zucca gonfio di ricotta con la folgore del limone e dell’acciuga a movimentare.

Infine i due barattoli, da avvicinarci il naso: in vetro il primo, dove lenta si è consumata la cipolla sugli sfilacci di tonno profumato al cardamomo. La buatta poi, la latta da aprire per svelare un morso di baccalà rinforzato con l’arrosto del peperone, l’aglio e il perfetto inserimento della nocciola a donare rotondità.

Sulla stessa partitura i primi, con una fettuccella dove i frutti di mare si mischiano giustamente al vegetale amaro dei friggitelli, e a seguire una trofia dove anche la cacio e pepe vestita per l’estate con menta e limone, cerca la via del mare con i filetti di alici. Abbinato, il Fiano della Stella 2014 Joaquim. O si ama o si odia.
A chiudere freddo, frutta e gioco con le fragole tiepide spadellate sul bel gelato di basilico, in perfetto stile mediterraneo. Servizio attento e conto onesto che può crescere solo cedendo alla mille tentazioni della carta delle bollicine.

Un locale completamente rinnovato e le ambizioni di una giovane squadra

C’è la carta dei vini, con radici sul territorio, breve, concisa e illuminata dal monitor del tablet. C’è una sala tutta nuova dove sulla pavimentazione lasciata in cotto poggiano ora i profili di un battiscopa in Corten retroilluminato a contorno dei nuovi tavoli, distanziati il giusto, come librati in aria grazie alle trasparenze del vetro ed illuminati con puntualità dai bracci in ferro che aggettano dalle pareti. E poi c’è lui, lo chef patron, Giovanni Arvonio, contornato da entusiasmo e visi giovani, che animano questa scommessa giusto fuori il casello di Baiano, sul tratto della Napoli-Bari che accenna all’Irpinia.

Una cucina che vuole essere moderna ma senza le sue derive, tradizionale senza i consueti eccessi, che guarda al posto sicuro per il pranzo d’affari ed anche per la cena più raffinata, col gusto di un servizio curato e qualche tentazione gourmet. Ancora qualche aggiustamento e meno indecisioni potranno riservare piacevoli sorprese.

Dopo un trascurabile intrattenimento con gli appetizer, ecco una tartare di scottona dove la buona qualità della carne (di una piccola macelleria di zona) resiste e non soccombe alla pur robusta spinta aromatica del pesto al prezzemolo, del vincotto e della nota zuccherina del pomodoro confit. Poi dopo il polpo, che per contestualizzarlo è rimasto indeciso tra il mare della colatura e la terra della salsa bbq, arrivano i gyoza. Ed allora sembra cambiare. Pasta volutamente grezza e spessa per dare corpo al contenitore, giusta cottura al vapore, una farcia di baccalà mantecato di bella fibra e il bagno in un fondo di nocciole, anche in spuma, da premiare per audacia, realizzazione e filosofia. Non manca il risotto, ormai sdoganato al meridione e realizzato con risultati a volte eccellenti, qui proposto a doppio filo con un’altra icona della gastronomia italiana, in un gioco che ripropone una cacio e pepe poi firmata con l’agnello marinato. A chiudere ancora la carne protagonista con la doppia cottura della scottona, prima bollita e successivamente arrostita per sigillarne i liquidi, contornata dal vigore di una splendida cipolla rossa in agrodolce che rende inutili comparse sia la chips di liquirizia troppo debole che una maionese non troppo originale.

Si torna sulle montagne russe e l’ultima vetta è un dessert articolato e molto piacevole. Il cioccolato fondente alleggerito dal soffio dell’aria che lo alveola come una pomice, una base di pandispagna al rosmarino ed un formaggio, New Jersey. Efficaci infine i contrappunti con il lampone ed il sale. Merita un perfezionamento solo nell’impiatto. Conto di indubbia onestà.

 

Uscendo dall’autostrada ad Avellino Ovest, presto le montagne restano solo a fare da cornice ad un paesaggio solidamente urbano. Traffico, commerci, cemento, luci. Entrando in centro, poi, con la rassegnazione di troppi precedenti, si comincia a pensare che a tavola, in un posto così, le suggestioni della terra irpina, contadina e popolare, necessariamente non possano che cedere il passo alla moda della rivisitazione gastronomica ammiccante, quella sifoni e cruditè, a quel trend imperante della fusion, al fascino sinistro della omologazione della grande distribuzione.

Poi si entra al Degusta.
E qui tutto è sorprendentemente ribaltato: una solidissima cucina di terra, rigorosa, dedita all’utilizzo esclusivo delle infinite meraviglie del territorio, in un turbinare di memorie, ricordi e profumi senza concessioni, blindando stagioni e perimetrando provenienze. Una vera operazione di filologia gastronomica. Uno chef indigeno, appassionato e di grande mestiere, vivaddio con il physique du role, di quelli che gli affideresti la tua cucina di casa tutte le domeniche e che vorresti ti raccontasse le sue mille storie fatte di cibo, uomini e luoghi.
Un locale moderno e abbagliante, che si cela in un pianoterra di un’improbabile verticale di cemento per abitare, ma che coniuga splendidamente l’essenzialità contemporanea con l’intimità di quel banco salumeria messo lì, al centro della sala, avanti ai vetri della cucina. E ancora, grazie ad un recente ampliamento, una nuova grande sala con un angolo, ampio ed assortito, dedicato ai bambini con giochi ed intrattenimenti curati da animatori. C’è anche una piccola parete di free climbing, roba che neanche in nordeuropa, per intenderci.

Nulla è stato trascurato.
Così ci si predispone alla lettura di quel menù, con verticali di gusto centrate sulle carni e salumi certo, ma che non dimentica il divertimento e qualche ricercatezza. Un approccio irrinunciabile al territorio con i taglieri che affollano la tavola con salumi e formaggi di grande qualità e dove si potrà cominciare a saccheggiare una lista dei vini concisa ma decisamente invogliante per scelte e costi. Si potrà rincorrere ad esempio, la scaletta di una sorta di pranzo della domenica, con una zuppa di profumi intensi, dove la castagna marca territorio e stagionalità, un piatto di pasta di sostanza come i cannelloni ripieni o gli spezzi di candela con una genovese di consumata cipolla o meglio un fusillo, di quelli ancora al ferretto, con un ragù pazientemente atteso dalle ore del mattino per poi chiudere affidandosi ad una selezione di carni tutte di grande taglio e ottima preparazione. Su tutte le costine di maialino in doppia cottura laccate al miele con una strepitosa insalatina dove verza, mela, castagne e papacella creano continui contrasti di gusto e consistenza.

In alternativa, per stimolare curiosità e palato, si potrà preferire la cipolla di Montoro, restituita intera al tavolo, con l’interno del suo oro riempito di formaggio fuso in un esercizio non originale, ma qui reso di rara leggerezza. O ancora i due ripieni fritti, dove un tratto di penna sulla carta che li avvolge distingue la scarola dal baccalà. Ovviamente a completare la carta, dandone quasi una restituzione geografica, compaiono tutti i protagonisti di queste valli, dalle semplici uova allevate a terra all’agnello laticauda, dal pollo di aia alle patate rustiche con la buccia a restituire terreno.

Infine ci sono, se si riesce a conservare qualche centimetro di stomaco, i dolci della casa così come letteralmente presentati in carta e dove, infatti, si parla di cose semplici, genuine e sorprendentemente buone. Al momento del conto poi, di indubbia onestà, si comincerà a programmare un ritorno sicuramente non troppo lontano.

L’ampia cucina a vista.
Degusta: Cucina a vista
La sala. Architettura moderna e luce.
Degusta: la sala
L’antipasto inizia con gli affettati, salame, prosciutto, capocollo e pancetta tutti di grande qualità. A completare grissini, ricotta e pizzette.
Degusta: gli affettati 1
Degusta: gli affettati 2
Degusta: gli affettati 3
Zuppetta di lenticchie, lardo di Andretta, castagne di Montella, olio EVO all’alloro. Profumi, colori e sapori d’autunno. Bella introduzione alla cucina irpina.
Degusta: zuppetta di lenticchie, lardo di Andretta, castagne di Montella, olio EVO all’alloro
Zeppolelle. Gli unici due pesci che in menu appaiono all’interno dei calzoni fritti: baccalà, con provola di Agerola e pomodorino il primo, acciughe di Cetara con scarola e fiordilatte l’altro.
Degusta: zeppolelle
Cipolla ramata di Montoro con fonduta di formaggio. Inverosimilmente leggiadra. Forse addirittura troppo.
Degusta: cipolla ramata di Montoro con fonduta di formaggio.
Candela. Genovese di cipolla ramata di Montoro con candele spezzate di Gragnano. L’altra interpretazione dell’oro irpino in veste classica e tradizionale.
Degusta: genovese di cipolla ramata di Montoro con candele spezzate di Gragnano
Fusillo. Ragù napoletano, cacioricotta cilentana e fusilli lunghi al ferretto. Storie domestiche domenicali in una esecuzione perfetta.
Degusta: ragù napoletano, cacioricotta cilentana e fusilli lunghi al ferretto
Cannelloni. Cannelloni di semola Senatore Cappelli, fiordilatte di Agerola, magro di maialino, ricotta. Altra preziosa interpretazione da menù di festa in famiglia.
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Un’americana al Degusta. Costine di maiale beneventano, peperone crusco di Senise, miele di fiori bianchi. Intorno al tagliere portato a tavola ecco le patate fritte artigianali e un insalatina di verza, mele, castagne e papacella di grandissima finezza. Diciotto euro alla carta. E si mangia in tre. Vale il viaggio.
Degusta: costine di maiale beneventano, peperone crusco di Senise, miele di fiori bianchi 1
Degusta: costine di maiale beneventano, peperone crusco di Senise, miele di fiori bianchi 2
Degusta: costine di maiale beneventano, peperone crusco di Senise, miele di fiori bianchi 3
Degusta: costine di maiale beneventano, peperone crusco di Senise, miele di fiori bianchi 4
Fiorentina di Marchigiana.
Degusta: Fiorentina di Marchigiana