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Arpège

Una cucina geniale e contemporanea pensata quasi 30 anni or sono a Parigi

Alain Passard è indubbiamente uno dei cuochi contemporanei che ha maggiormente segnato e contribuito all’evoluzione dell’alta cucina francese, ma anche mondiale, con il suo ristorante Arpège. La sua ossessione – perché di questo si tratta – per l’orto e per i suoi frutti è molto più di uno slogan, a differenza di molti suoi colleghi. È un credo profondo, frutto di anni e anni di studi e ricerche. Lo chef possiede un orto di qualche ettaro fuori Parigi in cui coltiva varietà dimenticate: frutti della terra che riportano direttamente al paradiso.

Già dal suo esordio, ormai una trentina di anni or sono, ha sempre creduto in una cucina moderna, attuale, quasi eretica al tempo. Poca, pochissima proteina animale – di elevatissima qualità, ça va sans dire – che ruota attorno al vero protagonista del piatto… una volta una rapa rossa, poi un’incredibile patata, quindi un porro da antologia.

La via della creatività vegetale passa da rue Varenne

Le sue ricette, vere e proprie opere d’arte avanguardiste, sono oggi dei classici indiscussi e indiscutibili. Prendete per esempio l’Uovo in caldo freddo con sciroppo d’acero. Uno tra i piatti più copiati di sempre, così come le capesante impreziosite da un’emulsione al geranio e da paradisiache rape. Un piatto fresco, goloso, invitante, e che ha anche il merito di  far risaltare la straordinaria dolcezza della capasanta. Ma la maestria di Alain Passard si ritrova anche nella capacità di grande rôtisseur nelle cotture delle carni e non manca di certo ai dolci, Millefoglie e Torta di mele alle rose su tutti.

Un grande, grandissimo cuoco che ha creato una lunga schiera, da Mauro Colagreco a Pascal Barbot passando per Claude Bosi per citarne alcuni, di allievi e proseliti della sua filosofia di cucina. Una cucina moderna, attuale e contemporanea, ma pensata e costruita decine di anni or sono. Un genio, indiscutibile, che tra i suoi piccoli difetti ha un luogo e un servizio non all’altezza del tenore e della profondità espressa dalla sua cucina.

In questa nostra ultima visita, inoltre, siamo rimasti un po’ delusi dalla qualità della materia prima non vegetale. Carni e pesci ottimi, ma non supremi come ci ha sempre abituato Alain Passard e come il conto lascerebbe presagire.

La galleria fotografica:

Se è vero che probabilmente da qualche anno l’Arpège di Alain Passard non è più quel formidabile ristorante che è stato a lungo, è anche vero che la diaspora dei suoi chef e uomini di sala, iniziata con l’ormai tristellato Astrance, prosegue con grande successo.
L’ultimo dei progetti nati in questo formidabile crogiolo di talenti è questo Garance, che vede come duo passato per la rue Varenne lo chef Guillaume Iskand e il sommelier Guillaume Muller, che ne è anche il proprietario.
Rispetto a tutti i loro predecessori, qui l’ambizione sembra ancora più alta: la sede è nella prestigiosa Rue St. Dominique, la ristrutturazione del locale è veramente affascinante, con due piani di eleganza franco-scandinava tra stucchi, legni, resine che riescono a creare un ambiente molto sobrio ma accogliente.
Possibilità di accomodarsi a una tavola addobbata come oramai nei neobistrot non usa più, in alternativa a uno dei due banconi del primo piano (sulla cucina) e del secondo. Le “eleganti” premesse non negano però la possibilità di regalarsi un menù del pranzo per soli trentaquattro meritatissimi euro, a meno di non prediligere i “suggerimenti” del giorno, con i cui supplementi si arriva a toccare i cinquanta.
Motivo per cui ci si può anche permettere di pescare senza troppi timori da una carta dei vini anch’essa lodevole e originale, perché affianca flaconi abbordabili e nello spirito bio, tendenza che tanto piace nei nuovi ristoranti di culto, a nomi pregiati e inarrivabili (anche un Cros Parantoux di Jayer per dire…). Noi, più modestamente, abbiamo scelto un Volnay 2005 di Lafarge, ancora sin troppo fresco, per una sessantina di euro piuttosto ben spesi.
Il menù descrive spartanamente i suoi piatti (es: tartare di vitello, rafano, parmigiano), che sono in pieno spirito passardiano: pochi ingredienti, largo spazio ai vegetali, cotture precisissime.
Tra le entrée, a parte la suddetta ottima tartare, ecco il piatto più scontato della giornata, una quaglia con emulsione di nocciola, di impianto classico ed esecuzione priva d’errori. Si capisce che si tratta di uno chef d’alta scuola ma si percepisce anche una prudenza quasi eccessiva.
Grande prova, però, nei plat: l’agnello alla plancia, in due servizi e con l’accompagnamento di una “giardiniera” di bellezza pari alla sua bontà, è da due stelle a mani basse, come pure la “volaille” (originariamente era prevista un’anatra, ma si è ripiegato su un’altra specie non precisata) con mousse di barbabietola e suo fantastico “jus”, anch’essa accompagnata da un secondo servizio che dà ampio spazio ai “legumes”.
Le foto dicono tutto al gourmet che ha sacrificato qualche centinaio di euro sull’altare della mensa Passard: l’ispirazione è evidentemente quella, la scuola ha funzionato. E la possibilità di accedere a una cucina di questo livello a prezzi quasi alleggeriti di uno zero è davvero piacevole, oltre a essere probabile viatico di successo (la sala era piena, soprattutto di uomini d’affari, ma anche di qualche rincuorante giovane coppia).
Bisognerà capire se, come già successo nell’infinito universo gastronomico parigino, tanta passione e qualità a questi livelli di costo non sia solo un’operazione di marketing dalla vita breve, giusto per conquistarsi una rendita di posizione che in futuro riconsegnerà il rapporto qualità prezzo a un gusto molto più “salato” di oggi. Per ora quindi voto pieno con diritto di recesso tra qualche mese, godendoci pienamente la parte più “dolce” del progetto, benché al capitolo dessert, attualmente, troverete una sola voce (ricotta di bufala, sorbetto alle clementine, mousse alla zucca, crema al limone), molto più furbetta che ispirata.

La mise en place, altro che neo-bistrot…

Chef al lavoro (e giapponesi al bancone). Iskand è quello mosso…

Altro piccolo bancone, al piano superiore

La quaglia. Niente da dire, ma si viaggia un po’ col freno tirato

Tartare di vitello, rafano, parmigiano

L’agnello. La vista non inganni, siamo su livelli davvero d’eccellenza

… e il suo teletrasporto per rue Varenne

La volaille in due servizi

Il dessert, un po’ in tono minore

Il pane (niente, proprio niente da dire)

E il vino, con M. Lafarge che è la solita certezza

 

Recensione Ristorante
Per capire appieno la cucina dell’Arpège sono dovuto andare da Barbot, allievo, per cinque anni, nella palestra di rue de Varenne.
Dopo la mia visita da Passard, infatti, suo maestro e ispiratore, non mi erano molto chiare alcune cose.
Adesso lo sono di più.
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Recensione ristorante.

Si è fin troppo facili profeti a prevedere un avvenire riccamente stellato a David Toutain. Il curriculum faceva già presagire ottime cose (già da Passard, secondo di Veyrat, passaggio da Aduriz e al Corton di New York), il bombardamento dei blog di settore quasi indispettiva, ma dopo una serata all’Agapé Substance non si può non dirlo: uno degli chef più avvincenti incontrati da tempo.
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Recensione Ristorante

Claude Bosi è lionese di nascita, parigino di formazione, ma londinese di adozione. La sua linea di cucina vede l’utilizzo di una serie di prodotti esclusivi del territorio anglosassone con l’innesto di alcune eccellenze provenienti dal resto del mondo, ovviamente cucinati come la grande tradizione francese comanda.
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