Al Pompiere è da decenni un’isola felice nel centro storico di Verona.
A pochi passi da uno dei balconi più famosi e visitati al mondo, non è davvero scontato decidere di fare ristorazione di qualità.
In mezzo a locali mordi e fuggi, più attenti al fatturato che alla soddisfazione del cliente, questa Trattoria rappresenta un bene che andrebbe tutelato: se decine di turisti, stranieri e non, hanno la possibilità di conoscere la vera cucina veronese e italiana, fatta di attenzioni scrupolose per ingredienti e cotture, parte del merito va anche a questo locale.
Marco Dandrea, chef e dal 2011 unico titolare, continua la tradizione di questa storica osteria di vicolo Regina d’Ungheria. Insegna molto amata anche dagli stessi veronesi, segno in più di grande successo imprenditoriale senza ricorrere a scorciatoie di alcun tipo.
Piace la semplicità, il servizio preciso, l’attenzione nella selezione degli ingredienti e, principalmente, il senso del gusto che accompagna ogni preparazione.
Potrete scegliere ad occhi chiusi dal menù: nulla sarà meno che buono, con picchi assoluti nei piatti che più rimandano alla tradizione.
L’ampia (e ottima) selezione di formaggi e salumi non deve distrarre dalla vera protagonista del locale: la cucina. Perfetti i tortelli ai funghi, dalla sfoglia talmente sottile da sciogliersi in bocca per lasciare il campo alla voluttuosità del ripieno.
Ottima l’insalata di gallina, con uno studio delle consistenze nella composizione del piatto non banale e la riproposizione dei commoventi sottaceti che già avrete avuto modo di gustare con l’antipasto.
Da manuale il filetto di vitello con salsa tonnata: scelta del taglio e cottura della carne da applausi.
A chiudere non possiamo non consigliare uno dei migliori tiramisù mai mangiati.
Semplicità: la cosa che sembra diventata più difficile al giorno d’oggi.
Cucina confortevole, più moderna di quello che possa sembrare.
Aggiungiamo una cantina ottima, in particolare sul fronte veronese.
Solo complimenti quindi per chi porta avanti un locale in questo modo, segno tangibile di come si possa fare cassa non rinunciando minimamente alla qualità.
Affettato misto e giardiniera fatta in casa.
Grande qualità. Giardiniera commovente.
Zuppa fredda di pomodori con formaggio di capra e olio di melissa.
Buona, niente di più, niente di meno. Forse perfino troppo abbondante. Non è certamente la tipologia di piatto in cui questo locale rende al meglio.
Tortelli ai funghi porcini (mezza porzione).
Sfoglia da manuale, impalpabile.
Insalata di gallina “Grisa” della Lessinia con noci, verdure crude e cotte.
Perfetta.
Filetto di vitello con salsa tonnata e capperi di Pantelleria.
Prendi la tradizione e portala al massimo livello possibile.
Coppa Pompiere: gelato di crema, sbrisolona, amarene e scaglie di cioccolato fondente.
Poco convincente, assemblaggio poco curato.
Tiramisù.
Imperdibile, uno dei migliori mai mangiati.
Consigliatissimo questo Valpolicella Classico.
Scorci dalla carta vini.
Catelvecchio e l’Arena sono due tra i più celebri monumenti di attrazione turistica della bella Verona. Esattamente tra questi due riferimenti storici, in una viuzza un po’ nascosta, sorge, culinariamente parlando, un altro punto di riferimento scaligero, l’Oste Scuro. Dal 1998 al timone di questa nave, perché di solo mare parla il menù, c’è Simone Lugoboni. Poche idee in testa ma molto chiare: servire il miglior pesce della città senza cercare abbinamenti improbabili né complicarlo con lavorazioni superflue.
Il locale, lo si capisce appena entrati, cerca di andare incontro ai gusti un po’ di tutti. Tre piccole sale con muri originali del settecento danno quel tocco di storicità che non può mancare, i tavoli molto, forse troppo, ravvicinati lo rendono sia romantico che informale, il parquet e le travi a vista dei soffitti bassi scaldano l’ambiente senza però renderlo soffocante. A confermare il fatto di essere in un ristorante e non in un’osteria, oltre ai prezzi, ci pensano i ragazzi di sala, sorridenti e premurosi, capitanati dagli ottimi Igor Sartori e Simone Marchesini, entrambi con esperienze importanti alle spalle. La carta dei vini è coerente con lo stile del locale, e senza voler sorprendere presenta una buona selezione di etichette “VIP” con tutti i rincari del caso.
La cucina di Lugoboni si presenta semplice per volontà ma non per questo banale. L’impressione che il cuoco possa fare di più certamente c’è, data anche la sua gavetta in giro per l’Italia e le esperienze transalpine. Va detto però che l’Oste Scuro vive di una clientela indigena affezionata e questo potrebbe averlo indotto a cucinare più secondo il gusto del cliente che secondo il proprio. Scelta assolutamente legittima. Gli antipasti di crudo rendono giustizia alla nomea del locale, con una materia prima ittica di grande livello. All’oste Scuro è doveroso provare le ostriche, tra le migliori che si possano trovare nel panorama regionale. Notevole anche la selezione di caviale. Qualche incertezza invece nel momento in cui il pesce è stato lavorato, modificato, manipolato o semplicemente cotto, come nel caso dei gamberi rossi con la pappa al pomodoro o nel San Pietro fritto in verticale, tecnica che conferisce al pesce stopposità e secchezza. D’altro canto molto golosi gli spaghettoni con ricci di mare e burrata, dove, anche se il riccio si perde un po’, la mantecatura della pasta rende ogni boccone pieno ed avvolgente.
Simone Lugoboni è uno chef curioso, attento ai dettagli ed entusiasta. Siamo certi che in un futuro la sua mano già capace e sicura, possa risultare un po’ più incisiva, regalando maggiori emozioni e piatti che possano essere ricordati oltre che per la materia prima anche per la loro lavorazione.
Una passeggiata per il centro storico di Verona rimane comunque un’ottima scusa per provare la cucina dell’Oste Scuro, dove a breve sarà possibile anche cenare in un delizioso cortiletto interno.
Una delle salette del locale
Un aperitivo, calamaretti spillo fritti. Molto Buoni
Il pane caldo. Decisamente deludente
Le spettacolari ostriche. In alto una “Belle de selection”, in basso una “Speciale de marine” e a sinistra una ”Speciale de Utah Beach”
Il burro salato e lo scalogno in aceto da affiancare alle ostriche.
Piatto di crudità. San Pietro con timo, calamari con bottarga, pesce Limone o pesce Serra, scampo sardo al naturale con basilico e ventresca di tonno con salsa di soia e capperi. Pesce di qualità, piatto semplice ma appagante.
Piatto di antipasti caldi. Tonno scottato con caponata, pappa al pomodoro con gamberi rossi, seppie al nero con crema di patate e capperi fritti. Poco incisivi gli abbinamenti tra pesci e verdure. Ottima invece la caponata.
Spaghettini con alici di Menaica, capperi e origano. Spaghetto ben mantecato ma sapidità fuori controllo.
Ricciola, passatina di ceci e funghi glassati. Pietanza servita per arginare un errore di tempistica della cucina. Molto bravi.
Spaghettoni con ricci di mare e burrata. Golosi
Il nostro San Pietro pronto per la frittura
Il nostro San Pietro dopo la frittura
La sua testa, da sgranocchiare
La maionese da accompagnare al nostro pesce. Buona ma purtroppo un po’ slegata
Il nostro compagno di viaggio
Sorbetto di pesca e champagne e gelato alla liquirizia. Un gradito pre dessert
Mousse al cioccolato con sale Maldon e olio extravergine di oliva. Dolce semplice ma molto gustoso.
Semifreddo al pistacchio di Bronte con salsa ai lamponi. Temperatura di servizio da rivedere ma dolce intenso ed equilibrato.
Spuma di yogurt e fragole. Fresco e semplice.
Per concludere una buona sbrisolona
Il protagonista occulto di questa pizzeria a due passi da Piazza Bra è Giancarlo Perbellini.
Il famoso chef veronese è proprietario di diverse insegne del centro cittadino: il Du de Cope è quella che da subito ha registrato il maggior successo.
Merito di un ambiente allegro e curato, di una pizza fatta come si deve, della possibilità di scegliere dalla carta dei dessert alcuni dei gioielli di famiglia.
Lo stile della pizza è quello classico napoletano ed anche gli abbinamenti si muovono nell’ambito della tradizione.
Un bel cornicione alto, pasta ben lievitata e poi tutti i grandi prodotti del panorama nazionale.
Ottima la pizza con la burrata e pomodorini, cosi come la bufala con i pomodorini confit e olive (anche se nelle nostre precedenti visite il confit era stato decisamente più convincente).
Ma anche la “cartina di tornasole” Margherita passa l’esame in agilità.
Sui dessert c’è l’imbarazzo della scelta: Millefoglie Strachin, un classico irrinunciabile, ma anche una ottima macedonia con gelato per chiudere in freschezza.
La buona selezione di birre artigianali chiude il cerchio per una tappa più che raccomandabile per chi si trovasse a visitare lo splendido centro storico scaligero.
Margherita
Burrata pomodorini tiepida
(pomodoro, burrata, pomodorini, basilico, olive, parmigiano)
Pomodoro confit e olive
(bufala, pomodoro confit, olive, basilico, grana)
Sempre buone le birre Manis, bella realtà di Montebelluna (TV). La 5.5 è una Pilsner a bassa fermentazione.
Millefoglie Strachin
Macedonia con gelato
Pizzaiolo in azione
Tapas, Pintxos, Cicchetti, Rubitt: chiamiamoli come vogliamo, le differenze indubbiamente ci sono ma la sostanza non cambia molto.
Un modo semplice e veloce per mangiare qualcosa di sfizioso, in maniera molto versatile: non c’è ora per una tapas e una birra fresca, non bisogna avere necessariamente fame… o anche sì. Si può fare un aperitivo, uno spuntino pomeridiano o anche una cena completa.
Ecco un locale veronese di fresca apertura dove trovare delle tapas fatte come si deve.
TapaSotto, un gioco di parole legato alla collocazione, nella Galleria Pellicciai a fianco della Pizzeria Du De Cope e a pochi passi dalla Arena di Verona.
Il Deus ex machina è sempre lui: Giancarlo Perbellini, all’ennesima avventura dopo l’apertura della Locanda Quattro Cuochi.
La città si presta alla ristorazione veloce e informale: per un classico pre o post-teatro questo locale è perfetto. Qualche tavolo all’esterno e poi dentro un tavolone alto con sgabelli e dei tavolini dove mangiare con più calma. C’è la birra di 32 Via dei Birrai, ci sono i vini al calice, anche qualche bottiglia importante per chi avesse voglia di stappare pesante.
Un piatto del giorno di cucina espressa e poi tanti piattini da ordinare fino a sazietà.
Grande qualità: notevoli la battuta di cavallo, le polpette al sugo, il gazpacho ma tutto veleggia piuttosto alto. Ovviamente i dessert non mancano: c’è anche la celebre millefoglie Strachin.
Solo le tartine non ci sono piaciute, forse più indicate per un aperitivo in piedi, ma in ogni caso non al livello del resto.
Servizio giovane, preparato e allegro: quello che ci vuole per un locale così.
Chissà se il pubblico italiano accoglierà la proposta come merita: il target di riferimento è ancora piuttosto giovane, ci sarà da lavorare per allargarlo a una clientela più adulta. Nei Paesi baschi ad esempio questi locali sono frequentati da tutti, giovani e meno giovani, famiglie o gruppi di amici. Una bella scommessa da giocarsi sul campo.
Vista la caratura dello chef proprietario, sarebbe ottimo un ampliamento della quota dei piatti espressi. Chissà, magari anche tapas di pasta. O secondi in miniatura della tradizione italiana.
Abbiamo ancora impresso nella memoria un Pintxo straordinario mangiato nel centro di San Sebastian, una guancia brasata con il purè: conosciamo un altro chef famoso proprio per lo stesso piatto…
Una partita a carte nell’attesa?
La carta
Tartine…
…e birra!
Carne di cavallo (davvero morbida e gustosa)…
…e carne di manzo
Catalana di burrata: buonissime le verdure, meno saporita la burrata
Gazpacho: molto buono, essendo sifonato risulta pieno d’aria e leggero
Polpette al sugo: da scarpetta
Millefoglie Strachin
Sfogliatina, zabaione e frutti di bosco
Panna cotta con fragole
Meringata, yogurt e pesche
Questo pezzo potremmo intitolarlo così: “ Dichiara il tuo intento e sarai già a metà dell’opera”.
Nella mia seconda (o prima?) vita la chiamerebbero “mission aziendale”.
“Mi chiamo Simone Lugoboni, cuoco e proprietario dell’Oste Scuro di Verona. I miei capisaldi: trovare la migliore materia prima che il mercato mi offre e presentartela con meno arrangiamenti possibili. Cotture brevi o inesistenti, pochi azzardi, pochi piatti strutturati.
L’ispirazione risale alle brasserie parigine, sai, quelle dove si propongono crudità di mare, plateau royal e poche preparazioni di pesce con un unico denominatore: semplicità e qualità.”