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Antica Osteria del Mirasole

A braci accese e braccia aperte

Il Mirasole è una delle pietre miliari della cucina di territorio e tradizione del nostro Paese. Un luogo che trasmette sensazioni sincere, genuine. Sensazioni familiari che le tavole emiliane riescono a trasmettere come poche altre in Italia. Sarà perché le lasagne o le tagliatelle sono piatti che vengono replicati un po’ ovunque, da nord a sud, così come lo smodato utilizzo del Parmigiano Reggiano; sarà perché la cucina di tradizione, se fatta bene e coadiuvata dall’utilizzo di una filiera corta, è capace di estrarre istantanee visive che si trasmettono dalla pancia al cervello in maniera repentina facendo riaffiorare i ricordi dei pranzi d’infanzia e sarà perché qui, poi, queste cose, se pur semplici, le fanno davvero per bene.

All’Osteria del Mirasole da poco più di trent’anni, Franco Cimini – cuciniere sensibile, apparentemente burbero, maestro di braci e fuochi – persegue qui, ogni giorno, il suo obiettivo originario: esaltare una grande materia prima nel solco della tradizione e nel rispetto di artigiani, allevatori e produttori locali.

Un classico senza tempo

Così l’esperienza si trasforma in un classico senza tempo, in cui cibo e atmosfera formano un’amalgama capace di mettere a proprio agio e far godere, tanto i giovani quanto i meno giovani, il cui comune interesse sia, semplicemente, la buona cucina.

I piatti della tradizione vengono riprodotti con intelligenza preservando semplicità estetica e, al contempo, estrema qualità. I tortellini alla crema di latte (panna di affioramento), serviti rigorosamente senza Parmigiano Reggiano (qui, presente con almeno 30 mesi di stagionatura), è un inno alla golosità con la crema di latte dalla consistenza simile a un brodo, che va delicatamente a domare il piccolo ripieno, carico di sapidità. Un piatto da provare e riprovare, utile anche per comprendere il significato delle micro sfaccettature evolutive della tradizione presso le grandi tavole.

Un assaggio di frattaglie, poi, qui è d’obbligo: meraviglioso il rognone in umido; ma anche la carne alla brace, allestita nel camino, dove l’inebriante aroma delle legna utilizzate conferisce sentori che fanno titillare le papille gustative. La bistecca alla fiorentina di vacca vecchia – a “lunga frollatura”, recita il menu – è semplicemente fantastica, così come buonissimi sono il classico friggione – una delle ricette bolognesi per eccellenza – e le patatine cotte nel suo grasso (quello della carne).

La carta dei vini, che punta giustamente i riflettori sui prodotti autoctoni, contiene chicche italiane ed estere, frutto di scelte ragionate e proposte ad un prezzo corretto. Il tutto, impreziosito da un servizio di sala sempre sorridente e cortese, in grado di indirizzare il commensale sulla scelta giusta tra le molte proposte della carta.

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La “domenica del villaggio” all’Antica Osteria del Mirasole

C’è stato un tempo in cui il bolognese, tanto in città quanto in provincia, era solito irrobustire le proprie ricette aggiungendovi, nelle giornate di festa, le carni delle galline cui tirava il collo per farci il brodo. Così capitava che nel ragù finissero anche tagli di carne bianca, qualche rigaglia e, se andava bene, pure qualche sorpresa, come l’ovarina. La stessa che troviamo, stasera, sulla sommità della nostra tagliatella all’antico ragù di cortile.

La forza della propria identità domestica, a San Giovanni in Persiceto, la si evince già dal fatto che tutto, da queste parti, è tradotto in bolognese occidentale. Così scopriamo, tra le altre cose, che via Matteotti, dove ci troviamo, fu “già via del Mirasôl”.

Arriviamo dunque alla Antica Osteria del Mirasole durante un tiepido crepuscolo di primavera. Dall’ultima nostra visita, due anni orsono, nulla sembra cambiato: Franco Cimini è sempre lì davanti al camino che armeggia lame e coltelli, ci vede; non ci saluta. Non saluta nessuno, a dire il vero, ci piace pensare che sia solo molto timido e, sicuramente, molto concentrato. Ben altra accoglienza, invece, ci riservano Anna e Riccardo che, da par loro, sorridono spesso, e mai per mera cortesia di circostanza.

Alla ricerca dell’abbinamento perfetto

La cena comincia col benvenuto dalla cucina “perché siamo pur sempre Bologna”, dice Anna, come a scusarsene. Eppure, si tratta di un incipit più che decoroso. La ricotta del caseificio di famiglia è più burrosa che vaporosa e la crescenta, fatta in casa, è fragrante. Ad accompagnarla, il Pignoletto frizzante della stessa famiglia Caretti che, col suo sorso saporito e speziato, si sposa assai bene – troppo bene! – col cestino del pane di Gilberto Ghelfi.

Arriva dunque il Tortellino che, non ce lo ricordavamo, è al cucchiaio. La crema è sontuosa, serica essenza di brodo e panna d’affioramento, sapidità e lattosità. Il tortellino, di natura irregolare, è tanto piccolo da ricordare le ciambelline della colazione dell’infanzia con cui condivide, oltre al colore, la rugosità perfetta nel trattenere la virginale purezza di questo latte.

Della Tagliatella, in parte, s’è già detto. L’ovetto che la sormonta è appunto un uovo embrionale servito nature, senza sale: una scelta azzeccata, che va ad impreziosire un ragù soffice, profumato e carnoso cui si contesta, forse, solo la presenza, un poco eccessiva, del burro. Ottima la sfoglia, tesa e croccante; impeccabile l’abbinamento col Falistra di Podere il Saliceto, detergente, riposante.

A proposito di vino, e benché la carta non sia né profonda né amplissima, all’Osteria del Mirasole, volendo, ci si diverte. Il solerte Riccardo esaudisce, infatti, la nostra richiesta di abbinare al Fegatello di maiale con la sua retina cotto sulla brace e avvolto nell’alloro un vino che, pur imponendo profondità e struttura, reclama levità. Scegliamo il Cerasuolo d’Abruzzo Le Cince 2016 di De Fermo e, lo confessiamo, mai scelta fu più appropriata. Quanto al fegatello, il profumo dell’alloro bruciato che ammanta il piatto è disarmante, come il morso, che è un deliquio di dolcezza, ematicità, e una burrosità appena amara incalzata da un’ulteriore premura: il pane bruschettato tipo Lariano.

Per dolce, ci concediamo il lusso di un latte ristretto al caramello, che intensamente ci godiamo nella prima oscurità della sera, dall’altra parte della strada, in cortile, dove ci viene apparecchiato un tavolo tutto per noi.

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