Una famiglia che lavora bene: con testa, entusiasmo e cuore.
Che fa le cose che sa fare, e le fa nel miglior modo possibile.
Che ama i ristoranti tanto quanto li amiamo noi.
Ecco in tre righe la Locanda San Lorenzo.
Lo percepisci subito quando un ristoratore non ama stare solo dalla parte “calda” del pass, ma adora il vino e il cibo anche come cliente e tutte le volte che ne ha la possibilità va in cerca di grandi tavole da amare e bottiglie da stappare.
Lo capisci dalle bottiglie che accumula in cantina, dalla lacrimuccia che gli scende quando gli ordini una etichetta importante, che è sì un incasso sicuro ma anche un piccolo pezzetto di “tuo” che se ne va. Appassionati che hanno scelto un mestiere per sguazzare in questa passione.
Allora il calore, il piacere di rivedersi dopo tempo, la chiacchierata dopo cena, non sono più necessità dettate dal lavoro, ma le cose più spontanee e naturali possibili.
Non abbiamo sentito mai nessuno parlare male di questo posto, e un motivo ci sarà.
Un motivo potrebbe essere la cantina: una carta dei vini splendida, piena di chicche a prezzi estremamente ragionevoli. Non sarebbe ridicolo salire fin quassù solo per stappare qualcosa di importante.
Ma la cucina non è da meno, in particolare quella legata al mondo carnivoro.
Il consiglio è proprio quello di by-passare i piatti di pesce e gettarsi a capofitto su selvaggina, agnello e affini.
C’è una ricerca incredibile, fatta di piccolissimi fornitori e lontana anni luce dalle catene del gusto. La differenza si vede e sente. Una beccaccia così, la si mangia qua e in pochissimi altri posti.
O ancora l’agnello: una variazione che ha pochi uguali in Italia per gusto e qualità della carne.
È cucina concreta, fatta di cotture attente, tantissima solidità e pochi slanci fuori misura.
Cucina classica italiana, di cui tanto c’è bisogno perché è merce sempre più rara.
La cucina ideale per accompagnare quella bottiglia importante che tanto avete sognato.
E magari proprio qui potrete urlare: “si può fare!”
Amuse bouche
Lumache croccanti, salsa all’aglio e erbe
Unico piatto non troppo convincente, per una lumaca che manca di intensità di sapore.
Sandwich di cervo e foie gras, salsa ai lamponi, mostarda di cipolla
Risotto alla beccaccia
Capolavoro assoluto, grandissima beccaccia.
Cervo, castagne, zucca e succo di melograno
Degustazione di agnello. Sempre imperdibile a questa tavola.
Stracotto con polenta
Pancia arrotolata
Frattaglie
Cervello e carrè fritti
Filetto
Crumble salato e cremoso al pistacchio con gelée al limone, gelato di ricotta e yogurt e biscotto all’olio extravergine di oliva
Arancia, mascarpone e zenzero
Piccola pasticceria
I colpi sparati per l’occasione:
Meursault Les Tessons, Clos de Mon Plaisir 2006 – Roulot
Clos de Vougeot 2001 – Domaine Leroy. Un vino incredibile, capace di evolvere nel bicchiere all’infinito. Una sottile nota di cacao si nasconde tra mille sfumature fruttate. Mostruoso.
Un rapido sguardo in cantina
La sala del ristorante (ma noi vi consigliamo il più familiare tavolo “lato bar”, di fianco al camino e vista cucina, altresì conosciuto come “tavolo del notaio”)
Dopo la parentesi londinese, Riccardo De Prà è tornato alla nave madre per riprendere la guida della cucina di famiglia. La sua assenza nell’ultimo periodo non è stata indolore, quindi con piacere abbiamo ritrovato in questa visita la mano convincente del giovane chef bellunese.
Un animo inquieto quello di Riccardo De Prà, che non sembra ancora aver trovato la sua completa dimensione. Così come il ristorante, in bilico tra novità (metà tavoli sono in legno grezzo senza tovaglia, la moda del momento) e tradizione (l’altra metà del ristorante ha i tavoli con le tovaglie), con un cordone ombelicale non ancora del tutto reciso tra la storica gestione di questo illustre locale e tutto quello che dovrebbe rappresentare la nuova generazione.
Ci sembra che i risultati a cui può ambire questa cucina potrebbero essere superiori, ma già oggi il livello è molto buono e alcune preparazioni meritano il viaggio come lo straordinario appetizer propostoci: carne di manzo locale appena scottata abbinata a una deliziosa maionese al wasabi. Un piatto semplicissimo, Japan Style che mette in grande risalto la qualità della carne allevata qui.
Le preparazioni più efficaci sono certamente quelle che traggono le loro origini dall’Alpago e dai sapori di queste terre: le lumache gratinate con erbe di montagna sono imperdibili, un grandissimo piatto. Così come le costolette di agnello, forse cotte un filino in eccesso ma gustosissime e rese ancora più sfiziose da una efficace panatura.
Meno convincente l’interpretazione della pasta alla carbonara: quando l’originale è meglio della rivisitazione, una domanda bisogna porsela e secondo noi questo piatto, pur di gran successo, non ha più molto senso in un menu di questo tipo.
Ottima come sempre la carta dei vini, così come il servizio, un po’ in difficoltà a sala piena ma di grande disponibilità e gentilezza.
Attiguo al ristorante c’è anche il Doladino, per una proposta più semplice e veloce sempre all’insegna della qualità.
Una notevole risorsa anche quella delle camere al piano superiore, per chi avesse bevuto un tantino troppo e decidesse di farsi cullare ancora un po’ dalla bellezza di queste montagne.
La storia continua al Dolada e i presupposti ci sono tutti per un futuro di grande soddisfazione.
Manzo con maionese al wasabi.
Lumache gratinate con erbe di montagna.
Uovo croccante nel pane nero e caviale di trota leggermente affumicato.
Pappardelle di grano antico Enkir, funghi, verza e fonduta di malga.
Nuovi spaghetti alla carbonara.
Trota dell’Alpago alla brace.
Costolette di agnello in crosta dorata di pane e rosmarino.
La manza di Rosina cotta alla brace in legno di nocciolo.
Noce di cocco, cioccolato e mosaico di frutta.
Tartelletta con nocciola, pistacchio e gelato al mandarino.
Millefoglie Monte Bianco.
Piccola pasticceria (molto buona).
La vista spazia verso il lago.