Passione Gourmet 3 stelle michelin Archivi - Passione Gourmet

AM par Alexandre Mazzia

“Mediterrafricaneo”

Già non è facile vivere una vita, figuriamoci tre. Alexandre Mazzia nasce in Congo e ivi trascorre a Pointe-Noire, affacciata sull’Oceano, la sua adolescenza, prima di trasferirsi a Marsiglia. Nella città focese si afferma nel basket professionistico coltivando nel frattempo la sua passione per la cucina. Appesa la canotta al chiodo, e dopo alcune esperienze tra Francia e Spagna, apre nel 2014 il suo ristorante, AM, che in poco tempo si afferma in Francia fino a fargli ottenere le 3 stelle Michelin nel 2021, dopo soli sette anni dall’apertura.

Un riconoscimento che vale quanto un canestro da tre punti decisivo, realizzato all’ultimo secondo del quarto tempo di una finale, perché ottenuto in controtendenza allo spirito classicista tipico della cucina francese che ha reso feticci le preparazioni al guéridon, l’anatra alla pressa, il Pâté En Croûte piuttosto che la Lièvre à la Royale. Da AM non troverete nulla di tutto ciò. Qui va in scena un nuovo filone culinario che possiamo definire “Mediterrafricaneo”, sincrasi perfetta delle vite dello chef, ove spezie e affumicature si commistionano alla perfezione con pesce, ortaggi, vegetali e frutta, il cui imprinting della terra di origine marchia i percorsi degustativi come l’impronta perpetua di un sigillo.

D’altra parte la vita e l’esperienza, anche culinaria, di Mazzia è stata non poco influenzata, oltre che da Francia e Congo, anche dal passaggio in Spagna, culla della rivoluzione e dei dogmi culinari classici, che in quella terra hanno vissuto stravolgimenti importanti e significativi.

Un viaggio verso le spiagge africane

Ma parlando più direttamente della nostra esperienza il susseguirsi di piatti si articola in due grandi momenti, ognuno dei quali ricorda una sorta di percorso “kaiseki” riportato alla tradizione delle tapas spagnole. Un primo step spazia dalle note marine del gambero, del katsuobushi, dello scampo per approdare alle note vegetali della pastinaca in agrodolce, foglia di amido e mela verde o dell’acqua di legumi e della radice di sommacco. Prosegue e trova il suo epilogo poi con un biscotto vegetale guarnito da un crema dalle note erbacee-iodate che dialoga con anguilla affumicata e cioccolato. Il secondo grande momento vede protagonisti piatti come cozze, sgombro, aringa, cocco, mojito al dragoncello e crema verde o spinaci, vermicelli al curry, salsa verde saté e barbabietola, virando verso la dolce conclusione di banana fermentata, riso soffiato, arachidi caramellate e kumquat o mais glassato, aceto balsamico 25 anni, meringa di mais affumicato alla griglia. Una serie di atti unici, concatenati da un filo conduttore, che compiono e si uniscono nei due momenti ben delineati e sopra descritti.

Che Alexandre Mazzia sia uno spirito libero si manifesta in ogni angolo del locale e dell’esperienza vissuta da lui: negli interni del locale, nelle pietanze, nelle stoviglie, nella musica di sottofondo sulle note delle canzoni di Bob Marley. A tratti la sensazione è quella di trovarsi sulle spiagge africane in riva al mare a piedi nudi attorno a un falò tra amici a godere dei sapori, degli odori e degli umori di terre lontane ma che ad un tratto appaiono più prossime di quanto sembri. Quando cucini in non più di 10 metri quadrati, sei coadiuvato da uno staff di sala e cucina di circa 15 persone, servi contemporaneamente non più di 20/25 commensali, e riesci a raccontare attraverso il cibo una storia, la tua, un solo pensiero ti assale: siamo di fronte a un vero e proprio fenomeno culinario.

La Galleria Fotografica:

Al vertice della World 50 Best e le 3 Stelle Michelin, inarrestabile

Primo ristorante al mondo del 2021 per la World’s 50 Best Restaurants: qualcuno lo chiama “Noma 2.0”, inaugurato nel febbraio del 2018 nella città libera di Christiania, celebre quartiere hippy di Copenhagen, all’interno di un ex magazzino per lo stoccaggio delle mine della marina danese.

Pur avendo già primeggiato nella 50 Best in quattro occasioni (2010, 2011, 2012 e 2014) è stato ritenuto idoneo per la classifica (che ormai da qualche anno non consente di essere rieletti n.1 se si è già entrati nella “Hall of fame”) a causa di tre cambiamenti chiave rispetto al ristorante originale: la differente location, il nuovo concept e la proprietà. Secondo i giudici della 50 Best il riconoscimento al Nomaè una testimonianza della infallibile capacità da parte di Chef René Redzepi e della sua squadra di focalizzarsi su ingredienti stagionali inusuali – il menù è rigorosamente stagionale, diviso in tre fasi: di pesce in inverno, vegetariano in estate e cacciagione e prodotti del bosco in autunno – reperiti localmente e portati a nuova vita nel piatto in modo creativo e complesso”.  Parole che condividiamo appieno dopo la nostra visita.

Ribattezzato dallo stesso Redzepi “fattoria urbana”, dall’esterno sembra una serra: è un complesso formato da sette edifici, con sale dedicate a carne, pesce e cibi fermentati, oltre a una sala da pranzo privata per i dipendenti, che hanno a disposizione anche delle camere. Vi ci lavorano quasi un centinaio di persone per 40 coperti. Molte di queste le vedi quando arrivi, non foss’altro che all’entrata tutta la brigata è lì per darti il benvenuto.

Il menù selvaggina e foresta

Renne, anatre, cinghiali, orsi, zucche, funghi, castagne, barbabietola gialla e tante erbe. René Redzepi è un impareggiabile maestro nell’utilizzare la flora e fauna dell’autunno danese in una miriade di combinazioni differenti e nel menù ‘Selvaggina e foresta’ in cui il rispetto per la natura incontra l’innovazione culinaria, l’estro creativo e perfino il senso dell’umorismo lo chef offre il meglio di sé. “Questo menu è la celebrazione dell’abbondanza dell’autunno e della sola stagione in cui la carne gioca un ruolo di protagonista” era l’annuncio di questo menù sulla pagina Instagram del ristorante. Un menù naturalistico, spettacolare nella presentazione per colori, geometrie e originalità dei contenitori spesso provenienti da scarti degli ingredienti e straordinario nella decisione dei sapori esaltati dall’immancabile umami e da consistenze e temperature studiate con millimetrica precisione per una perfetta combinazione tra proteine animali e prodotti vegetali del bosco. Indimenticabili lo spiedino di speck di cinghiale con pesto di castagne, la raggiante bellezza (e il sapore terroso) del sashimi di barbabietola gialla, la perfetta consistenza del petto di alzavola servito con la sua pelle e le interpretazioni della renna che ha iniziato e chiuso il menù con ragù di cervello e midollo caramellato.

Il servizio è competente, attento e amichevole con un’alternanza di persone di diverse nazionalità, anche se nel nostro caso la maggior parte delle portate è stata servita da italiani. La carta dei vini offre una certa varietà di etichette, spesso poco note, e con preferenza per vini naturali. La carta proponeva un pairing a base di vini e uno a base di succhi e infusi. Noi abbiamo optato per i vini risultati ben coordinati con le numerose portate.

La Galleria Fotografica:

Percorrendo la strada che ci separa da Casadonna rimaniamo affascinati e incantati da questo angolo di Abruzzo. Una terra magica, di cui non si parla mai abbastanza. I movimenti sinuosi dei monti al nostro cospetto donano armonia, pace e serenità. Dopo molti chilometri, e noi ne abbiamo fatti davvero tanti, non ti senti per niente stanco ed affaticato. Di fronte a tanta bellezza rinasci, queste curve eleganti ti predispongono con lo sguardo e lo spirito al meglio.

E i pensieri corrono, fluiscono, ci fanno sognare ed immaginare. Alzano certamente l’asticella delle attese, quasi fosse un trepidante incontro d’amore. E come tutti gli incontri d’amore non mancano i dubbi, le perplessità e le tensioni. Il Pathos è la somma di tutte queste emozioni.

Abbiamo conosciuto per la prima volta la cucina di Niko Romito nel 2005, pressoché agli inizi del suo fantastico percorso. E non negammo sin da subito il nostro entusiasmo ma anche le nostre perplessità. Riconoscendo un grande, grandissimo talento, abile a sfornare capolavori assoluti. Ma ancora in divenire, nella ricerca di una sua strada, personale, sofisticata e marcata. Con una cucina molto ragionata, pensata… forse a volte troppo pensata.

Lo rincontriamo oggi in un momento di fulgida maturità e crediamo che le nostre strade si siano ricongiunte ed avvicinate. Forse noi abbiamo compreso meglio quanto l’acerbo, lieve, che abbiamo colto poteva diventare un frutto maturo, succoso e persistente. E forse anche lui ha, nel frattempo, fatto un percorso di crescita intenso, molto profondo, che lo ha portato, al di là dei riconoscimenti, ad una maturità e ad una espressività che non esitiamo a definire veramente fenomenali.

Crediamo certamente di essere di fronte ad un talento puro della nostra cucina italiana. Tra i pochi degni di essere lassù, nell’olimpo dei nostri migliori assoluti. Appunto, assoluti.

Dicevamo del perfezionismo, che spesso anche su questi lidi è stato malinteso ed interpretato come una diminutio. Nient’affatto. Consideriamo questo aspetto un valore di Niko Romito, la sua voglia continua di mettersi in discussione, di migliorare e di migliorarsi ma di esprimersi al pubblico solo dopo attente e ponderate valutazioni. Di fare ricerca, vera e profonda, in cucina e per la cucina.

Quella tendenza alla maniacale ripetitività del gesto, sempre tendendo a migliorarlo, che ci ha fatto amare la nostra esperienza in Sol Levante. E nella tensione di questo cuoco alla perfezione scorgiamo una sorta di spiritualità, che è tra l’altro presente nitidamente nei suoi piatti, sopratutto dell’ultimo corso.

Ci piace citare quanto affermato da un nostro vicino di tavolo, famoso pittore italiano, a riguardo della cucina di Niko : “…i tuoi piatti sembrano preghiere, c’è profonda spiritualità nella tua cucina”. Ed è così, la cucina di Niko Romito trasuda spiritualità. È divenuta intensa, vibrante. La lunghezza gustativa di molti dei suoi piatti sono ormai una standard acclamato, come lo fu l’assoluto di cipolla. Ma lui, instancabilmente ed inesorabilmente, non si ferma e non si accontenta.

Continua ad evolvere, a migliorare, a ricercare la perfezione verso il meglio assoluto. E tutto questo possiede in sé, ribadiamo, una sorta di mistica spiritualità.

La cottura delle carni, su cui sta lavorando da tempo, non ha eguali e punti di riferimento. Ha migliorato quella a bassa temperatura, togliendone i difetti e spostando i paradigmi (lavorando sulla pressione e sull’aria). Ha reso le carni come se fossero poco cotte, morbide, sugose, ma al contempo lievemente tenaci. Senza dover neppure ricorrere alla rigenerazione in padella. Ha reso pura una materia nobilitandola con la cottura, attraverso lo studio della stessa realizzata a bassa pressione.

Il risultato? Quel piccione e ancor di più quella spuntatura di maiale sono due paradisiache preparazioni che, per la totale  assenza di difetti, fanno quasi risultare disturbanti gli accompagnamenti.

Potremmo continuare a parlare di questa tensione maniacale per la ricerca e lo studio che si sta compiendo al Reale sulle paste fresche, di forma, consistenza, spessore e cottura differenti in funzione del ripieno. O della preparazione del calamaro, a cui ha dedicato anima e corpo, e la sua ricerca, per lungo tempo.

Abbiamo ricevuto in omaggio dallo chef il suo libro, un libro inusualmente privo di foto, dedicato ed ispirato ai suoi allievi della scuola di cucina, in cui racconta in maniera approfondita e dettagliata tutta la sua ricerca. Ma l’abbiamo volutamente letto dopo aver scritto queste parole, lasciando spazio all’istinto dell’emozione provata di fronte ai suoi piatti più che alla fredda analisi degli stessi. Perché secondo noi la cucina deve prima di tutto regalare emozioni, infondere pathos; poi può essere ragionata e compresa. E dobbiamo sicuramente dare atto che la cucina del Reale in questo momento è davvero molto emozionante.

Non dimentichiamo poi, a completamento di tanta bellezza, un servizio attento, preciso, e gentile fornito da Cristiana, la sorella dello chef, e da tutto lo staff che la segue.

Il celebre critico d’arte Achille Bonito Oliva diceva che il grande critico è in grado di completare l’opera dell’artista, infondendo energia e spunti, riferimenti, allegorie che determinano il quadro definitivo di un’opera. Non sappiamo se ci siamo riusciti, con questo nostro racconto e con la dissertazione di commento alle foto dei piatti, umilmente ci abbiamo provato.

Il benvenuto, spugna di pistacchio salato, un fenomenale ravanello marinato all’agro, dei fantastici ravioli di pasta al ragù, ottime patate alla cenere e maionese all’aceto.
benvenuto, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
benvenuto, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
benvenuto, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Continuiamo il benvenuto con sfoglie di barbabietola con patè di coniglio, polpettine di cicoria e formaggio, polpettine di vitello, patate e mentuccia.
benvenuto, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Il panino agli scampi è già l’emblema di questa cucina. Uno studio maniacale l’ha reso perfetto, un risultato gustativo ricercato al millimetro.
panino agli scampi, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Il primo vino in accompagnamento, ça va sans dire.
vino, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Misticanza alcolica. Una base di generosa crema di mandorle ricoperta da ben 20 erbe officinali differenti, condite con un leggero tocco di gin Monkey 47. Una vera opera prima, con la grassezza e dolcezza della mandorla che rincorre le spezie e le erbe, connotate ed accentuate dalla nota alcolica. Un capolavoro, giustamente posizionato ad inizio pasto.
misticanza alcolica, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Sfoglia di ceci e rosmarino e grissini al miele.
sfoglia di ceci, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Primo grande piatto. Calamaro, lattuga e pepe. In questa preparazione il pepe rosa infonde una aromaticità ed una lunghezza -nonché  persistenza- gustativa alla lattuga veramente inarrivabile. Il calamaro giusto accostamento, che completa l’opera. In questo caso il protagonista è comunque il vegetale, in evidenza anche grazie al supporto del suo accoppiamento ittico, e alla nappatura del suo succo estratto ad infondere persistenza. Senza però non rilevare come la cottura e la textura di quel calamaro facciano letteralmente sobbalzare sulla sedia.
Calamaro lattuga, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Il pane, fantastico! La pizza umida, preparazione tipica e tradizionalmente collosa, di farina di grano duro autoctona (varietà di grano Saragolla), pane di grano Solina (un grano tenero autoctono anch’esso) e un pane alle patate. Tutti caldi, profumati e persistenti.
pane, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
La famosa melanzana con aceto di pesche e pomodoro, un colpo ulteriore. Fantastico!
melanzana, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Fettuccine ostriche e patate. Qui la cottura in salsa di patata estrae una acidità sorprendente dal tubero. Fettuccina servita fredda con l’ostrica che viene elevata all’assoluto.
fettuccine ostriche, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Il secondo accompagnamento.
vino, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Il piatto del viaggio. Anguria e Pomodori. In questo caso la scelta delle proporzioni, la qualità e il trattamento dei pomodori e dell’anguria è funzionale, pensato e ragionato. Il risultato sorprendente è che tutto ciò, unito al vero tocco di maestria, la salsa di erbe (timo, maggiorana. dragoncello, rosmarino e succo di olive verdi), rende questo piatto un concentrato di potenza inaudita. Dolcezza, sapidità, acidità, nota balsamica che si rincorrono all’infinito.
Anguria e pomodori, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Ravioli di ricotta di bufala, acqua di governo di bufala, pepe e capperi. Chapeau!
ravioli di ricotta di bufala, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Altro accompagnamento.
vino, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Animelle, panna e limone. Un piatto di alta scuola, che strizza un occhio irriverente alla Francia. Qui l’apparente contraddizione di grasso su grasso in realtà e svolto ed equilibrato dalle dosi, dalla cottura e lieve panatura delle animelle, dall’acido citrico unito all’acido ascorbico. Un effetto di panna sgrassante, astringente, inaudito. Che allunga e rende profondo il gusto delle animelle.
animelle, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Ravioli di di spigola, limone e sale. In questo caso la collosità della pasta, ai limiti del crudo, ci ha lasciato leggermente perplessi. Una scelta, voluta dallo chef, per esaltare il ripieno. Che tuttavia ci ha convinto poco.
ravioli di spigola, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Ravioli imperiosi ripieni di capocollo. Notare in questo caso lo spessore differente rispetto alla pasta precedente, che denota il lavoro attento sulle paste ripiene.
ravioli ripieni di capocollo, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Ottimo, come sempre…
vino, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Spaghetti al pomodoro. Li potremmo definire l’assoluto di… Nessun grasso e nessuna spezia aggiunta. Solo concentrazione e lavorazione maniacale di tre tipologie di pomodori che, uniti ad una pasta dalla cottura perfetta, generano un tutt’uno fantastico. Si noti la nappatura del sugo, che rimane incollato alla pasta fino all’ultimo micron. Fenomenale!
spaghetti al pomodoro, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Grande anno e grande vino…
vino, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Questo più semplice, seppur molto valido.
vino, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Il piccione e il pistacchio. Quest’ultimo come dicevamo in precedenza finanche pleonastico. Qui la cottura del petto, fenomenale, e la sua textura la fanno da padrone, così come il gel di ristretto di piccione alla base del piatto. Veramente un piatto da fondoscala, totale e totalizzante.
piccione, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Spuntature di maiale abruzzese cotte nel latte, gel di latte in riduzione di maiale e finocchio. Anche qui la cottura e la lavorazione donano a questa spuntatura una persistenza gustativa infinita ed elegante. Il finocchio, cesellato e lavorato come fosse un calamaro alla giapponese, inciso sulla fibra, davvero molto interessante. Peccato che questa preziosa lavorazione quasi scompaia di fronte alla maestria della lavorazione e cottura della carne, ma tant’è.
maiale, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Il famoso gel di vitello e tartufo, posizionato nel punto giusto del menù. Davvero notevole.
gel di vitello, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Il nostro accompagnamento ai dolci.
vino, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Granita di aceto e liquirizia, cioccolato bianco e panna. Ritornano anche sul dolce le note stilistiche proprie della cucina di Niko Romito. Qui l’abile dosatura di temperature ed ingredienti dona alla preparazione una persistenza gustativa elevatissima, che si amplifica boccone dopo boccone. All’inizio leggermente disturbante, alla fine sensazionale! Da gustare sino all’ultimo boccone e non solo da assaggiare, per comprenderne a fondo la complessità.
granita di aceto e liquirizia, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Caramello, lampone ghiacciato e meringa italiana. Un dolce eccelso, per proporzioni ed abbinamenti.
caramello,Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
Gli ottimi petit fours.
petit fours, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro
petit fours, Reale, Chef Niko Romito, Castel di Sangro

Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena

Tu e lui, il piatto. Affascinante, adulatorio, provocante.
Continui a scrutarlo curiosamente, in un misto tra la voglia di affrontarlo e quella di godere al massimo di quel momento.
La prendi larga, lo attacchi con l’olfatto, in una sorta di delicato e rispettoso preliminare.
Prima lieve emozione: quanto raccontato contestualmente al servizio ti si ricostruisce olograficamente di fronte, la gerarchia degli ingredienti è chiara, rispettosa dell’ordine di apparizione nella spiegazione.
Lo affronti successivamente con la posata, timoroso, conscio di un gesto irreparabile. Dopo aver esaminato con discrezione le singole componenti, con perizia cerchi di ricomporre parte del piatto in un boccone, assicurandoti scrupolosamente di non dimenticare nulla.
Porti il tutto in bocca. L’attenzione è tale da non vedere né sentire altro.

Uno shock, un pugno nello stomaco, uno schiaffone in pieno volto.
Ma non c’è dolore.

Ti viene da ridere di gusto, ti trattieni in modo da non passare per matto.
Quello che prima era olografia, prende forma davanti a te dieci, cento volte più grande. Puoi vedere distintamente quanto raccontato, singolarmente, poi nell’amalgama. Poi ancora singolarmente, poi di nuovo nell’insieme.
La definizione dei singoli componenti è sconcertante, ancor di più lo è l’armonia tra loro. Alzi gli occhi appagato e ti accorgi che come tu non badavi a nessuno, dagli altri tavoli nessuno bada a te.
E’ un momento estremamente intimo, tra te ed i tuoi sensi.

In una qualsiasi tavola, secondo dinamiche soggettive ma pressappoco simili, quando questo accade, nella sua completezza, almeno una volta, ci si può ritenere fortunati.
In Francescana, ciò avviene in non meno di dieci occasioni consecutive.

Dopo ogni pranzo -o cena- al 22 di via Stella, si ha la sensazione netta di aver raggiunto l’apice, che l’asticella posta lì, così in alto, sia impossibile da innalzare ulteriormente. E prontamente questa sensazione sarà smentita dalla visita successiva, e così in ogni occasione.
La stessa percezione di altezza è chiara all’interno del percorso, nei singoli piatti: si parte a rotta di collo e l’acceleratore viene chiuso soltanto dopo l’ultima portata. Una gara di dragster che, anziché durare dieci secondi, passa le tre ore. Non un crescendo, ma una linea orizzontale collocata abbondantemente in zona rossa.
E soltanto quel paio di piatti un filo meno che sublimi, nonché alcune blande -ma soltanto estetiche- reiterazioni stilistiche (il camouflage mimetico ripetuto in tre piatti, o l’uso del medesimo germoglio in tre piatti differenti) ti ricordano di essere sulla terra.

Quello di Bottura, per quanto riconoscibilissimo, è un non-stile, tracciato attraverso il volteggio armonico all’interno di tutti i campi del gusto: dal Pancake, piatto rotondo, morbido, di deriva dolce, che gioca sulla “rottura del confine tra il dolce ed il salato” tanto cara allo chef, fino al Raviolo di zucca, perfino disturbante nel contrasto tra il ripieno dolce e l’acidità ficcante del brodo, passando per piatti che fanno leva sulla memoria, come La parte croccante della lasagna. L’unica costante è la certezza di trovarsi di fronte sempre dei veri e propri piatti capolavoro che vanno a comporre un menù monumentale, nonché realmente sensazionale.
In Francescana pare abbiano trovato la formula magica per il piatto emozionante e vogliano riproporla dodici volte, sotto dodici forme differenti, senza spazio per alcun compromesso, né tantomeno sacrificio: massima finezza, nonostante i sapori netti ed amplificati. Eleganza e pulizia estreme, pur utilizzando ingredienti certo di qualità assoluta, ma di natura comune. Centralità gustativa da cecchino, nonostante il numero de la “regola del 3” qui sia da leggere come “al cubo”. Sapori dettagliati e sfaccettati al cesello, nonostante piatti all’apparenza semplici.

Il perfezionismo a 360° di questo ristorante, in quanto tale, coinvolge anche il feudo dell’ormai celeberrimo uomo di sala, Beppe Palmieri: l’accompagnamento al calice. Cosa praticamente più unica che rara in Italia, acquisisce qui una quarta dimensione, tanto da poterlo definire un ampliamento al calice. Ci si spinge oltre il concetto di abbinamento, sfruttando le note delle bevande (non necessariamente vino) per incrementare quelle dei piatti; non si intenda però come un completamento delle portate (che sono, ovviamente, compiute da sole), ma come una maniera per far si che il calice possa armonizzarsi nel miglior modo possibile con il piatto.

Torniamo con i piedi per terra: in fondo, l’Osteria Francescana è soltanto un ristorante, e Massimo Bottura ne è solamente il cuoco.
Sacrosanto e condivisibile: d’altra parte, anche Banksy è solamente un writer, anche Hirst semplicemente fa installazioni, anche Fontana solamente tagliava le tele, così come Pollock le macchiava.
In fondo anche noi appassionati veniamo definiti pazzi solamente perché spendiamo centinaia di Euro per un pugno nello stomaco.
D’altra parte anche a Modena, tra un piatto e l’altro, si sta solamente scrivendo il futuro della nuova cucina italiana.

L’ingresso.
Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Champagne di benvenuto.
vino, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Il pane…
pane, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
…con l’olio.
olio, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Si inizia. Il menù “Sensazioni” che vedrete qui sotto è stato introdotto in carta meno di una settimana prima del nostro pranzo. Riportiamo i nomi per come ci sono stati presentati i piatti al tavolo, ma sappiate che potranno essere assolutamente variabili.

Stuzzichino: Macaron all’acqua di pomodoro, mozzarella, e pasta di acciuga…
stuzzichino, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
…con limoncello caldo/freddo. Un omaggio al Bulli di Adrià, in chiave italiana.
limoncello, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
I panini, gli ormai mitici croissant salati, i grissini.
panini, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Pane Burro e Alici. In una cialdina di pane tostato sono contenuti l’alice, una spuma di pane calda e niente burro, ma al suo posto una riduzione di latte montato.
pane burro alici, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Con il suo accompagnamento: Malvasia 2012 Raccaro.
malvasia, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
L’Est incontra l’Ovest. Una provocazione nei confronti dei famigerati ravioli cinesi, preparati malamente in mezzo mondo: ravioli cotti appena al vapore, con all’interno dei (fa-vo-lo-si) gamberi rossi siciliani. La testa del gambero è polverizzata e ricostruita in una concentratissima cialdina, per un travolgente umami mediterraneo. Le lenticchie sono disidratate e poi fritte, per essere al contempo leggere, croccanti ed estremamente concentrate. Piatto favoloso, che combina tecniche e sapori orientali ad altri più consoni alle nostre latitudini.
est incontra l'ovest, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Triglie alla livornese. Una triglia all’ennesima potenza, ripiena di scampi, coperta da una cialda croccante di pane e completata da disidratazioni di olive, di prezzemolo e di pomodoro (sull’idea del camouflage), accompagnata come da tradizione da un concentratissimo pomodoro. Un elegantissimo tuning della triglia alla livornese, tradizionale nei sapori ma assolutamente innovativa nelle tecniche e nelle concentrazioni.
triglia alla livornese, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Entrambi accompagnati dal Timorasso Farewell 2011, una collaborazione di Palmieri con Walter Massa.
Timorasso, farewell, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Terra e Mare. Un’ostrica cotta appena al calore, affumicata e passata in una “panatura” composta da innumerevoli erbe disidratate. Sul fondo una salsa al rafano. Le classiche note marine dell’ostrica si fondono a quelle terrose delle erbe e dell’affumicatura, sostenute dalla lieve piccantezza della salsa (che ne allunga la persistenza a dismisura) e dai germogli, che amplificano la percezione di terrosità mentre donano freschezza all’insieme. Alla faccia di tutti quelli che mettono germogli ovunque, senza alcun senso.
terra e mare, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
La nostra Caesar Salad. Solamente il cuore dell’insalata, ove vengono inseriti gocce di senape, crostini di pane, pancetta croccante, uovo, aceto, cialda di parmigiano, acciughe… praticamente una versione emiliana dell’insalata internazionale per antonomasia. Le concentrazioni di tutti gli ingredienti fanno sì che attraverso un solo ciuffo, si ha la sensazione di averne mangiata una cassetta intera.
caesar salad, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Entrambi accompagnati dalla Genziana di Boroni: nel caso del primo piatto pura, con l’indicazione di berla solo dopo il piatto, per ampliare la sensazione di terrosità. Per il secondo piatto invece viene pesantemente diluita in acqua, in modo utilizzare soltanto l’aromaticità della Genziana.
Genziana, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Lumache in vigna. Omaggio al Piemonte: lumache di vigna cotte alla bourguignonne, con spuma di aglio dolce e succo di prezzemolo, con una miscela di erbe, polvere di porcini, tartufo nero. Come inciampare e cadere di faccia nella terra umida di ottobre, in vigna, durante la vendemmia.
lumache in vigna, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Accompagnate da una birra al Ginepro e Castagne affumicate del Birrificio Beltaine.
birra al ginepro, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
La parte croccante della lasagna. Quando un nome dice tutto: una cialda croccante, che da sola racchiude il gusto di una intera lasagna, che copre una meravigliosa e leggerissima besciamella al parmigiano ed un concentrato ragù battuto al coltello. In pratica lo stesso effetto della Caesar Salad: una teglia da 60×40 di lasagne tradizionali, concentrate in un cucchiaio.
la parte croccante della lasagna, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Con la Ribolla di Damijan Podversic.
damjian, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Le rane nello stagno. Un piatto realmente spettacolare, nella sua complessità: delle coscette di rana avvolte in una leggera panatura, posate su una pasta tradizionale addizionata di innumerevoli elementi erbacei disidratati, disposti in maniera che la pasta tirata (e poi resa croccante) simuli un camouflage, che va a nascondere delle nocciole, un ristretto di bourbon e della crema di pinoli, entrambi dalla consistenza densa e quasi gelatinosa, per un reale effetto di “melmosità”, come ogni stagno che si rispetti.
rane nello stagno, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
…accompagnate da un succo puro al 100% di rabarbaro.
succo puro di rababarbaro, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Il contenitore (una sorta pagnotta di sale alla cenere, portataci al tavolo soltanto in visione) all’interno del quale viene cotta la lingua di…

…Tutte le lingue del mondo. La lingua, compatta e morbida anche più di quanto non riesca a fare la cottura sottovuoto, acquisisce le note affumicate dalla cenere durante la cottura. Vere protagoniste del piatto sono però le meravigliose salse, un “giro del mondo” di sapori tradizionali. Secondo l’ordine di degustazione indicatoci, in senso antiorario: frutto della passione e semi di basilico disidratati, al coriandolo, al curry e lenticchie, ai peperoni, mostarda di mele campanine.
lingua, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Accompagnato da un fin troppo dolce, ma perfetto con le salse, Passo Nero 2010 di Arianna Occhipinti.
occhipinti, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Il maple syrup, versato a tavola…
maple syrup, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
…sul Pancake. Un Pancake tradizionale farcito con bacon e foie gras, il tutto accompagnato da un gelato al burro salato e finito con uno sciroppo di acero (ottenuto affumicando il maple syrup con l’aggiunta di sciroppo di amarena). Labili le percezioni di caldo/freddo e dolce/salato, un piacevole esercizio di stile ricorrente su questa tavola.
pancake, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
L’ultimo (per fortuna) abbinamento: il Moscato 2006 di Cà d’Gal
moscato, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Raviolo di zucca. Un raviolo estremo, l’unione di nord e sud: il tradizionale raviolo di zucca mantovano/cremonese (con mostarda, zucca ed amaretto) viene rivisto in chiave “dessert”, aggiungendo dei capperi e del bergamotto candito e servendolo in un acidissimo brodo di agrumi ed aceto di mele. Quasi borderline voler racchiudere spiccate dolcezza, sapidità ed acidità, davvero complesso bilanciarle quando tutte sono di questa entità. Spiazzante.
Raviolo di zucca, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Per finire con l’unico piatto “già visto” su questi schermi, ma solo perché richiesto esplicitamente: Camouflage, ovvero una lepre in civet proveniente dal futuro.
camouflage, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
…con Torta Barozzi, Sbrisolona, Pralina…

…e una tazza di caffè lungo. Ci viene spiegato di raccogliere con il cucchiaino il camouflage da un lato all’altro del piatto, poi prendere un dolcetto, poi un sorso di caffè… e ricominciare.
Spettacolare. Una delle chiusure di pranzo più estreme della storia.
caffè lungo, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
…è stato un lungo percorso il nostro, e ce ne rendiamo conto soltanto alla fine.
Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
La piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Natale è nell’aria.
piccola pasticceria, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
…grazie a voi!
Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena

Il Tempura pare risalire al XVI Secolo, periodo in cui ci furono i primi contatti tra marinai portoghesi, missionari cristiani e il popolo giapponese.
Durante ogni cambio di stagione i cristiani si dedicavano a tre giorni di preghiera e, impossibilitati in quel periodo a mangiare carne, si nutrivano di solo pesce e verdure. Il momento, definito “quattro tempora” (per via del fatto che il rito si ripeteva ogni stagione) diede il nome alla preparazione che per loro venne pensata dai Giapponesi, friggendo in una eterea pastella pesce e verdure, appunto.
Ma sarebbe riduttivo ricondurre a un didascalico evento storico l’esperienza in questo luogo di culto che abbiamo avuto il piacere di visitare.
Incominciamo con il dire che il Tempura non è una frittura. E’ una vera e propria arte di cottura e di pensiero. Ci sentiremmo di definirla un’antesignana della sferificazione di adrianesca memoria. La pastella, eterea pellicola quasi inesistente, è sostanzialmente l’involucro, il sigillante tra la materia prima e il veicolo di cottura.
Con questo artificio si preservano umori e gusto. Il prodotto non perde la sua consistenza originaria, non si ossida, ma miracolosamente cuoce. Ecco quindi un peperone croccante, un gambero suadente, dolce e turgido, un fungo soave e consistente.
Al 7 Chome Kyoboshi, grazie a Sensei Shigeya Sakakibara, originario di Kyoto, è possibile provare la più alta (e la più cara purtroppo…) espressione della tecnica del Tempura. Una ventina di mirabolanti, croccanti ed eteree sferificazioni, che vi allieteranno a tal punto che non vedrete l’ora di tornare a dispetto dei 38.000 Yen (circa 280 euro) che spenderete in questa piccola bomboniera nel centro di Ginza, la Montenapoleone della capitale nipponica.
D’altra parte 9 sono i posti disponibili di fronte al maestro, e quasi mai tutti utilizzati.
Abbiamo già fatto scorrere fiumi di parole sulla maestria giapponese, sul loro concetto di alto artigianato e di applicazione costante al perfezionamento di una sola ed esclusiva tecnica. Osservare Sensei Sakaibara preparare la pastella, controllare la temperatura dell’olio avvicinando lievemente il palmo della mano alla padella, immergere i prodotti e rigirare con le bacchette controllando con attenzione la cottura, con una serenità, decisione e fermezza uniche, è impagabile. Permettendosi anche di scherzare tra una portata e l’altra.
Fantastica esperienza, che consigliamo vivamente a chi si recherà nella capitale del Sol Levante, da non perdere per nessun motivo al mondo.

L’ingresso al settimo piano del palazzo…

L’interno…

La nostra compagna di avventura…

Funghi Matsutake crudi, limone e sale… da urlo.

Il nostro pranzo…

Alghe con gamberi marinati al wasabi.

Il maestro all’opera.

Il primo fritto, l’unico che sapeva di fritto: toast di gamberi.

La consolle di comando di Sensei Sakaibara.



L’etereo gambero.

La fragrante radice di loto.

Daikon e… probabilmente aceto di riso e sakè (il segreto non ci è stato svelato): incredibile.

Patata dolce di Hokkaido.

La seppia, dolce e morbida.

Il peperone croccante e il gambero.

L’uovo di quaglia.

La cipolla.

L’afrodisiaco abalone.

Gambero e radice di zenzero.

L’incredibile e costoso fungo Matsutake.

Gelatina di patata dolce.

Una specie di merluzzo locale con salsa di prugne umeboshi.

L’incredibile fico fritto.

E per finire, sottaceti-fermentati.

Fritto di gamberi e riso.


E il fantastico melone Yubari king, dal costo proibitivo.