Passione Gourmet Ristorante AGA San Vito di Cadore Oliver Piras - Passione Gourmet

AGA

Ristorante
via Trieste 6, San Vito di Cadore (BL)
Chef Oliver Piras, Alessandra del Favero
Recensito da Andrea Solari

Valutazione

17/20 Cucina prevalentemente di avanguardia

Pregi

  • Cucina fresca, giovanile, energica, audace e di grande perizia.
  • Abbinamenti al calice di grande interesse e pertinenza.
  • Ambiente di sala molto piacevole.

Difetti

  • Parte dolce ancora di livello un po' inferiore al resto.
  • Quanto è impegnativo arrivarci.
Visitato il 02-2018

Un piccolo angolo di paradiso al di fuori dello spazio e del tempo

Chi crederebbe mai che all’interno di un piccolo albergo dal fascino decisamente retrò, persino un po’ démodé, si possa celare uno dei laboratori della nuova cucina più promettenti in cui ci si possa imbattere oggigiorno in Italia?
Oliver Piras e Alessandra Del Favero, talentuosi e ancora giovani compagni di vita, di passione e di professione, hanno ricavato AGA in questa struttura famigliare (Hotel Villa Trieste, dei genitori di lei) un gioiello di buon gusto e di grandissima cucina, diventando in breve tempo un punto di riferimento assoluto nel cortinese, a San Vito di Cadore. L’unico freno? I pochissimi coperti a disposizione (16). Che sono, tuttavia, un pregio. Solo così Oliver e Alessandra, senza necessità di brigate e squadre di sala a doppia cifra, possono imprimere quell’energia vibrante percepibile in ogni piatto, quell’entusiasmo e quell’emozione quasi fanciullesche, che riscontriamo anche quando i due, con gli occhi quasi brillanti, in un costante filo comunicativo con il cliente in sala che solo numeri tanto ridotti possono permettere, servono e presentano i piatti.

E che piatti! Una profondità di pensiero, una padronanza di tecniche assorbite dalle più svariate culture, una perizia nella costruzione verticale e orizzontale, nel dosaggio di acidità, balsamicità, di note agrumate o erbacee che trascendono quanto sarebbe lecito aspettarsi, o foss’anche solo sperare, persino da parte di cuochi con assai più esperienza. E siamo solamente poco oltre gli inizi di un percorso che, con questi presupposti, si preannuncia esaltante.

L’incontro felice tra suggestioni remote e ingredienti del territorio

Sin dagli “snacks” di apertura, in parte già noti da precedenti visite, è ben chiaro che qui non si scherza: il chips di carota, tartare di carota e carpione di carota si rivela già che non serve per forza complessità per creare complessità.
Il Calamaro di montagna rivela una perizia sullo studio di consistenze, sviluppo armonico e melodico da lasciare quasi storditi, per il suo essere così perfettamente ciò che in realtà non è: non è un calamaro, eppure paradossalmente è nel contempo il miglior calamaro assaggiato da mesi a questa parte. Il Dumpling racchiude al suo interno una concentrazione e una completezza gustativa spesso ricercata invano in un intero piatto. Il Chawanmushi è un perfetto esempio di come si possa coniugare con intelligenza uno spunto geograficamente remotissimo a una realtà locale che vuole affermare a gran voce di esistere e voler essere conosciuta e valorizzata.

L’avvio del percorso vero e proprio – perché fin qui di assaggi si trattava – non fa che confermare che siamo di fronte a una cucina che non si vergogna di parlare con voce propria, chiara, cristallina, sempre ben delineata. Il Ceviche di montagna costituisce un altro punto di contatto tra remoto e locale, i ravioli ripieni di civet di lepre portano alla mente sapori antichi conosciuti a chiunque abbia legami con la montagna, ingentiliti e nel contempo sublimati e prolungati dai componenti vegetali aggiunti al brodo. La Linguina ai mirtilli, luppolo e salsiccia di manzo cruda, ormai un signature dish cui non si può prescindere, coniuga abilmente spunti acidi e succulenza. Esito analogo per il Capocollo di maiale nero di abbagliante qualità, perfetto goloso pendant agli spunti acidi del succo di melograno alla base del piatto. Solo nella parte dolce è venuta a nostro a parere a mancare, più forse per merito di ciò che è arrivato prima che per demeriti intrinseci, quella energica creatività che fin qui ci aveva accompagnato, ma come detto in apertura, tempo ed esperienza aiuteranno a sanare questa lacuna, a volerla chiamare così.
Impossibile non terminare senza un plauso alle scelte di abbinamento al calice, spesso indirizzate verso piccoli produttori e prodotti naturali o biologici, inconsueti ma perfettamente consoni con l’intraprendenza di una cucina che, lo ribadiamo nel caso ce ne fosse bisogno, vale i km e l’impegno alla guida richiesto per essere raggiunta e conosciuta, magari approfittando della presenza dell’albergo, che si sta avvicinando alla cessazione dell’attività nella forma oggi conosciuta, ma per il quale Oliver e Alessandra hanno in serbo novità che siamo sicuri si riveleranno di indubbio interesse.

La galleria fotografica:

1 Commento.

  • Aliquantum16 Aprile 2018

    Una cucina di nitore raro e precisione millimetrica. Non concordo sull'appunto riguardante i dolci: ho trovato il non tiramisù un perfetto esempio di come la spinta sperimentale possa approdare a una nuova idea di comfort, intellettualmente stimolante e insieme golosa.

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