Passione Gourmet Cum Quibus, San Gimignano, di Lorenzo Sandano - Passione Gourmet

Cum Quibus

Ristorante
via S Martino 17, San Gimignano (SI)
Chef Alberto Sparacino
Recensito da Lorenzo Sandano

Valutazione

15/20 Cucina prevalentemente di avanguardia

Pregi

  • Cucina identitaria e tecnicamente evoluta in una piazza povera di offerte.
  • Pregevole fusione tra basi classiche e slanci moderni.
  • Manipolazione creativa e rispettosa di un ottimo prodotto.

Difetti

  • Prezzi sopra la media della zona.
Visitato il 03-2017

Impronta classica dal brillante spunto moderno, nel contesto turistico di San Gimignano

Mura austere, torri in pietra e prospettive mozzafiato tratteggiano il borgo medievale di San Gimignano. Patrimonio Unesco e affollata meta turistica che, come spesso accade, tradisce le aspettative sull’offerta gastronomica. Un parterre di locali anonimi e indirizzi intenti a spennare il turista di passaggio, dove un piccolo ristorante emerge con il merito di una proposta controcorrente.

Cum Quibus nasce nel 2005, dall’idea della famiglia Di Paolantonio di introdurre una ristorazione di qualità tra le insegne del borgo toscano. Tentativo che diviene certezza a cavallo del 2014, con l’ingresso del giovane chef Alberto Sparacino. Anni 33, nato a Colle Val d’Elsa, con una degna gavetta alle spalle, vissuta tra una formazione all’Arnolfo di Gaetano Trovato e rilevanti esperienze all’estero presso il Tre Stelle Michelin Daniel Bouloud a Manhattan.
In una via defilata dal traffico turistico, Cum Quibus incarna uno stile tanto eclettico, quanto legato al più classico e riconoscibile “trade mark” toscano.

Nella piccola sala, con un look conforme all’estetica del borgo, si impone una cucina decisamente estrosa e carica di spunti moderni, capace di ravvivare con ingegno il tessuto tradizionale del territorio circostante. Solide basi classiche, tra fondi, cotture e salse di haute cuisine realizzate a mestiere, si intersecano con tecniche attuali, prodotti internazionali e esercizi sapientemente contaminati. La tradizione rimane una costante in background, come passerella di espressione creativa, preservando appagamento, equilibrio e leggerezza tramite una gamma di contrasti armonizzati con pensiero.

Smarcando lievi eccessi stilistici dell’aperitivo iniziale, con l’inflazionata oliva ricostruita “modello Adrià” dall’impatto incerto, emerge una personalità definita e virtuosa nel valorizzare il quinto quarto con un match efficace tra classico e contemporaneo. Esemplare, a tal proposito, il lavoro sull’animella con fondo bruno, mandorle, latte fermentato e cavolfiore; o sul foie gras: caratterizzato e alleggerito da un pregevole gioco balsamico sulla liquirizia. Il colpo d’ala giunge però dai primi piatti, partendo dall’esaltante “calamarata con finanziera in civet, salsa olandese, limone e prezzemolo”, dove la ricca matrice grassa, retta dal nerbo della pasta, viene rinfrescata da una punta acetica e agrumata dosata con classe. Sorprendente, a seguire, il passaggio amaricante del “bottone di cervello con carciofi e salsa al Cynar”, che accentua un contrappunto tagliente, preservando eleganza in ogni boccone.

C’è senso del gusto e visione trasversale sugli ingredienti, come nel “piccione al nero di seppia e frattaglie”, o nei richiami orientali ben eseguiti del “risotto al miso, alghe e katsuobushi” (giustamente mantecato senza burro), che evoca il sapore di una suadente okonomiyaki, conservando profondità umami e un chicco dalla tenuta perfetta. Sorprese nel crescendo finale dal reparto dolci, con gli ottimi, a livello tecnico e gustativo, “meringa, panna senza zucchero e gelato al formaggio quark” e la “terrina di mele, crema e rosmarino”.
Un’insegna identitaria che riesce a fare la differenza, in una frazione poco avvezza alla qualità, diretta prontamente in sala da Lorenzo Di Paolantonio, che cura anche la valida cantina.

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