Passione Gourmet Palazzo Petrucci, Chef Lino Scarallo, Napoli, di Giovanni Gagliardi

Palazzo Petrucci

Ristorante
piazza San Domenico Maggiore 4, Napoli
Chef Lino Scarallo
Recensito da Presidente

Valutazione

14/20 Cucina prevalentemente classica

Pregi

  • Il coraggio di innovare la tradizione in una piazza non facile

Difetti

  • La carta dei vini da ristrutturare
Visitato il 04-2013

Dal meraviglioso Monastero di Santa Chiara in Piazza del Gesù ci si incammina per via Benedetto Croce e si giunge a Piazza San Domenico Maggiore, cuore pulsante del centro storico di Napoli. Spaccanapoli, San Gregorio Armeno e il Duomo sono a due passi.
Qui continua a brillare la stella di un figlio di questa terra, Lino Scarallo, cuoco napoletano doc, che, dopo aver fatto benissimo al ristorante la Maschera di Avellino, dal 2007 è tornato a casa e ha iniziato insieme ad Edoardo Trotta, commercialista appassionato di cucina, l’avventura di Palazzo Petrucci.
Sì, di avventura si tratta perché proporre un certo tipo di discorso gastronomico a Napoli è impresa assai difficile per molti motivi.
Innanzitutto la città, benché sia splendida e ricca di attrattive culturali, ha un rapporto conflittuale col turismo, spesso mordi e fuggi, e di passaggio veloce in direzione delle Isole o in Costiera.
E se il turista, soprattutto quello più disposto a spendere, troppo spesso latita, non resta che il napoletano, abituato a mangiare a casa propria mediamente molto bene grazie a nonne, zie e madri che tramandano un vero e proprio culto per i grandi piatti della tradizione.
Inevitabilmente ogni ragù, ogni genovese, ogni pastiera servita nei ristoranti è sottoposta ad un vaglio critico mostruoso. Ecco perché la stessa clientela locale, assai poco curiosa di sperimentare cose nuove quando va fuori a mangiare, normalmente se deve dare un consiglio su un buon ristorante afferma: “si mangia proprio come a casa”.
In questo quadro, quindi, onore a Palazzo Petrucci che, con successo, si è fatto ormai da qualche anno portabandiera di un tipo di ristorazione più creativa. Per carità non parliamo di cucina d’avanguardia, ma di una filosofia moderna con i piedi ben piantati nella tradizione, senza rinunciare ad alleggerire e innovare con giudizio.
L’ambiente, moderno e abbastanza elegante, si snoda su due livelli e al piano rialzato spicca, bellissima, la cucina a vista.
Le proposte rispetto all’ultima visita ci sono parse, però, un po’ “sedute” e con qualche imprecisione di troppo.
Gli evergreen, come la lasagnetta di mozzarella di bufala e crudo di gamberi, i paccheri all’impiedi ragù e ricotta e la stratificazione di pastiera, che molto ci piacquero nel corso della precedente visita, resistono in carta.
Per il resto non abbiamo trovato nulla di entusiasmante. Con qualche piatto più riuscito e qualche altro meno convincente.
Il pezzo forte restano i primi, come la pasta rigorosamente Gerardo di Nola, con mantecatura a regola d’arte (anche se stavolta la cottura degli spaghettoni è un filo scappata). A farla da padrone anche i latticini con mozzarella di bufala, fior di latte, provola affumicata e ricotta che fanno capolino assai spesso, nelle diverse preparazioni.
Una citazione la meritano le zuppe, ottima quella di cipolle con uovo e pecorino, che godono di spazio autonomo in carta.
Secondi piatti di stampo classico, essenzialmente materici, incentrati su proposte sia di mare (in prevalenza) che di terra. Niente male il dessert.
Il servizio, attento e cordiale, si conferma di buon livello, soprattutto se rapportato a quello che purtroppo normalmente si trova in città, ma la carta dei vini, con ricarichi in qualche caso importanti, necessiterebbe di una rinfrescata (pare comunque che ci stiano lavorando).
In sintesi, un buon ristorante forse leggermente fermo sulle proprie raggiunte certezze, ma che merita comunque un applauso per l’impegno diretto a proporre qualcosa di diverso in città.
Ad Majora.

Si parte: carpaccio di ombrina, mozzarella e gambero crudo, calamaro scottato su patate e salsa di senape.

Linguine con fave fresche, lumache di mare, ricotta salata e buccia di limone. Un gran bel piatto di pasta, goloso e molto armonico.

Zuppa di gran carattere a base di cipolle gialle napoletane, alloro, uovo e pecorino di Carmasciano.

Tubetti con ragù di mare, praline di pesce di scoglio e croccante di alghe.

Non entusiasmano gli Spaghettoni di Gragnano con salsa di friarielli, astice e fonduta di provola: la cottura purtroppo è un po’ scappata e la salsa di friarielli è scarica di gusto.

Triglia al gratin di erba cipollina con cuore di provola, insalatina, yogurt e patata all’olio extravergine: un connubio classico a Napoli, ma con la triglia a sostituire le tradizionali alici.

Baccalà cotto a bassa temperatura, crema di porro e sfoglie di mandorle piccanti e lime. Materico.

Il dessert ruota tutto intorno alle fragole: assoluto di fragole, cubo allo yogurt su biscotto amaro e nocciole e salsa di sfusato amalfitano. Fresco e primaverile.

1 Commento.

  • Francesco C20 Giugno 2013

    Una buona ed onesta recensione di uno dei pochissimi luoghi del mangiar bene a Napoli; anche come voto ci siamo, se effettivamente l'esecuzione non è stata perfetta su ogni portata.

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