Passione Gourmet Parizzi, chef Marco Parizzi, Parma, di Alessandro Pellegri

Parizzi

Ristorante
strada della Repubblica 71, Parma
Chef Marco Parizzi
Recensito da Alessandro Pellegri

Valutazione

14/20 Cucina prevalentemente classica

Pregi

  • Piatti semplici e gourmand, in un contesto piacevolmente moderno

Difetti

  • La globalizzazione dei piatti, senza infiltrazione alcuna del territorio
Visitato il 02-2013

Uno dei ristoranti storici nella cucina italiana. Da oltre cinquant’anni un nome legato alla ristorazione parmense, più di trent’anni d’ininterrotta stella, una location centrale da sempre tra queste mura, che si rivelerà poi un ambiente curato, moderno e con qualche lieve tocco d’arte. Notevoli premesse, che gettano le basi per grandi aspettative.
In cucina lo chef Marco Parizzi, prima nipote e poi figlio di quel nome ben noto ai gourmet emiliani, è ora il protagonista che non riposa sugli allori di famiglia, artefice da qualche anno di una ristrutturazione imponente, con aree dedicate ai corsi di cucina, eventi e camere a disposizione sopra al ristorante.
La cucina di Parizzi gioca nel campo del nazional-popolare: tutti i piatti, dall’aspetto moderno ma dalla concezione classica, nascono per appagare davvero ogni palato, attraverso una natura semplice e priva di contrasti. Dagli antipasti ai dessert, sono tutti ben eseguiti e piacevolmente gourmand, ma capaci di imprimersi nella memoria giusto il tempo necessario all’arrivo della portata successiva. E la quasi totale assenza di errori vistosi palesa in realtà la completa mancanza di rischi.
Qualche dubbio quindi è legittimo. Se pensiamo alla storia che il ristorante si porta dietro, riflettendo sul fatto che fin dal dopoguerra queste sale hanno ospitato e ospitano ininterrottamente clientela, i menù degustazione non sono per nulla influenzati né ispirati dalla cucina tipica emiliana (senza scomodare stagionalità o territorialità), tra l’altro una tra le più emotive, ricche e floride del Belpaese.
Da una cucina così ricca di storia, di blasone e riconoscimenti, è lecito aspettarsi più aderenza territoriale, più sostegno, più volontà di divulgazione, o quantomeno delle basi che vadano oltre a tre (nemmeno sconvolgenti) assaggi di Parmigiano Reggiano o un caprino di Coduro, e che non si fermino ad apporre orgogliosamente il proprio nome su di un’etichetta di Champagne.
Questa è una cucina che fa lustro della tecnica prima ancora della tradizione, che strizza l’occhio allo stile “global”, molto abile e capace (ed è senz’altro un merito), ma non abbastanza “sensibile” da scaldarti il cuore.
Capitolo carta dei vini molto interessante. Il dispiegamento di etichette è notevole (circa 1200 referenze) e, nonostante sia sbilanciato verso i “grandi nomi”, non manca qualche interessante proposta con protagonisti piccoli produttori ed etichette naturali.

Gli ottimi (attenzione, anche troppo!) pani.

Champagne servito come aperitivo, con il quale abbiamo continuato a tutto pasto.

Lodevole la scelta di differenziare le entrée in funzione del menù:
Crema di ceci con polpettine di pasta di salame (per il Menù di Terra).

Salmerino in carpione su giardiniera di verdure croccanti (per il Menù di Mare).

Crudi e poco cotti (tonno, ricciola, capesante, gambero).
Materia giustamente poco lavorata per farne risaltare la buona qualità. Cinque varietà di sale in accompagnamento (al pepe, al curry, Rosa Himalayano, Rosso Hawaiano, Nero Molokai) e relativo utilizzo a nostra discrezione.

Caprino e ricotta di Coduro in crosta su mele e fagiolini aceto balsamico.
Caprino dalla notevole acidità, che non riesce comunque a tenere a bada la ridondante dolcezza delle mele e delle fragole, l’aceto (ridotto e caramellato) fa poco o nulla. Un buon dessert …

Patè di lepre con il suo filetto marinato, gelatina ai frutti e fiori rossi, pane alle banane.
…e dopo il dessert, la macedonia.

Polpo grigliato su verdure a vapore con salsa leggermente piccante.
Polpo dalla golosità inaudita, molto morbido e dalla pronunciata nota grigliata. Da mangiarne un pallet.

Ravioli di fagiano con porri fritti, salsa al marsala e tartufo nero.
Come per gran parte di tutte le altre portate, piatto decisamente “di pancia”, semplice ma ben eseguito e realmente succulento.

Piccoli cannelloni di rombo con guazzetto di pesce e trippa di baccalà. Gran piatto con un ripieno e una trippa fintanto collosi nella loro grassezza, con il guazzetto che tenta di stemperarne l’irruenza.

Maialino da latte croccante con salsa alle spezie e tortino di patate.

Astice arrostito al rosmarino con schiacciata di patate, zucchini e salsa all’arancio.
Come per il polpo, gran golosità e piacevole la freschezza del rosmarino. Da mangiarne mezzo pallet (la sazietà si fa sentire…)

Assaggio di parmigiano di diversa stagionatura (comune ad ambo i menù).
Degustazione qualitativamente a “V” rovesciata:
– 22 mesi (Gennari, Collecchio, n.2312) troppo giovane, lattico e pastoso.
– 28 mesi (Casaselvatica, Berceto, n.3082) in grande forma, con una grande nota vegetale. Scopriremo poi che fra i tre è l’unico Parmigiano di collina.
– 36 mesi (Mezzani, Valserena, n.2111) quasi scollinato nell’evoluzione spinta, eccessivamente sapido, con presenza di sentori assimilabili alla crosta e importanti concentrazioni di glutammato.

Predessert: Mousse di yogurt e passion fruit. Svolge diligentemente il suo lavoro: grasso e fresco, ottimo.

Cioccolato e lamponi.
Lamponi pervenuti solo nell’ultimo assaggio. Dessert eccessivamente impegnativo alla fine di un percorso degustazione.

Tutto castagne: tiramisù, cioccolatino e gelato, salsa al caramello e caffé.
Come sopra, castagne che partecipano al dessert in maniera troppo marginale. Di contro, sempre come sopra, glicemia in fuorigiri.

Scorcio della sala, vista dal corridoio d’accesso.

4 Commenti.

  • zumba3 Aprile 2013

    Lungi da me difendere uno chef talmente antipatico ma i piatti del territorio (tortelli, anolini, ecc.) in carta ci sono e così salumi e formaggi, condivido il poco azzardo in cucina ma questo cozzerebbe con la linea della proposta "tradizionale" parmigiana, la critica vorrà il Canto (che chiude) ma la gente che paga preferisce un Parizzi (aperto da oltre mezzo secolo).

  • Alessandro Pellegri3 Aprile 2013

    Beh se dovessimo valutare in funzione "della gente che paga", McDonald's starebbe a 19/20... :-) In carta qualcosina (poco) di territoriale c'è, ma giusto una manciata di piatti della tradizione. Il problema è che tendenzialmente il menu degustazione (qui come dappertutto) è considerato una sorta di biglietto da visita del locale, un modo dello chef per raccontare al commensale il suo punto di vista. E qui, nei due menù -tolti i tre assaggi di Parmigiano, ok- non c'è traccia alcuna di Parma né di Emilia...

  • Piperita Patty6 Aprile 2013

    Probabile che lui offra alla clientela ciò che vuole, gran parte dei parmigiani/parmensi quando escono a cena mangiano tortelli d'erbetta e galleggianti e qui ci sono. Chi vuole qualcosa di più fine viene qui. La cucina di Parma è più da trattoria che da alta ristorazione, la conferma è che ci siano tanti locali più rustici di Parizzi che fanno tortelli d'erbetta più buoni. Per curiosità quali sarebbero gli ingredienti local che non ha trovato? Secondo me il grasso non le è mancato :P

  • andreapr8 Aprile 2013

    in effetti questo presunto difetto (la mancanza di territorialità) sembra il cercare un difetto a tutti i costi. se voglio mangiar parmigiano,come dice giustamente piperita non vengo certo qui.:-D

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