Passione Gourmet Restaurant Jean-François Piège Paris (F) Carlo Cappelletti.

Restaurant Jean-François Piège

Ristorante
Rue Saint Dominique 79, Paris
Chef Jean-François Piège
Recensito da Presidente

Valutazione

18/20 Cucina prevalentemente di avanguardia

Pregi

  • Prezzi umani per una grande tavola a Parigi

Difetti

  • L'insensatezza di servire l'acqua (a un tavolo da due dove una persona non beve vino) in bottiglie da mezzo litro.
Visitato il 04-2012


Non c’è dubbio che il fenomeno Bistronomie, comparso a Parigi da poco più di un lustro, abbia avuto un effetto dirompente sulla ristorazione della Ville Lumière. Fino ad ora, però, si era creata una specie di frattura fra le grandi tavole, anacronisticamente fossilizzate sui soliti ingredienti e su conti a due-trecento euro, e bistrot dall’ottima cucina ma spesso fortemente limitanti sulle scelte oppure eccessivamente spartani nella proposta. Un dualismo insanabile, anche nella clientela? Non penso proprio, anzi credo che Jean-François Piège, da meno di due anni operativo al primo piano dell’hotel Thoumieux, sia l’ideale candidato a trait d’union fra queste due opposte tendenze.

Se da un lato infatti l’ex chef del Crillon propone, in un ambiente raffinato e raccolto, piatti che ruotano intorno ai capisaldi dell’alta cucina d’Oltralpe, lo fa d’altro canto evitando brigate oceaniche, inutili fasti (per dirne una, la divisa del personale di sala include i jeans) e proponendo al cliente non un menù vero ma un atto di fede in quella che è giustamente chiamata “la règle du je(u)”. Sono presenti solo tre formule, da una a tre portate (più entrata, formaggi e dessert), e all’avventore non viene chiesto di scegliere  piatti ma solo uno, due o tre ingredienti da una lista di sei, senza sapere in quali preparazioni verranno effettivamente serviti (ovviamente al netto di intolleranze o idiosincrasie).

La cucina di Piège, come le premesse annunciano chiaramente, è terribilmente personale, al limite dell’egocentrismo, spigolosa nel gioco degli accostamenti e nell’utilizzo delle spezie. Si muove, spesso sul tema del mare-terra, senza guardare troppo all’equilibrio ma sempre puntando su una grande nettezza, alzando la voce più volentieri di quanto non sussurri, forte di una consapevolezza nei propri mezzi che consente di non precludersi praticamente alcuna sfida. Ne è un esempio il piatto dedicato all’aragosta, accostata senza timore alcuno al fegato grasso. Nessuna paura neppure di annoiare, ed allora la volaglia di Bresse, pur in due servizi, è giocata in doppio misto con crostacei e con le loro bisque, con il gallinaceo dapprima in ravioli con gamberi e poi in suprema e royale con scampi (foto di copertina) con la freschezza dell’anice a moderare (ma direi più ad animare) il dibattito. Il piatto della serata è decisamente, e non per demeriti degli altri, il piccione ripieno di olive e fegato grasso con patate in doppia versione, la chips nasconde quella al forno. In mezzo, esecuzioni mai meno che ottime.

Il reparto dolce, totalmente a sorpresa, conferma il livello tecnico assoluto di questo chef ma non azzarda, puntando, pur con preparazioni dal grado glicemico calibratissimo, più sul carezzevole che sullo sferzante. Niente acidità prepotenti, ma preparazioni confortevoli ed appaganti, emotivamente meno intriganti rispetto al resto della cena. In questo senso mentre la parte salata ci è parsa più vicina al modello bistronomico, anche sul fronte delle presentazioni, certo non sciatte ma non certo studiate per stupire il cliente, i dessert così come il burro a tavola a corollario del fantastico pane (il migliore provato a Parigi) ci son parsi il legame più forte con il passato della grande ristorazione parigina.

L’arredamento in stile coloniale risulta dal vivo molto più fine ed elegante che visto sul sito dell’hotel. Sfortunatamente l’illuminazione è davvero ai minimi storici, tant’è vero che non è risultato possibile avere il minimo sindacale di luce non solo per fotografare i piatti, ma persino per distinguere gli ingredienti nel piatto. Inoltre ho dovuto ricorrere al servizio al calice, conteggiato nell’addizione in modo curioso, e non certo per difetto, semplicemente perché leggere la carta dei vini mi è risultato impossibile con i caratteri minuscoli e con un’ancor più esile candela a disposizione del mio angolo di oscurità. Per fortuna la cucina di Jean-François Piège rende tutti questi dettagli completamente secondari. Per molti Piège è già il miglior chef della città. Il tempo dirà se il pupillo di Ducasse sia destinato a questo trono. Per ora le premesse ci sono tutte

Grignotages, tra cui spiccano la rivisitazione del jambon à la parisienne, il salmone con aneto e wasabi e la crocchetta liquida di lumache alla borgognona.

Aragosta e fegato grasso.

Raviolo di pollo con gamberi e bisque di gamberi all’anice stellato.

Asparagi, granita di parmigiano, cagliata, senza lesinare sull’aglio.

Rombo, carote, cipollotti e crescione.

Piccione e fegato grasso.

Formaggi e cotognata.

A rinfrescare e chiudere con il salato, fromage blanc con fragole…

…per ricominciare con i dolci a parti invertite, vacherin con fragole.

biancomangiare di consistenza straordinaria ripieno di crema alla vaniglia.

crema al bergamotto e frutto della passione.

Lo straordinario pane….

….accompagnato da un burro che non gli è da meno.



7 Commenti.

  • divadivina4 Maggio 2012

    Mi devo scusare con lei signor Capelletti per le invettive circa il Crillon .... dopo le quali sono immediatamente volata nella mia adorata Parigi per appurere quando da lei detto si giusto ... e giustamente le porgo le mie scuse che spero lei accetterà.

  • Carlo (TBFKAA)4 Maggio 2012

    nel senso che sei tornata al Crillon col nuovo chef ed hai avuto una mezza delusione o che sei stata al Thoumieux a riprovare la sensazionale cucina di Piège?

  • Emanuele Barbaresi26 Ottobre 2012

    Altro aggiornamento parigino, questa volta da Piège. Ora l'offerta è meno flessibile e i prezzi sono aumentati. Oltre ai grignotages, ai formaggi e ai dessert, adesso - o almeno, così era ieri sera - sono obbligatorie anche le entrée, definite "les hors-d'oeuvre froids et chauds", che comprendono i 4 grignotages e 5 assaggini al piatto. Di conseguenza si possono scegliere solo i piatti principali (definiti, come prima, dal loro ingrediente primario), che possono essere 1 (e in questo caso il menu costa 129 euro) o 2 (149). Al di là della complicazione della formula, che può essere non immediatamente comprensibile se non si arriva preparati, Piège ha confermato tutto il suo valore. La sua è una cucina molto tecnica, costruita e pensata, affatto istintiva. E lo chef sembra esprimersi meglio qui, dove può agire in tutta libertà, che nella gabbia dorata del Crillon. Fra i passaggi migliori di ieri, lo strepitoso bouillon di pollo con infusione di porcini, nocciole e foie gras, la royale di foie gras e gamberetti (2 entrée) e il biancomangiare, che poi è il suo signature dish dolce. Quanto ai piatti principali, ottimi gli scampi al cocco con condimento di piment doux, anche se l'aggiunta d foie gras è parsa un'inutile ridondanza che sbilanciava ulteriormente sul versante dolce un piatto già di per sé dominato da note dolci. Ottimo anche il rombo selvaggio con porcini d'Auvergne e nocciole. Tra gli ingredienti proposti c'erano anche gli spaghetti alla carbonara, ma non ho avuto il coraggio di ordinarli, magari ho fatto male... Nel complesso nessun capolavoro, ma anche nessuna caduta, ossia niente sotto il 16. Dovessi dare un voto, sarei per un 17, 18 mi sembra troppo. D'altra parte Piège è uno chef molto mediatico, si sa vendere bene, per cui non mi stupirei se presto arrivassero i 5 cappelli GaultMillau e magari addirittura le 3 stelle Michelin, in teoria difficili per questa tipologia di locale, però...

  • Piermario26 Ottobre 2012

    Insomma, una costante di questa esperienza parigina - a voler introdurre una nota prosaica - è la limatura in alto dei prezzi. Una parte di me (quella stessa che monitora attentamente voli ed hotel low cost per la Ville Lumière) guarda preoccupata il porcellino-salvadanio... :-)

  • Carlo (TBFKAA)27 Ottobre 2012

    Beh per questo ristorante in particolare la limatura non pesa più di tanto. In fondo, che sia 17 o 18 ( in questo penso che conti molto il fatto che il menù cambia praticamente di continuo, prestandosi ad inevitabili oscillazioni, pur rimanendo su livelli molto alti), 150 euro per Parigi sono sempre un affare. Meno eclatante, ma sempre un affare. Ovviamente si parla non in assoluto (anche se non siamo su siti dove si rischia il pistolotto populista per un'affermazione del genere) ma in riferimento al cambio 2x della ristorazione parigina. Per rispondere o meglio per integrare l'esperienza di Emanuele, devo dire che nella mia esperienza nessun piatto è stato sotto il 17, molti erano decisamente sopra, con il leggendario piccione a sfiorare il fondo scala. Quello che mi ha incantato di questo chef è la capacità di "scherzare col fuoco" senza scottarsi.

  • Emanuele Barbaresi27 Ottobre 2012

    Concordo: di tutti i ristoranti parigini di fascia alta provati nella settimana (Agapé Substance, Meurice, Lasserre e Ambroisie gli altri), quello di Piège è l'unico in cui, considerata anche la location (il VII a Parigi) e la valutazione Michelin, non ci si può lamentare del prezzo. Tra l'altro è anche l'unico in cui, con un centinaio di euro, sono riuscito a bere molto bene.

  • Piermario27 Ottobre 2012

    Ho postato qui, ma mi riferivo a quello che - dalle notizie che ci dà Barbaresi - sembra una, peraltro prevedibile ed in parte comprensibile, tendenza generale. Poi è chiaro: l'alta cucina ha i suoi costi e Parigi come città pure, ma l'appassionato è un po' infantile nell'illimitatezza dei suoi desideri e vorrebbe arrivare a fare e provare tutto... In ogni caso, proprio un bel giro quello di Barbaresi :-)

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